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Si sollevarono così nuvole di polvere estese come interi continenti, che si ersero oltre la stratosfera per portare le tenebre su mezzo mondo, schermando per settimane la luce del sole.

Laddove colpirono i mari, le meteoriti affondarono nella crosta di roccia delle profondità oceaniche, raggiungendo il mantello liquido al di sotto di essa. Tali impatti generarono alti geyser di vapore, producendo nubi in grado di schermare la luce del sole ancor più delle nuvole di fumo provocate dagli impatti con la terra.

La temperatura precipitò in tutto il mondo. In prossimità dei poli l’acqua salata solidificò in ghiaccio. I livelli marini scesero in tutto il pianeta, ed estesi mari interni si prosciugarono nel giro di un istante. Le creature che avevano vissuto di quelle acque perirono; le delicate alghe così come gli enormi becchi-d’anatra, privati del loro habitat naturale.

I frammenti generati dall’esplosione di Shaydan continuarono a cadere sulla Terra, penetrando nella crosta terrestre e generando catastrofici terremoti. Il terreno si aprì in enormi fessure lunghe mezzo pianeta. Esplosero nuove catene vulcaniche; interi continenti si divisero. Assistetti alla nascita dell’Oceano Atlantico e lo vidi estendersi sempre più, dividendo l’Africa e l’Eurasia dalle Americhe.

Catene montuose si ersero da terre che erano state pianeggianti; blocchi di roccia grandi come continenti interi si spostarono sul proprio asse, e il loro clima mutò radicalmente. Laddove erano state le paludi si ersero altipiani, e altre specie di piante e animali vennero spazzate via per sempre, cancellate dall’incessante mutazione del pianeta.

Il clima si fece ancora più rigido, mentre nuove catene montuose bloccavano le antiche correnti d’aria e nuova terra emergeva dal prosciugamento dei mari interni e delle paludi. Le correnti oceaniche mutarono corso, mentre nuove placche tettoniche si formavano dalle crepe che circondavano mezzo pianeta e le vecchie zolle si rinsaldavano nell’abbraccio rovente del manto planetario, generando immensi terremoti che devastarono ancora altri habitat.

Avrei voluto avere occhi per piangere. Le specie morivano a migliaia, spietatamente cancellate dalla faccia della Terra per causa mia, per ciò che avevo fatto. Distruggendo Sheol, facendo esplodere Shaydan, avevo condannato a morte piante e animali, predatori e prede, creature grandi e piccole.

Intere famiglie di plancton microscopico vennero sterminate da un polo all’altro, intere specie di piante finirono con l’estinguersi. Le graziose ammoniti chiuse nelle loro conchiglie, che avevano assistito alla distruzione portata da Set sulla Terra più di cento milioni d’anni prima, scomparvero per sempre dal ciclo della vita.

E i dinosauri. I giganteschi tirannosauri e gli innocui becchi-d’anatra, gli enormi triceratopi e i minuscoli stenonicosauri… tutti scomparsi, per l’eternità.

Non avevo certo agito con l’intenzione di annientare tutte quelle specie, ma ugualmente mi sentii schiacciare dal peso della mia colpevolezza cosmica. Il mio odio nei confronti di Set e della sua specie aveva generato tutta quella sofferenza, tutta quella morte. Avevo raggiunto la mia vendetta personale al prezzo dell’estinzione di intere forme di vita.

Riportai la mia attenzione sulla nuova Terra. Calotte di ghiaccio scintillavano ai suoi poli. Le rozze sagome dei continenti avevano assunto forme a me più familiari, sebbene non fossero ancora distanziate sul globo come le ricordavo. L’Atlantico si stava ancora estendendo, mentre vulcani punteggiati di rosso avvampavano per l’intera lunghezza della fessura che si estendeva dall’Islanda all’Antartico. L’America settentrionale e quella meridionale non erano ancora unite, e il bacino che un tempo sarebbe stato il Mediterraneo era una distesa di terra coperta d’erba.

Vidi una foresta stendersi alta contro il sole del mattino. Il cielo era limpido. Il bombardamento dei frammenti di Shaydan era finalmente cessato.

