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— Ti stai rivelando davvero utile, Orion — udii la sua voce nella mia mente, mentre mi contorcevo in quella cella immersa nelle tenebre.

Sapevo che aveva ragione. Mi maledicevo per ciò, ma sapevo che dentro di me vi erano odio e furore sufficienti a fungere da arma micidiale al servizio della malignità di Set.

Gli incubi facevano ritorno ogni volta che mi addormentavo. Per quanto cercassi di resistere, inevitabilmente gli occhi mi si chiudevano; il mio corpo, esausto, scivolava nel sonno e l’incubo tornava a tormentarmi.

Ogni volta più realistico. Ogni volta più ricco di dettagli. Ogni volta udivo le mie parole e quelle dei Creatori con maggior chiarezza, percepivo sempre più reale la solidità dei loro corpi nelle mie mani assassine, percepivo sempre più reale l’odore dolciastro del sangue che usciva a fiotti dalle loro ferite.

E un giorno, inesorabile, sarebbe arrivato il sogno finale. Sapevo che una volta o l’altra il grado di realtà sarebbe stato assoluto, che mi sarei effettivamente trovato fra i miei Creatori, che li avrei uccisi nel nome del mio nuovo padrone. Allora tutti i sogni sarebbero cessati. Il mio dolore e il mio furore sarebbero giunti al loro termine. Lo schiacciante senso di abbandono che mi riempiva il cuore sarebbe infine volato via.

Tutto ciò che dovevo fare era cedere alla volontà di Set. In quel momento compresi che solo la mia folle, caparbia resistenza si frapponeva ormai tra me e la pace eterna. Alcuni momenti di sangue e di dolore, e tutto sarebbe finito. Per sempre.

Dovevo smettere di combattere Set e ammettere che era il mio padrone. Dovevo permettergli di inviare Orion il Cacciatore verso la sua missione finale, e lui mi avrebbe permesso di trovare la pace. Nell’oscurità di quella cella rovente abbozzai un sorriso. Che ironia: l’ultima caccia di Orion consisteva nello scovare e uccidere i suoi stessi Creatori.

— Sono pronto — gridai. La mia voce era rotta, stridula. La gola e i polmoni erano in fiamme.

Per tutta risposta udii un lungo sibilo che sembrò echeggiare attraverso le stanze sotterranee del magnifico palazzo di Set.

Sembrò passare un’eternità prima che accadesse qualcosa. Ero disteso sul pavimento di pietra della mia cella nell’oscurità più totale e nel silenzio assoluto, a eccezione del mio respiro incostante. Il suolo sembrò diventare un poco più fresco. L’aria sembrò farsi un poco più umida. O forse era solo la mia immaginazione.

Ero troppo debole per mettermi in piedi, e mi chiesi come avrei potuto eseguire il volere del mio padrone in tali condizioni di sfinimento.

— Non temere, Orion — la voce di Set echeggiò nella mia mente. — Sarai sufficientemente forte quando verrà il momento. La mia forza pervaderà il tuo corpo. Sarò con te in ogni istante. Non ti lascerò solo.

Così la sua magnanimità nel permettere ai Creatori di abbandonare la Terra era stata soltanto uno stratagemma. In realtà, aveva intenzione di attaccarli e distruggerli, in un momento in cui fossero del tutto impreparati ad affrontare il suo attacco. E io sarei stato la sua arma.

Con la fine dei Creatori, l’intero continuum sarebbe stato suo. Avrebbe potuto colonizzare la Terra e distruggere la razza umana a suo piacimento. O ridurla in schiavitù, com’era stato nell’era neolitica.

Vi erano elementi che non potevo neanche immaginare. Ricordai come mi avessero detto più di una volta che lo spaziotempo non è lineare.

— Patetica creatura — udii la voce del Radioso sprezzante nei miei ricordi — tu pensi al tempo come a un fiume che scorre in un solo senso, dal passato al futuro. Il tempo è un oceano, Orion, un immenso mare sconfinato sul quale è possibile dirigersi in qualsiasi direzione.

— Non capisco — avevo risposto.

— E come potresti? — il Creatore mi aveva schernito. — Non ho mai impresso una tale comprensione dentro di te. Tu sei il mio cacciatore, non un mio pari. Tu esisti per servire ai miei scopi, non per discutere con me l’essenza degli universi.

