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Ma almeno due esseri umani erano riusciti a fuggire, nascondendosi tra i cespugli. Abbandonai il sentiero dei dinosauri e proseguii in direzione delle altre impronte. In meno di dieci minuti a esse si unirono le orme di un dinosauro; chiunque fosse a capo degli scorridori aveva mandato un drago all’inseguimento dei fuggitivi.

Il sole si apprestava a calare dietro una catena di basse colline quando li vidi. Al centro di una radura un uomo era accovacciato sulle proprie ginocchia, e al suo fianco una donna tremante di paura stringeva tra le braccia il proprio bambino. Uno dei cloni di Set stava davanti a loro: non molto più alto della donna, con le scaglie color rosa salmone tipiche di uno shaydiano non ancora adulto. Sul limitare della radura era in attesa un drago, alto quasi quanto le cime dei giovani alberi, gli occhi scintillanti di rabbia.

Capii che lo shaydiano aveva intenzione di uccidere l’uomo. Gli strinse la gola, che sanguinò sotto i suoi artigli.

— Lascialo stare! — gridai, sollevando la lancia oltre la testa.

Lo shaydiano si voltò, sibilando per la sorpresa mentre scagliavo la lancia con tutte le mie forze. Lo colpii in pieno petto, facendolo barcollare all’indietro.

Anche il drago si voltò verso di me. Mi concentrai su di lui e, per un incredibile istante, osservai la scena attraverso i suoi occhi a fessura: l’uomo ancora in ginocchio, a bocca aperta di fronte al rettile morto, la donna impietrita dal terrore col bambino stretto al seno e il robusto Orion a una decina di metri di distanza, a mani vuote, disarmato.

Ordinai al drago di allontanarsi e raggiungere gli altri. Gli fornii l’ordine mentale di uccidere ogni capra, mucca e orso che avesse incontrato sulla sua strada. L’animale sibilò come una caffettiera e si sollevò sulle zampe posteriori.

La sua testa si mosse avanti e indietro, verso di me e verso la famigliola, mostrando incertezza sul da farsi. Dovevamo rappresentare un facile pasto ai suoi occhi. Mi concentrai il più possibile per convincerlo ad allontanarsi. Infine s’incamminò barcollando e sparì tra gli alberi.

Tirai il sospiro che avevo trattenuto per quelle che sembravano ore intere. L’uomo si rimise in piedi, dolorante. La sua schiena era striata da lunghe ferite di artiglio, grondanti sangue. M’incamminai verso i tre umani e lo shaydiano morto, per recuperare la lancia.

Riconobbi Kraal e Reeva nello stesso istante in cui essi riconobbero me.

— Orion! — singhiozzò l’uomo, buttandosi nuovamente in ginocchio.

Reeva strabuzzò gli occhi e strinse il bambino ancora più forte a sé. Era di nuovo incinta.

Senza dire una sola parola, avanzai verso il rettile morto ed estrassi la lancia dalla sua pelle coriacea.

— Risparmiala, Orion — implorò Kraal, ancora in ginocchio. — Vendicati su di me, ma risparmia la vita a lei e al bambino.

— Dov’è il mio coltello? — Erano molte le cose che avrei voluto dire a quel miserabile traditore frignante. Quelle, però, furono le uniche parole che riuscii a pronunciare.

L’uomo cercò a tastoni sotto le sporche pelli di cui era coperto e, con mani tremanti, mi porse il coltello ancora infoderato.

— Devi essere un dio — disse Kraal, abbassando il viso sul terreno di fronte a me. — Soltanto un dio è in grado di uccidere simili mostri. Soltanto un dio può indossare la pelle di un denti-a-sciabola.

— Uomo o dio, tu mi hai tradito.

— E tu cos’hai fatto per noi? — gridò Reeva, con occhi fiammeggianti. — Da quando ti abbiamo incontrato non abbiamo avuto che morte e distruzione.

— Eravate degli schiavi quando vi ho incontrati. Vi ho resi liberi.

— Liberi di essere cacciati da Set e dai suoi demoni! Liberi di essere uccisi o torturati, di vedere i nostri villaggi bruciati o rasi al suolo!

