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Il disco scivolò verso una nicchia semicircolare del balcone. Il Radioso scese da quella specie di ascensore senza dire una sola parola, e io lo seguii come trasportato da schiavi invisibili.

Si diresse verso una porta, la aprì ed entrò in una stanza. Mentre lo seguivo attraverso la soglia, un barlume di ricordo guizzò nella mia mente. La stanza sembrava un laboratorio. Era ingombra di macchinari a me vagamente familiari, ingombranti sagome di plastica e metallo che mi sembrava di avere già visto prima. Nel centro della stanza giaceva un tavolo chirurgico. Le mani invisibili che mi reggevano mi posarono su di esso.

Ero troppo debole per riuscire a muovermi, o forse mani invisibili mi trattenevano con fermezza.

— Dormi, Orion — ordinò il Radioso con tono seccato.

I miei occhi si chiusero immediatamente. Il mio respiro rallentò fino ad assumere il ritmo regolare del sonno. Ma non mi addormentai. Resistetti a quell’ordine e rimasi sveglio, domandandomi se ciò accadesse per mia stessa volontà o se fosse Set a controllarmi.

Sembrarono passare molte ore, e io ero sempre disteso su quel tavolo, immobile, con gli occhi chiusi. Di tanto in tanto udivo un debole ronzio di apparecchiature elettriche, ma niente più. Nessun passo. Nessun respiro a eccezione del mio. Il Radioso vestiva ancora le sue spoglie umane? O forse aveva riassunto la sua vera forma mentre le macchine mi esaminavano?

Per tutto il tempo non percepii nient’altro che la solidità del tavolo sotto di me. Quali che fossero le sonde che studiavano il mio corpo, non avevano alcuna consistenza fisica. Il Radioso mi stava analizzando atomo per atomo come un’astronave in orbita esamina il pianeta che ruota sotto di essa.

Per quanto fui in grado di capire, non si occupò della mia mente. Non avvertii la presenza di sonde mentali. Ero sempre ben sveglio e cosciente. I miei ricordi non venivano sollecitati. Il Radioso non si occupava della mia mente.

Perché?

— È qui!

La voce di Anya! Preoccupata, quasi furiosa.

— Non puoi disturbarlo adesso — disse il Radioso.

— È tornato di sua spontanea volontà, e tu vuoi impedirmi di vederlo — disse Anya con tono accusatorio.

— Non capisci? — ribatté il Radioso. — Non è in grado di tornare da solo. Qualcun altro deve averlo mandato qui.

— Lasciamelo vedere… oh! Guardalo! Sta morendo!

La voce di Anya tremava dall’emozione. Le importava di me! Immediatamente una voce nella mia mente insinuò: così come potrebbe importarle del proprio gatto, o di un cerbiatto ferito.

— È molto debole — disse il Radioso. — Ma non morirà.

— In che diavolo di faccende l’hai immischiato? — domandò lei.

A tutta prima il Radioso non volle rispondere. Infine, però, fu costretto ad ammettere: — Non lo so. Non so da dove sia arrivato e perché sia giunto qui.

— Gliel’hai chiesto?

— Sì, ma non mi ha dato risposta.

— L’hanno torturato. Guarda cos’hanno fatto al suo povero corpo.

— Lascia perdere! Abbiamo un bel problema. Quando ho cercato di sondargli la mente non ho trovato altro che il vuoto.

— La sua memoria è stata cancellata?

— Non credo. È più come se mi fossi scontrato contro una barriera. In qualche modo la sua mente è stata schermata.

— Schermata? Da chi?

Esasperato, il Radioso disse, con voce brusca: — Non lo so! E non posso scoprirlo fino a quando non avrò infranto la barriera.

— Pensi di riuscirci?

Potei sentirlo annuire. — Con un’adeguata riserva d’energia sono in grado di fare qualsiasi cosa. Il problema è che se fossi costretto a usare troppa energia potrei correre il rischio di distruggere del tutto la sua mente.

