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Anya si raggomitolò fra le mie braccia, addormentandosi all’istante. Mentre il fuoco moriva lentamente per poi ridursi in cenere, rimasi a fissare il volto di lei, sporco del grasso della nostra cena. Aveva i capelli arruffati. Nonostante tutti i suoi sforzi, non era più l’impeccabile dea depositaria di una cultura superiore. Ricordai vagamente un’altra esistenza, trascorsa insieme a quell’altra tribù di cacciatori in cui lei era una di loro, un’intrepida sacerdotessa che gioiva alla vista del sangue e per l’eccitamento della caccia.

Non sarebbe stato poi così male anche se fossimo stati costretti a rimanere in quell’epoca, pensai. Perdere contatto con i Creatori presentava anche qualche lato positivo. Saremmo stati liberi dai loro schemi e dalle loro congetture. Liberi dalle responsabilità di cui mi avevano gravato. Avremmo potuto vivere felici in quel paradiso come una coppia di normalissimi esseri umani; non più dea e creatura ma un uomo e una donna che conducevano una vita normale in un’epoca semplice e primitiva.

Vivere una vita normale, liberi finalmente dal volere dei Creatori. Sorrisi a me stesso nell’oscurità, e per la prima volta da quando eravamo giunti in quel tempo e luogo mi lasciai sprofondare in un corroborante sonno profondo.

Ma insieme al sonno venne un incubo. No, non un incubo: un messaggio. Un avvertimento.

Vidi la statua di Set sovrastare le rive del Nilo. La statua tremò e prese vita sotto il mio sguardo. I suoi occhi spenti di granito si animarono per mettersi a fuoco su di me. Un’ondata di calore secco sembrò far evaporare tutte le forze dal mio corpo; era come se qualcuno avesse spalancato d’improvviso la porta di una gigantesca fornace. Un acre odore di zolfo mi riempì i polmoni. La bocca di Set si aprì sibilando e scoprendo file su file di denti aguzzi.

Era una presenza opprimente. Si profilava sopra di me, eretta sulle artigliate zampe posteriori. La lunga coda dondolava lentamente avanti e indietro mentre quegli occhi da rettile mi guardavano con la stessa espressione di un invincibile predatore che osservi una vittima particolarmente innocua e indifesa.

— Tu sei Orion.

Non aveva parlato; le parole erano fluite direttamente nei miei pensieri. Erano parole colme di malevolenza, pervase da una malvagità così profonda e perfetta da farmi provare brividi su per la spina dorsale.

— Io sono Set, signore di questo mondo. Sei stato inviato qui per distruggermi. Abbandona ogni speranza, sciocco: è impossibile.

Non potevo parlare, non riuscivo nemmeno a muovermi. Allo stesso modo mi ero sentito quand’era stato generato dal Radioso. Anche la sua presenza mi aveva paralizzato; tale era stato l’effetto che aveva prodotto nella mia mente. Eppure, in qualche modo avevo imparato a vincere quella sensazione. Adesso quella mostruosa apparizione carica di malvagità mi aveva soggiogato con forza ancora maggiore. Sapevo, con matematica sicurezza, che Set avrebbe potuto bloccare il mio respiro con un’occhiata, fermare il mio cuore con un semplice movimento del suo occhio rosso e fiammeggiante.

— I tuoi Creatori mi temono, e a ragione. Riuscirò a distruggerli senza fatica, loro e tutte le loro creature, a cominciare da te.

Cercai di muovermi, di dire qualcosa, ma non ero più in grado di controllare nessuna parte del corpo.

— Pensi di avermi danneggiato gravemente, uccidendo una delle mie creature e portando via un gruppetto di schiavi dal mio giardino?

Il terrore che Set riversava dentro di me andava oltre qualsiasi immaginazione. Compresi di trovarmi al cospetto del più terribile fra i timori profondi della specie umana, quello che un giorno avrebbero evocato col nome di Satana.

— Pensi di poter sfuggire al mio castigo, ora che hai raggiunto il tuo paradiso? — proseguì Set, con parole che bruciavano nella mia mente.