Sono menomato nel corpo e nello spirito, dissi a me stesso. Ero stato creato così. Set aveva detto il vero.

E adesso stavo per essere rispedito al cospetto dei miei Creatori, per mettere fine alla loro esistenza. E alla mia.

27

Disteso nell’oscurità della mia cella, in attesa che Set mi inviasse verso la mia missione assassina, sentii il terreno sotto di me farsi sempre meno rovente. La stessa aria che respiravo non sembrava così calda com’era stata qualche momento prima, come se il mio tormento fisico fosse stato attenuato per ricompensarmi della mia capitolazione al volere di Set.

Non riuscivo a percepirlo nella mia mente, eppure sapevo che era lì, in attesa, pronto a prendere il controllo del mio corpo.

Avvertii una sensazione di vuoto allo stomaco. Il pavimento sembrò abbassarsi, dapprima piuttosto lentamente poi sempre più veloce, come un ascensore fuori controllo. Mi sentii affondare nell’oscurità, il pavimento sotto i piedi sempre più freddo a mano a mano che discendevo.

Allora vi fu un istante di freddo assoluto, di vuoto, in cui le dimensioni del tempo e dello spazio sembrarono scomparire. Ero sospeso nel nulla, privo di forma o di sensazioni, in un limbo in cui il tempo stesso non esisteva. Poteva essere passato un miliardo di anni come un miliardesimo di secondo.

Lucenti raggi dorati mi colpirono come saette di metallo fuso. Serrai gli occhi e mi portai una mano sul volto. Le lacrime mi scorsero giù per le guance.

Ancora non riuscivo a vedere nulla; prima per la mancanza di luce, adesso per il suo eccesso.

Ero raggomitolato in posizione fetale, la testa china sul petto, le braccia piegate sul volto. Nulla sembrava muoversi. Non un filo d’aria, non il canto di un uccello o di un grillo, né lo stormire delle foglie. Ascoltavo il cuore pulsare debole nelle mie orecchie. Cominciai a contare. Cinquanta battiti. Cento. Centocinquanta…

— Orion? Sei proprio tu?

Sollevai il capo con fatica. La luce dorata era ancora accecante. Stagliata contro quell’incredibile radiosità vidi la figura di un uomo in piedi di fronte a me.

— Aiutami — implorai in un sospiro rauco. — Ti prego.

L’uomo si chinò su di me. Allora i miei occhi si fecero più avvezzi alla luce, oppure essa diminuì d’intensità. Le lacrime cessarono di scendere sul mio volto. Il mondo cominciò a mettersi a fuoco.

— Come sei arrivato fin qui? E in simili condizioni!

“Attento!” avrei voluto dirgli. Ogni istinto dentro di me avrebbe voluto urlargli di restare in guardia, lui e tutti gli altri Creatori. Ma la voce mi si era raggelata in gola.

— Aiutami — fu tutto ciò che riuscii a gracchiare.

L’uomo chino al mio fianco era quello che conoscevo col nome di Ermes. Il corpo e gli arti erano snelli come quelli di un segugio, il volto un insieme di strette “V” il mento aguzzo, l’attaccatura dei capelli puntuta sopra una fronte liscia.

— Resta lì — mi disse.

Scomparve. Svanì alla mia vista come se fosse stata soltanto un’immagine proiettata su uno schermo.

Debolmente, mi tirai su a sedere. Ricordavo quel posto con la memoria di altre esistenze. Una distesa d’incommensurabile grandezza, il suolo coperto da una nebbia vagamente ondeggiante, sopra di me il cielo di un azzurro intenso che si faceva più scuro allo zenit, dov’era possibile scorgere alcune stelle. Ma erano veramente stelle? In quel mondo immobile e silenzioso non sfavillavano affatto.

In quel luogo avevo incontrato il Radioso parecchie volte. E Anya. Per quel motivo Set mi aveva inviato proprio in quel punto. Guardandomi intorno lo trovai artificioso, come uno scenario teatrale o un tempio costruito con sfarzo per incutere timore nei visitatori ignoranti. La simulazione di un paradiso cristiano o di un Valhalla imborghesito. Il tipo di scenario che gli Assassini dell’antica Persia avrebbero usato per convincere i loro scagnozzi imbottiti di droga che il paradiso era lì ad attenderli… a eccezione del fatto che gli antichi Assassini avrebbero riempito il posto di graziose danzatrici e splendide uri.