Fui risvegliato dal lieve rumore di un’onda che s’infrangeva su una spiaggia. Aprii gli occhi. Ero seduto su una poltrona reclinabile, soffice ma robusta, su un’alta balconata che dominava un immenso mare turchese. Uno stormo di uccelli bianchi e aggraziati attraversava in formazione il cielo azzurro e limpido. Le snelle figure grigie di un branco di delfini scivolavano senza sforzo attraverso le onde, fendendo l’acqua per un momento con le loro pinne ricurve, scomparendo per poi riemergere qualche istante più tardi.
Inspirai profondamente quell’aria fresca e pulita. I raggi del sole erano caldi e corroboranti, e la brezza che spirava dal mare era deliziosamente fresca. Mi sentivo nuovamente in forze. Abbassato lo sguardo, vidi che indossavo un abito bianco privo di maniche e un paio di pantaloni.
Per alcuni istanti rimasi disteso sulla sedia a sdraio, godendomi quella sensazione di benessere. La mia pelle era abbronzata, e tutte le vecchie bruciature e cicatrici erano scomparse da essa. I miei arti erano nuovamente in carne.
Mi alzai lentamente in piedi e scoprii che le mie gambe erano salde, quindi mi portai verso la balaustra della balconata. Abbassato lo sguardo, esaminai l’immensa distesa di sabbia sotto di me. Nessuno. Non un’anima viva. La spiaggia, leggermente incurvata, era cinta da palme maestose. L’edificio in cui mi trovavo sembrava ergersi alto fra esse.
Le onde s’infrangevano lente contro la sabbia. I delfini si aprivano la via attraverso quelle onde, tuffandosi e riemergendo da esse con un pesce stretto tra le fauci.
— Ciao.
Mi voltai. Anya era in piedi sull’uscio che portava alla balconata. Indossava abiti di seta bianca intessuti con fili d’argento scintillanti alla luce del sole. Aveva i lucenti capelli neri raccolti dietro la testa. Lineamenti classici che avevano ispirato agli scultori dell’antica Grecia l’immagine della bellezza più pura. La statua della dea Atena si animava di fronte a me.
Improvvisamente sentii la morsa crudele di Set chiudersi intorno alla mia mente, controllare le mie emozioni. Amore e odio, paura e desiderio, tutte imprigionate nella sua stretta glaciale.
— Anya — fu tutto ciò che riuscii a dire.
— Come ti senti? — chiese lei, avanzando verso di me.
— Bene. Molto meglio di… prima.
Anya fissò intensamente i miei occhi, e vidi il suo sguardo preoccupato.
— In che tempo ci troviamo? — domandai.
Con un leggero sorriso, ella rispose: — È mattina.
— No. Voglio dire… in che anno? In che era ci troviamo?
— L’era in cui sei stato creato, Orion.
— Dal Radioso.
— Il suo vero nome è Aten.
— Il nome del dio-sole egiziano.
Anya inarcò un sopracciglio. — Non difetta di presunzione, questo lo sai bene.
— Sono stato creato — dissi lentamente — per uccidere Ahriman.
— Sì. All’inizio. Poi Aten ti ha utilizzato anche per altri scopi.
— È folle, sai? Il Radioso, intendo.
Il sorriso scomparve dal viso di Anya. — Non esiste una cosa come la follia fra noi, Orion. Ci siamo evoluti ben oltre tali imperfezioni.
— Non sei veramente umana, non è così?
— Siamo ciò in cui gli umani si sono evoluti. I discendenti del genere umano.
— Ma questo corpo con cui ti mostri a me… non è che un’illusione.
Anya fece l’ultimo passo che la separava da me e sporse una mano per carezzarmi il volto. Sembrava palpitare di vita.
— Questo corpo è composto di atomi e molecole proprio come il tuo, Orion. Nelle mie vene scorre sangue. E ormoni. Proprio come nel corpo di qualsiasi donna umana.
— Ci sono esseri umani, quaggiù? Esistono ancora veri e propri uomini?
— Uomini e donne, certo. E qualcuno vive ancora qui, sulla Terra.
— Parlamene! — rantolai, con pressante insistenza esercitata dal volere di Set che si muoveva nella mia mente. Attraverso la mia voce, ma con parole sue, incalzai: — Voglio sapere tutto ciò che riguarda questo mondo.