— Avete deciso di servire Set. Questa è la vostra ricompensa. Non avete tradito solo me, ma tutta la vostra gente. E Set ha tradito voi. Questa si chiama giustizia.

— Cos’hai intenzione di farci? — domandò Kraal, con tono ancora adulatore.

Mi chinai e lo feci mettere in piedi. — Darò battaglia a Set. Cercherò di uccidere lui e la sua gente, di modo che possiate ereditare questa terra e vivere in libertà.

L’uomo rimase a bocca aperta. Reeva, sospettosa, domandò: — Perché mai dovresti fare una cosa simile per noi?

Abbozzai un debole sorriso. — Non voglio che questo piccolo cresca in schiavitù. Non voglio che mai un essere umano diventi schiavo di quel mostro.

Quella notte mi accampai insieme a loro. Era chiaro che mi temevano, disorientati dai motivi per i quali avevo deciso di lasciarli in vita e ingaggiare battaglia con l’invincibile Set. Il nome del piccolo, mi dissero, era Kaan.

Come avevo temuto, Set stava metodicamente spazzando via ogni tribù che riuscisse a scovare. Imbarazzato, balbettando nel parlare, Kraal riferì che per un primo periodo i seguaci di Set lo avevano trattato piuttosto bene, mentre lui e Reeva aiutavano i demoni ad accerchiare i villaggi e a ridurne in schiavitù gli abitanti. Chron, Vorn e tutti quelli che avevo conosciuto erano stati messi in prigionia in tale modo.

— Ma quando la stella rossa cominciò a brillare e a muoversi nel cielo, Set divenne furioso. I suoi demoni cominciarono a radere al suolo ogni villaggio. Infine accerchiarono anche il nostro, uccidendoci quasi tutti. Poi diedero fuoco alle case e presero i superstiti come schiavi.

Annuii nelle ombre della sera. — E voi avete cercato di fuggire.

— Reeva si è allontanata dal gruppo, e io l’ho seguita — Kraal proseguì. — Ci siamo messi a correre con tutte le nostre forze, ma alla fine uno di quei demoni è riuscito a trovarci. Allora sei apparso tu, come un dio, e ci hai salvati.

Per tutto il tempo Reeva non aveva pronunciato una parola, sebbene potessi percepire il suo sguardo su di me.

— Set è malvagio — dissi a Kraal. — Ha intenzione di ucciderci tutti. Forse a qualche essere umano viene risparmiata la vita perché possa servirlo come schiavo, ma la morte è la ricompensa che ha in serbo per tutti noi.

— Hai intenzione di combatterlo? — domandò Kraal.

— Sì.

— Da solo? — domandò Reeva. Il tono della sua domanda mi fece comprendere che temeva volessi chiedere il loro aiuto.

— Da solo — risposi.

— E la sacerdotessa? Anya? Dov’è? Non verrà con te ad aiutarti?

— No, non può farlo — dissi.

— Dovrò affrontarlo da solo.

— Allora ti ucciderà — disse Reeva, senza tanti giri di parole.

— E poi ucciderà tutti noi.

— Può darsi — ammisi. — Ma non senza combattere.

Il mattino seguente mi congedai da loro. — Un giorno — dissi — quando il giovane Kaan saprà parlare e camminare e il bambino nel tuo ventre sarà nato, incontrerete altri vostri simili, e allora apprenderete che Set è stato sconfitto. Allora sarete veramente liberi.

— E che cosa accadrà se sarà Set a uccidere te? — domandò Reeva.

— In quel caso, un giorno i suoi demoni e i suoi draghi vi scoveranno e uccideranno ognuno di voi.

Li lasciai con quel terribile pensiero e ripresi la marcia verso nord-est.

Un giorno dopo l’altro avanzai da solo attraverso la foresta di Paradiso, verso il luogo del mio scontro finale con Set. Superai la vallata rocciosa in cui avevo ideato il dio che parla. Superai altri due villaggi, carbonizzati e deserti come quello di Kraal. Ma non incontrai altri esseri umani a Paradiso.

I demoni di Set avevano visitato tutti i villaggi, uccidendo e depredando, portando via con sé pochi uomini in schiavitù e massacrando tutti gli altri. Volevano cancellare gli esseri umani dal mondo, per fare della Terra la nuova dimora della loro razza di rettili.