La razza umana si disperse nello spazio, espandendosi dapprima entro i confini del sistema solare interno; quindi, superando d’un balzo i giganteschi pianeti gassosi orbitanti ai suoi confini, si diresse verso le stelle in enormi nicchie ambientali in grado di ospitare intere comunità di migliaia di uomini, donne e bambini che avrebbero impiegato molte generazioni alla ricerca di altri pianeti simili alla Terra.
— Alcuni decisero di alterare la propria struttura corporea in modo da poter vivere su mondi altrimenti letali per gli esseri umani — disse Anya. — Altri scelsero di rimanere a bordo delle proprie nicchie ambientali e farne le proprie nuove dimore permanenti.
Ma qualsiasi fosse stata la loro scelta, ognuno di questi gruppi di viaggiatori stellari aveva dovuto affrontare la stessa domanda finale: siamo ancora umani? Vogliamo rimanere tali? Le potenti radiazioni dello spazio profondo e le strane condizioni ambientali dei mondi alieni erano fonte di mutazione controllata.
Era necessaria una base d’approvvigionamento, un “modello-base” di genotipi umani originali coi quali confrontarsi per poter valutare qualsiasi decisione a riguardo. Era necessario mantenere un solido legame con la Terra.
Sulla quale, nel frattempo, generazioni dopo generazioni di ricercatori stavano scavando nel profondo della più pura essenza della vita. Alla ricerca nientemeno che dell’immortalità, tenevano strette le redini della loro stessa evoluzione dando inizio a una serie di mutazioni che, alla fine, avevano portato alla nascita di esseri in grado di intercambiare materia ed energia secondo il proprio volere, trasformando i propri corpi in globi di pura energia di modo da poter sopravvivere alle radiazioni solari.
— I Creatori — sussurrai.
Anya annuì con aria solenne, ma disse: — Non proprio Creatori, Orion, perché non avevamo ancora creato nulla. Eravamo soltanto il risultato finale di una ricerca iniziata, presumo, quando i primi ominidi sulla Terra scoprirono di non poter evitare la morte.
Non raggiunsero mai la vera e propria immortalità. Potevano sempre essere uccisi. Penso che abbiano persino commesso omicidi fra loro, in epoche passate. Ma si erano avvicinati di molto all’immortalità. Potevano vivere indefinitamente, finché disponevano di una fonte d’energia. Per creature simili il tempo non aveva più lo stesso significato che aveva avuto per i loro progenitori. Ma per una razza di creature immortali discendenti da scimmie particolarmente curiose, con tutta l’eternità a loro disposizione, il tempo era comunque una sfida.
— Impararono a manipolare il tempo, a viaggiare attraverso quella dimensione quasi con la stessa facilità con cui è possibile passeggiare in un prato.
E scoprirono con orrore che il loro non era l’unico universo nel continuum spaziotemporale.
— Gli universi sembrano ramificarsi all’infinito, in continuo contatto fra di loro — Anya proseguì. — Aten, il Radioso, scoprì un universo in cui i neanderthaliani si erano evoluti al punto di diventare la specie dominante sulla Terra, e il nostro tipo di essere umano non era mai sorto.
— I neanderthaliani avevano attuato un meraviglioso adattamento col loro ambiente — rammentai. — Non avevano bisogno di scienza o di alta tecnologia.
— Quell’universo invase il nostro — disse Anya, rivivendo quei tempi nei suoi occhi grigi. — La sovrapposizione fu così violenta da far temere ad Aten che il nostro universo potesse essere annientato.
Fra creature che da poco avevano raggiunto l’immortalità, quella scoperta aveva sollevato il panico. Che vantaggio c’è a essere immortali, se il proprio universo può esser spazzato via dalle vicissitudini cosmiche dello spaziotempo quantizzato?
— E fu allora che diventammo Creatori — disse Anya.
— E che il Radioso mi creò.
— Lui, insieme a cinquecento altri individui.
— Per sterminare i neanderthaliani — ricordai.
— Per salvare l’universo della nostra razza — corresse Anya con dolcezza.
