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— Tu… cioè, noi… — balbettai.

Anya portò su di me i suoi splendidi occhi grigi e sorrise. — So cosa vuoi dire, Orion. Ci siamo amati.

— E… mi ami ancora?

— Certo. Non lo avevi capito?

— E allora perché mi hai tradito?

Le parole fuoriuscirono dalla mia bocca prima che Set potesse fermarle, prima ancora che io stesso fossi conscio di avere intenzione di pronunciarle.

— Come? — Anya era scossa. — Tradito? Quando? Come?

L’intero mio corpo fu percorso da spasmi di dolore lancinante. Era come se ogni mia terminazione nervosa venisse arrostita fra le fiamme. Non potevo parlare, non riuscivo nemmeno a muovermi.

— Orion! — Anya rantolò. — Cosa ti succede?

Tutto in me suggeriva che fossi caduto in stato catatonico, rigido e muto come una statua di granito. Interiormente, invece, ero consumato dall’agonia, incapace di gridare o di piangere.

Anya mi carezzò il viso e trasalì, come se potesse avvertire il fuoco che ardeva dentro di me. Poi, con cautela, portò nuovamente le dita sul mio volto. La sua mano era fresca, e il suo tocco portava sollievo come se fosse in grado di assorbire l’agonia dal mio corpo.

— Ti amo davvero, Orion — disse, con voce così bassa da essere quasi un sussurro. — Ho assunto aspetto umano per restare con te, perché ti amo. Amo la tua forza, il tuo coraggio e la tua resistenza. Sei stato creato per essere un cacciatore, un assassino, ma ti sei elevato ben oltre i limiti che Aten aveva posto alla tua mente.

La rabbia corrosiva di Set correva senza freno dentro di me, ma il dolore che mi suscitava andava attenuandosi a mano a mano che cercava di nascondere la sua presenza agli occhi indagatori di Anya.

— Abbiamo vissuto molte vite insieme, amore mio — disse Anya. — Ho rischiato la distruzione totale per amor tuo, così come tu hai affrontato la morte per me. Non ti ho mai tradito, e mai lo farò.

“Ma è proprio quello che hai fatto” urlai in silenzio. “È ciò che farai! Così come io tradirò te, uccidendo voi tutti”.

29

— È in crisi catatonica — sogghignò il Radioso.

— È soggetto al controllo da parte di qualche essere ostile — rispose Anya. Non mi aveva portato al laboratorio del Radioso, bensì nell’appartamento di un grattacielo in cui ero stato alloggiato prima che iniziassimo il nostro viaggio intorno al mondo.

Potevo camminare. Ero in grado di reggermi in piedi. Suppongo che avrei potuto persino bere o mangiare, ma non riuscivo a parlare. Il mio corpo sembrava di legno, completamente insensibile mentre mi muovevo come un automa nel mezzo dell’ampio soggiorno del mio appartamento, le braccia distese lungo i fianchi, gli occhi fissi su una parete di specchi che riflettevano il mio volto assente.

Il Radioso indossava una tunica che gli arrivava alle ginocchia, composta di uno strano tessuto scintillante e aderente sul suo corpo dall’aggraziata muscolatura. Portò i pugni sui fianchi e sbuffò con disgusto.

— Volevi trattarlo con dolcezza, circondarlo di tenere attenzioni, e me lo riporti in stato catatonico.

Anya aveva cambiato abito; indossava una camicia bianca e senza maniche legata alla vita da una cinta color argento.

— La sua mente è sotto il controllo dell’entità che ne sta torturando il corpo — disse, con voce tesa e preoccupata.

— Come sarà giunto fin qui? — domandò il Radioso, camminandomi intorno come se stesse esaminando un animale da mostra. — È riuscito a fuggire ai suoi torturatori o è stato inviato da loro?

— Si direbbe che l’abbiano inviato loro — disse Anya.

— Già, lo penso anch’io. Ma perché?

— Chiamate gli altri — udii formulare dalla mia voce in una specie di lamento soffocato.

Il Radioso mi guardò con aria severa.

— Chiamate gli altri. — La mia voce si era fatta più decisa, più forte. Ma era la voce di Set, sfuggita al mio controllo.

