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— Ti aiuterò a morire — dissi alla stella. — Metterò fine alla tua agonia.

Affondai attraverso innumerevoli strati di plasma, dritto verso il cuore di Sheol, nel quale le particelle subatomiche erano raggruppate con maggior densità del più compatto dei metalli. Sempre più in fondo, nelle profondità di un inferno nel quale nemmeno gli atomi esistevano come tali, superando onde su onde di raggi gamma e pulsazioni di neutrini; giù verso il cuore della stella, in cui i nuclei più pesanti generavano temperature e pressioni tali da non riuscire più a sopportarle neanche loro stessi.

Lì scatenai tutta l’energia che era stata convogliata in me, come un coltello affondato nel cuore di un nemico antico e temibile. Come per mettere fine alle sofferenze di un’anima tormentata da un cancro terribile.

Sheol esplose. E io persi la vita.

31

Fu nell’istante della devastazione finale, mentre la stella esplodeva a causa dell’energia che avevo diretto contro il suo cuore, che compresi quanto in effetti il sapere dei Creatori fosse vasto.

Morii. In quel maelstrom d’inimmaginabile violenza venni straziato; ogni atomo di quello che era stato il mio corpo andò in frantumi, i nuclei si divisero in strane particelle effimere che fiammeggiarono per una frazione di secondo.

Eppure la mia coscienza sopravvisse. Provai le pene dell’inferno mentre Sheol esplodeva ripetutamente.

Il tempo collassò intorno a me. Rimasi sospeso in stasi spaziotemporale, privo di corpo ma ancora cosciente mentre i pianeti giravano intorno al Sole con tale velocità da apparire come semplici strisce di luce colorata.

Vidi milioni di anni snodarsi veloci davanti a me. Privo di un corpo materiale, privo di occhi, semplice nucleo della mia stessa essenza, schema minimo essenziale di quell’intelligenza che ero io, ispezionai attentamente le conseguenze della devastazione di Sheol.

Con grande sorpresa mi accorsi di non aver causato la distruzione definitiva della stella. Era troppo piccola per esplodere in una supernova, causando un cataclisma di dimensioni così titaniche da non lasciare nulla intorno a sé a eccezione di una minuscola pulsar, una sfera di neutroni ampia soltanto una settantina di chilometri. No, l’esplosione di Sheol era un disastro di proporzioni minori, quella che un tempo gli astronomi della Terra avrebbero chiamato una nova.

Ma pur sempre un cataclisma.

La prima esplosione spazzò via gli strati esterni della stella. Sheol brillò con tale intensità da essere visibile a migliaia di anni-luce di distanza. L’involucro gassoso esterno del corpo celeste venne scaraventato nello spazio, soffocando in un abbraccio mortale il suo unico pianeta.

Su quel mondo arido e polveroso, il cielo si fece così luminoso da bruciare tutto ciò che di combustibile esisteva sulla sua superficie. Piante, cespugli, erba, animali, tutto prese fuoco. Ma le fiamme si spensero velocemente mentre l’atmosfera di Shaydan veniva scaraventata nello spazio dall’intenso calore. Quel poco d’acqua presente sulla superficie del pianeta evaporò nel giro di un istante.

Il calore vivo raggiunse i corridoi sotterranei in cui gli shaydiani avevano scavato le loro città. Milioni di rettili morirono fra indicibili tormenti, i loro polmoni bruciati e avvizziti. Nel giro di pochi secondi tutta l’aria venne risucchiata via, e quei pochi che erano riusciti a sfuggire al calore morirono soffocati, i polmoni accartocciati su se stessi, gli occhi esplosi fuori dalle orbite. I patriarchi perirono in sibilante agonia, e così i giovani rettili clonati a loro immagine.

Le rocce sulla superficie di Shaydan cominciarono a liquefare. Le montagne si sciolsero in lava fusa per poi raffreddarsi in vasti mari di vetro. Il pianeta stesso gemette sotto la tremenda energia prodotta dall’esplosione di Sheol. La vita venne spazzata via dalla sua superficie polverosa. Le città sotterranee di Shaydan rimasero disseminate di cadaveri carbonizzati, perfettamente conservati per le epoche a venire dal vuoto che aveva ucciso persino i più minuscoli microbi sul pianeta.