Nel corso delle settimane successive, Anya continuò a spiegare tutto ciò che volevo sapere.
Fluttuammo su quel mare immenso in una bolla d’energia che rasentava la superficie dell’acqua. Vidi centinaia di delfini tuffarsi fra le onde, udii le enormi balene intonare i loro magnifici, strani canti nelle profondità marine. Come spettri, scivolammo sulle ali della brezza attraverso foreste secolari. I cervi che percorrevano quei boschi erano così miti da lasciarsi accarezzare. Ci librammo al di sopra delle montagne e su fertili praterie, avvolti in una sfera d’energia invisibile ma estremamente protettiva. Quando avevamo fame, dal nulla apparivano cibarie calde e succulente.
Vidi piccoli villaggi i cui tetti coperti di tegole brillavano alla luce riflessa sui loro pannelli solari e dove esseri umani simili a me accudivano i campi e le greggi. Non c’erano strade fra i villaggi, e non riuscii a scorgere nessun veicolo. Gran parte della Terra era disabitata, verde e rigogliosa, il cielo azzurro e incontaminato.
Vidi anche paludi brulicanti di alligatori, rane e tartarughe. Vidi l’enorme, terribile mole di un tirannosauro profilarsi alta al di sopra dei cipressi, e Anya dovette acquietare la mia paura istintiva.
— Tutta l’area è circondata da uno schermo d’energia. Non potrebbe uscire neanche una mosca.
Vivevo di nuovo insieme alla donna che amavo. Ma non ci toccammo né ci baciammo mai. Non eravamo soli. Sapevo che Set era dentro di me, e avevo l’impressione che anche lei lo sapesse.
Eppure Anya continuava a mostrarmi il mondo dei Creatori. Il pianeta Terra, più bello di quanto avessi mai immaginato, dimora di ogni forma di vita, un rifugio di pace e abbondanza, con un’ecologia che si manteneva bilanciata mediante l’energia del sole e grazie al controllo dei discendenti del genere umano, i Creatori. Era un mondo perfetto; troppo perfetto per me. Nulla sembrava essere mai fuori posto. Il clima era sempre mite e assolato. Pioveva soltanto di notte, e anche allora eravamo riparati dal nostro schermo d’energia. Neanche gli insetti ci molestavano mai. Ebbi l’impressione di vivere in un immenso parco con alberi artificiali, in cui gli animali erano in realtà macchine controllate dai Creatori.
— No, qui tutto è vero e naturale — disse Anya, una sera in cui eravamo distesi l’uno di fianco all’altra a contemplare le stelle nel cielo. Orione brillava nel suo giusto posto come tutte le altre costellazioni; anche l’Orsa appariva familiare. Quel futuro non era poi tanto remoto da farle apparire eccessivamente distorte.
La rossa Sheol, però, non esisteva affatto. Avvertii l’inquietudine di Set dentro di me e ne gioii.
L’evento cruciale per l’umanità, mi aveva spiegato Anya, era avvenuto circa cinquantamila anni prima. Gli scienziati avevano scoperto come manipolare il materiale genetico racchiuso nelle cellule di tutti gli esseri viventi. Dopo miliardi di anni di selezione naturale, il genere umano era riuscito a prendere il controllo non solo del proprio retaggio genetico, ma di qualsiasi specie vegetale o animale sulla Terra.
Aspre e amare erano state le opposizioni a tale impiego dell’ingegneria genetica. Furono commessi diversi errori, naturalmente, e talvolta si verificarono veri e propri disastri. Per quasi un secolo il pianeta venne impegnato in una serie di bioguerre.
— Ma il passo ormai era stato compiuto, per bene o male che fosse — Anya proseguì. — Una volta scoperto il segreto del controllo genetico, quella conoscenza non poteva essere cancellata.
La cieca evoluzione naturale fu rimpiazzata da un’evoluzione calcolata e controllata. Laddove la natura impiegava anni per creare un cambiamento, gli uomini adesso erano in grado di effettuarlo nel giro di una sola generazione.
La durata della vita aumentò con balzi da gigante. Due secoli. Cinque secoli. Migliaia di anni. La quasi immortalità.