Un ruscello scorreva tra quei boschi. L’erba cresceva verde lungo le sue rive, i fiori si muovevano al vento rossi, gialli e arancio mentre le api ronzavano operose fra essi. Una tartaruga scivolò giù per un tronco e s’immerse nelle acque del ruscello, spaventando un rospo lì vicino che saltò fra le canne lungo la riva.

Gli uccelli si librarono in volo su splendide ali multicolori. Un piccolo animale provvisto di pelliccia era seduto su uno dei rami più alti di un albero, gli occhi neri e lucenti, il naso contratto in una smorfia d’inquietudine.

Questo è quanto rimane della vita sulla Terra, pensai tra me e me. Dopo la catastrofe che avevo causato, il pianeta era costretto a intraprendere un nuovo inizio.

Pensai allora che, come Set aveva ripulito la Terra per far posto alla propria razza di rettili, anch’io avevo involontariamente scagliato il pianeta verso il nuovo olocausto che un giorno avrebbe portato all’avvento della mia specie. Quel piccolo essere provvisto di pelliccia era un mammifero, un mio antenato, progenitore di tutta l’umanità e degli stessi Creatori.

Di nuovo compresi di essere stato uno strumento nelle loro mani. Avevo sacrificato il mio corpo, la mia stessa vita, non solo per distruggere Shaydan, ma per fare tabula rasa sulla Terra e prepararla così all’avvento dei mammiferi e della razza umana.

— Proprio come avevo intenzione di fare io per salvare la mia gente.

Era la voce di Set nella mia mente.

— Non sono morto, Orion. Sono vivo, qui sulla Terra insieme ai miei schiavi e ai miei servitori… grazie a te.

LIBRO QUARTO

Terra

Per quanto venga tolto, tanto rimane; e sebbene Non sia più nostra quella forza che, in epoche antiche, Muoveva la terra e i cieli, siamo ancora ciò che siamo… La stessa tempra di eroici cuori, Indeboliti dal tempo e dal fato ma forti nella volontà Di lottare, cercare, scovare e non mollare.

32

Set era vivo.

Quel pensiero bruciava dentro di me come una lama rovente nelle mie carni. Era sopravvissuto alla distruzione dei suoi simili, del suo pianeta, della sua stella. Era ancora vivo. Sulla Terra.

Avevo distrutto Sheol e Shaydan e cancellato gran parte delle forme di vita sulla Terra. Tutto invano. Non ero riuscito a uccidere Set.

— Ti scoverò — dissi in silenzio. Privo di corpo, senz’altro che la mia essenza cosciente, scagliai la mia sfida contro il mio mortale nemico. — Riuscirò a scovarti, e ti distruggerò una volta per tutte.

— Vieni a prendermi — fu la pronta risposta di Set. — Non aspetto che d’incontrarti per l’ultima volta.

Il suo essere brillava come una torcia contro il nero vuoto dello spaziotempo. Sapevo dove e quando si trovava. Concentrando ogni grammo di volontà in mio possesso, misi a fuoco la mia attenzione su di lui. Diressi me stesso attraverso l’intricata matassa del continuum verso il luogo e il tempo nel quale egli esisteva.

Un lampo di freddo intenso, un momento di assoluta oscurità e di gelo criogenico, quindi aprii gli occhi e inspirai una profonda boccata di vita.

Ero disteso supino, il corpo nudo disteso sulla calda, soffice terra. Alberi immensi si ergevano tutt’intorno a me, e la brezza gentile era colma dell’odore dei fiori e dei pini. Udii il canto melodioso di un uccello.

Sì. Era di nuovo Paradiso.

Mi alzai a sedere, guardandomi d’intorno. Davanti a me il terreno seguiva una leggera pendenza. In lontananza un’orsa bruna camminava dinoccolata, seguita da due palle di pelo che erano i suoi piccoli. L’animale si fermò e sollevò il capo, per fiutare l’aria. Se anche avesse avvertito il mio odore, non lo diede a vedere. Riprese il suo passo lento allontanandosi dal luogo in cui mi trovavo, coi suoi cuccioli che trotterellavano sempre dietro di lei.