— Non devi farlo!

— Non ne ho intenzione. Qualsiasi cosa si nasconda nella sua mente, devo riuscire a tirargliela fuori.

— Non t’importa nulla di lui — disse Anya. — Non è che uno strumento nelle tue mani.

— Esattamente. Ma adesso potrebbe essere uno strumento nelle mani di qualcun altro. Devo scoprire di chi si tratta. E perché l’ha fatto.

Nel profondo del mio essere ero straziato da una marea di emozioni in conflitto fra loro. Anya desiderava proteggermi, mentre il Radioso voleva soltanto ciò che era racchiuso nella mia mente. Volevo ucciderlo. Volevo amare lei, e fare in modo che lei amasse me. Eppure, quelle emozioni erano soffocate dall’inflessibile controllo di Set sulla mia mente. Di nuovo ebbi una visione da incubo. In preda all’orrore, compresi che li avrei uccisi tutti.

28

— Lascialo a me — disse Anya.

Vi fu una lunga pausa, quindi il Radioso rispose: — Sei emotivamente coinvolta con questa creatura. Non sarebbe saggio se…

— Come puoi lasciare che la gelosia ottenebri il tuo giudizio in un momento simile?

— Gelosia! — Il Radioso sembrava stupefatto. — Forse che l’aquila può essere gelosa di una farfalla? O il sole geloso dei suoi pianeti?

Anya scoppiò in una risata simile al freddo tintinnio di una campana argentina. — Lascia che sia io a occuparmi di lui; reintegra le sue forze. Allora, forse potrà dirci lui stesso cosa gli è accaduto.

— No. Ho qui gli strumenti adatti…

— Per danneggiargli la mente con i tuoi metodi brutali. Io lo rimetterò in sesto. Allora potremo fargli tutte le domande che vorremo.

— Non c’è abbastanza tempo.

Il tono della voce di lei si fece derisorio. — Non c’è abbastanza tempo? Per il Radioso, che si vanta di poter viaggiare attraverso il continuum come su un oceano? Non c’è abbastanza tempo per colui che dice di comprendere le correnti degli universi più di quanto un marinaio comprenda quelle marine?

Udii il Creatore emettere un pesante sospiro, quasi uno sbuffo. — Voglio giungere a un compromesso con te. Posso reintegrare la sua forma fisica molto più alla svelta di quanto tu non possa fare imboccandolo di cibo. Quando sarà abbastanza forte da poter camminare e parlare, allora procederai col tuo interrogatorio.

— D’accordo.

— Ma se nel giro di qualche giorno non sarai riuscita a tirargli fuori ciò che vogliamo sapere — avvertì il Radioso — allora torneremo ai miei metodi.

Con maggior riluttanza, Anya ripeté: — D’accordo.

La udii allontanarsi, quindi mi sentii sollevare di nuovo da cuscini d’energia e trasportare via dal tavolo operatorio. Cercai di sollevare leggermente le palpebre, per sbirciare dove mi stessero portando, ma scoprii di non avere nessun controllo su di esse. Né potevo muovere le dita, o le punte dei piedi. Set, o forse il Radioso, controllava alla perfezione il mio sistema muscolare volontario. O forse erano entrambi, che inavvertitamente lavoravano di comune accordo.

Sentii il mio corpo scivolare in una specie di vasca orizzontale, un tubo cilindrico gelido sotto la mia pelle nuda e bruciacchiata. Poi il ronzio dell’energia. E il debole gorgogliare di un liquido. Infine caddi addormentato, e la mia mente cominciò a fluttuare in una fitta tenebra, più tranquilla di quanto non fosse mai stata per anni. Era come fare ritorno nel ventre materno, e il mio ultimo pensiero cosciente fu che forse quel cilindro di plastica e metallo era stato veramente il mio ventre materno. Sapevo di non essere nato da una donna, così come i seguaci di Set non erano nati da uova fecondate naturalmente.

Dormii, immensamente grato che il mio sonno non fosse turbato da sogni.