Ed era stata soltanto la prima esplosione.

Migliaia di anni passarono in un batter d’occhio. Milioni di anni nel giro di un battito cardiaco. Non che possedessi occhi o cuore, ma gli eoni sembrarono passare come in un film di animazione mentre osservavo la scena dal mio punto privilegiato nello spaziotempo.

Sheol esplose di nuovo. E di nuovo. I Creatori non volevano lasciare traccia alcuna di quell’astro. Fulmini d’energia sciamarono dalle profondità dello spazio interstellare per concentrarsi nel cuore di Sheol e straziarlo come un avvoltoio depreda le viscere della sua vittima.

Ogni esplosione sprigionò una pulsione di energia gravitazionale tale da schiacciare il pianeta Shaydan come un maglio frantuma una pietra. Vidi enormi fessure aprirsi da un polo all’altro di quel mondo morto e privo d’atmosfera.

Infine Shaydan si spaccò. A un’ulteriore esplosione della stella, il pianeta andò in frantumi nel silenzio assoluto dello spazio profondo… nello stesso silenzio in cui avevano vissuto i suoi abitanti, mi scoprii a pensare.

Improvvisamente il sistema solare si riempì di frammenti sibilanti come proiettili. Alcuni di essi erano grandi come pianeti, altri soltanto come una montagna. Guardai affascinato e in preda all’orrore quei frammenti scontrarsi l’un l’altro, esplodere, andare in pezzi, rimbalzare e urtarsi di nuovo. E si scontrarono anche con gli altri pianeti, il rosso Marte, l’azzurra Terra e la sua pallida luna butterata.

Una massa di roccia rettangolare s’infranse sulla sottile crosta di Marte, e quell’impatto titanico fece liquefare il mantello sottostante, sollevando oceani di lava bollente che fluirono attraverso l’intero pianeta, sollecitando enormi vulcani che vomitarono polvere, fuoco e rocce su buona metà della sua superficie. Fiumi di lava fusa scavarono profondi canali lunghi migliaia di chilometri.

Rivolsi la mia attenzione verso la Terra.

Le esplosioni di Sheol di per se stesse non avevano provocato molti danni. A ogni pulsione della stella morente i cieli notturni della Terra s’illuminavano d’aurora dal polo all’equatore, mentre particelle subatomiche provenienti dall’esplosione di plasma di Sheol colpivano il campo magnetico del pianeta surriscaldandone la ionosfera. Le pulsioni gravitazionali che avevano distrutto Shaydan non causarono effetti visibili sulla Terra; i circa seicento milioni di chilometri di distanza fra i due pianeti avevano indebolito le onde gravitazionali fino a ridurle a proporzioni irrilevanti.

Ma i frammenti di Shaydan, i resti di quel mondo distrutto, minacciarono di spazzare via la vita sulla faccia della Terra.

Per un milione di anni le piogge infuocate continuarono a scagliare migliaia di frammenti di pietra e metallo sulla Terra. Per lo più si trattava di piccoli massi che si disintegravano al loro ingresso nell’atmosfera, o di meteore che raggiungevano la superficie del pianeta mutate in granelli di polvere quasi invisibili. Ma di tanto in tanto, frammenti più grossi del pianeta esploso venivano imprigionati dalla gravità terrestre, scendendo verso la superficie della Terra come masse infuocate che illuminavano interi continenti al loro passaggio.

Pezzi di roccia e metallo di tanto in tanto penetrarono nell’atmosfera torturata del pianeta, urlando come tutti i demoni dell’inferno, percuotendone la superficie con terribili esplosioni. Come miliardi di bombe all’idrogeno che esplodano contemporaneamente, ognuna di queste gigantesche meteore colpì il pianeta con tale violenza da farlo tremare sul proprio asse.