— Gli altri Creatori? — domandò Anya. — Tutti quanti?

Sentii la mia testa piegarsi e sollevarsi per due volte. — Radunateli qui. Tutti. — Quindi aggiunsi: — Vi prego.

— Perché? — domandò il Radioso.

— Ciò che sto per dirvi — Set rispose attraverso le mie labbra — dev’essere rivelato a tutti i Creatori.

Il Radioso mi guardò con circospezione.

— Devono vestire forma umana — Set mi fece dire. — Non posso parlare a dei globi d’energia. Devo vedere volti e corpi umani.

Gli occhi scuri del Radioso si ridussero a due fessure. Ma Anya si limitò ad annuire. Rimasi in silenzio, immobile sotto il ferreo controllo di Set, incapace di muovermi e di parlare.

— Sarà piuttosto scomodo pressarci tutti in questa stanza — disse, assumendo un tono di scherno.

— La piazza principale — suggerì Anya. — C’è posto a sufficienza per tutti, laggiù.

Il Radioso annuì. — Va bene.

Erano soltanto in venti. Venti gli uomini e le donne che si erano assunti l’onere di manipolare lo spaziotempo. Venti immortali impegnati a lavorare per l’eternità con lo scopo di evitare un’implosione del continuum.

Erano splendidi. Le forme umane nelle quali si presentarono erano veramente divine. Gli uomini erano belli e forti, alcuni con la barba ma per lo più ben rasati, con occhi chiari e muscolatura possente ma ben proporzionata. Le donne possedevano la grazia di una pantera o di un ghepardo. La loro pelle era candida e perfetta, i loro capelli fluenti, gli occhi più lucenti delle gemme più pure.

Indossavano i vestiti più svariati: scintillanti uniformi di fibra metallica, lunghi mantelli, persino abiti di maglia di ferro. Mi sentii piuttosto sciatto nella mia semplice tunica dalle maniche corte.

La piazza nella quale ci raccogliemmo era un rettangolo perfetto che si stendeva secondo dimensioni pitagoriche. Colonne di marmo e stele d’oro massiccio si ergevano a ogni angolo della piazza. Uno dei suoi lati maggiori era occupato da un tempio greco così simile al Partenone da farmi chiedere se i Creatori l’avessero semplicemente copiato o piuttosto non l’avessero trasferito lì attraverso lo spaziotempo, direttamente dall’Acropoli. Sul lato opposto c’era un tempio buddista splendidamente decorato, con un Buddha seduto d’oro massiccio che osservava sereno una dea Atena armata di scudo e lancia. Sui due lati minori della piazza c’erano uno ziggurat sumero e una piramide maya, così simili fra loro da sembrare generati dalla mente della stessa persona.

Sopra di noi il cielo era azzurro, e leggermente scintillante a causa della cupola d’energia che copriva l’intera città.

Nel mezzo della piazza, sul liscio pavimento di marmo, si ergeva una sfinge scolpita nel basalto, poco più alta di me; il suo volto femminile mi era fastidiosamente familiare, anche se non mi riusciva di ricordare dove avessi già potuto ammirarlo. Non somigliava al volto di nessuno dei venti Creatori che si erano riuniti intorno a me.

Ero in piedi con la schiena rivolta verso la sfinge, circondato da un cilindro di energia scintillante d’azzurro. Il Radioso non voleva correre rischi. Sospettava che fossi stato inviato lì da un nemico. Lo schermo d’energia serviva a tenermi a bada.

Set si divertì di fronte a quella precauzione. — Stupida scimmia — disse, dentro di me. — Quanto sopravvaluta i propri poteri.

I Creatori erano curiosi di conoscere il motivo per cui fossi giunto lì. Si strinsero in gruppetti di due o tre individui, parlandosi l’un l’altro a voce bassa, come in attesa della comparsa di qualcun altro. “Sono proprio simili a scimmie”, pensai. “Chiacchierano di continuo, in costante ricerca di appoggio reciproco. Persino nella forma più alta della loro esistenza mantengono tale aspetto della loro origine scimmiesca”.