Il Radioso, inorgoglito dal (mio) successo contro i neanderthaliani, aveva preso a esaminare altri nessi nello spaziotempo in cui sperava di alterare l’ordine naturale del continuum a beneficio del suo stesso ego vanaglorioso. Usandomi come strumento, aveva cercato più volte di alterare il continuum.
Scoprì allora, con suo grande stupore e generando la rabbia degli altri Creatori, che a ogni interferenza nella struttura dello spaziotempo si snodano miriadi di nuovi universi possibili. E più si cercava di risaldarli insieme, più il continuum veniva distorto e alterato. Allora non esisteva altra possibilità di scelta se non quella di continuare a manipolare il continuum; non era più possibile permettere allo spaziotempo di snodarsi lungo le sue linee naturali.
Già, sentii Set sibilare dentro di me, una scimmia vanagloriosa che saltella qua e là, disperdendo le proprie energie, distraendosi con la facilità di uno scimpanzè parlante. Io metterò fine a tutta questa confusione. Per sempre.
Cercai di avvertire Anya del fatto che vi erano altri esseri in grado di manipolare lo spaziotempo. Ma nemmeno quella semplice informazione riuscì a sfuggire al controllo di Set. Sentii il sudore imperlarmi la fronte per lo sforzo. Ma Anya non sembrò accorgersene.
— Così adesso siamo qui — disse, mentre sedevamo in una bolla d’energia che si muoveva alta sopra un oceano blu intenso, striato da lunghe onde bianche che viaggiavano da una parte all’altra della Terra quasi in perfetta uniformità.
— E insistete a manipolare il continuum — commentai.
— Siamo costretti a farlo — ammise. — Non possiamo smettere, se vogliamo evitare che l’intera struttura spaziotemporale si abbatta su di noi.
— Il che significherebbe…
— L’oblio. L’estinzione. Saremmo spazzati via dall’universo insieme all’intera razza umana.
— Ma l’umanità si è propagata nello spazio interstellare.
— Già, ma la sua origine risiede su questo mondo. La sua storia ha inizio sulla Terra, e solo in seguito si snoda attraverso la galassia. È sempre la stessa musica. Una volta alterata una parte degli eventi, l’intera loro catena è in pericolo.
Il nostro veicolo invisibile scivolò verso la parte in ombra del pianeta. Eravamo distesi in una posizione rilassante, ma avanzavamo nell’aria più alti e più veloci di qualsiasi uccello.
— Siete sempre in contatto con gli altri umani, quelli che si sono diretti verso le stelle?
— Sì — Anya rispose. — Continuano a inviare i loro rappresentanti sulla Terra per confrontare il flusso genetico delle loro colonie. Abbiamo stabilito una base nel Neolitico, qualche tempo prima dello sviluppo dell’agricoltura. È quella l’epoca che meglio rappresenta il nostro genotipo umano medio, in base al quale misuriamo tutti gli altri.
Pensai agli schiavi che avevo incontrato nel giardino di Set, al povero Pirk, alla scaltra Reeva e all’arrendevole, vigliacco Kraal. E udii nella mia mente la risata sibilante di Set. Davvero un modello di esseri umani molto fedele.
Cadde il silenzio. Eravamo diretti nuovamente verso la città, l’unica ancora popolata sulla faccia della Terra. Avevamo sorvolato le silenziose rovine abbandonate di molte antiche città, protette contro le ingiurie del tempo da bolle d’energia. Alcune di esse erano state interamente distrutte dalle guerre. Altre erano semplicemente deserte, come se l’intera popolazione avesse deciso di punto in bianco di abbandonarle.
Alcune di esse erano scomparse sotto l’avanzata delle acque del pianeta. La nostra sfera d’energia ci aveva portati lungo viali sommersi e ampie piazze in cui pesci e calamari saettavano nella poca luce solare che riusciva a filtrare dalla superficie.
Alla fine del nostro viaggio, mentre ci avvicinavamo all’unica città abitata della Terra, il vasto museo-laboratorio in cui il Radioso e gli altri Creatori erano intenti a tenere insieme il proprio universo, cercai di trovare il coraggio di porre ad Anya la domanda che più mi stava a cuore.