Non sapeva ridere, ma nel tono della sua voce percepii un diletto corrosivo come acido mentre diceva: — Vi infliggerò una punizione tale da farvi implorare la morte e il fuoco eterno. Anche nel vostro paradiso posso mandare un flagello in grado di scovarvi nella più fonda delle notti. Non subito. Forse nemmeno per molte notti a venire. Ma presto, molto presto.

Urlai per lo sforzo, nel tentativo di liberarmi dalla sua stretta mentale. Ma le mie grida erano silenziose; non avevo forza sufficiente per dar loro voce. Non riuscivo nemmeno a sudare, nonostante avessi raccolto ogni grammo della mia forza nel disperato tentativo di combattere il potere che quel mostro esercitava su di me.

— Non disturbarti a combattere, umano. Goditi quei frammenti di vita che ti sono rimasti. Vi annienterò tutti, compresa la donna che ami, la sedicente dea. A lei riserverò la più dolorosa delle morti.

Poi, d’improvviso, stavo urlando a squarciagola. Seduto sul terreno muschioso sotto gli alberi di Paradiso, mentre il sole si affacciava su un nuovo giorno, gridavo di terrore, colmo dell’odio verso se stessi che deriva dall’impotenza.

5

Tutti mi si fecero intorno, sgranando gli occhi, lanciandomi sguardi inquisitivi.

— Cosa c’è, Orion?

— Niente — risposi. — Un brutto sogno; nient’altro che un brutto sogno. — Ma ero fradicio di sudore, e dovetti controllare i nervi per non mettermi a tremare.

Mi chiesero di raccontare il sogno, per poterlo interpretare. Risposi che non riuscivo a ricordare nulla, e alla fine li convinsi a lasciarmi in pace.

Ma erano visibilmente scossi. E Anya mi guardava con occhi interrogativi. Sapeva che era necessario ben più di un incubo per farmi gridare.

— Andiamo — dissi, rivolto a tutti. — Dobbiamo inoltrarci ancora di più in questi boschi. — Dobbiamo allontanarci da Set il più possibile, intendevo dire, anche se non potevo pronunciare quelle parole ad alta voce.

Anya si portò al mio fianco. — Era il Radioso? O uno degli altri Creatori?

Scrollando il capo, risposi con una sola parola: — Set.

Il colore scomparve dal suo volto.

Avanzammo nella foresta per molti giorni ancora, seguendo il rigagnolo che sfociò in un torrente più ampio le cui acque scorrevano verso sud. Ormai tutti gli uomini avevano una lancia, e io avevo insegnato loro a indurirne la punta con il fuoco. Volevo raggiungere un luogo in cui vi fossero selci e quarzi in abbondanza, per poter costruire attrezzi e armi di pietra.

Gli uccelli saltellavano veloci fra i rami degli alberi, brillanti lampi di colore in tutto quel verde. Gli insetti producevano un costante ronzio di sottofondo. Scoiattoli e altri piccoli mammiferi pelosi si arrampicavano veloci su per i tronchi al nostro passaggio per poi fermarsi a guardare. La mia sensazione di pericolo si attenuò, i miei timori della presenza strisciante di Set diminuivano a mano a mano che ci inoltravamo in quella pacifica, fresca, benevola foresta.

O meglio, quello era il suo aspetto diurno. Di notte era un’altra faccenda. Nell’oscurità, la foresta era un mondo del tutto differente. Anche con un fuoco di notevoli dimensioni a scaldare e illuminare il nostro accampamento, di notte essa assumeva un aspetto lugubre e minaccioso. Le ombre si muovevano come esseri viventi. Urli e gemiti si propagavano nell’oscurità. I tronchi stessi si mutavano in oscure figure contorte che allungavano le braccia in cerca di una vittima da ghermire. Gelidi brandelli di nebbia fluttuavano come spettri appena oltre il calore del nostro fuoco, facendosi sempre più vicini man mano che le fiamme scemavano.

Il nostro gruppetto passava quelle agghiaccianti notti di tenebra fra sonni agitati, turbati dagli incubi e dal timore di ciò che poteva muoversi al di là della nostra visuale. Avanzavamo alla luce del giorno, quando la foresta era rallegrata dal canto degli uccelli e illuminata dai raggi del sole che filtravano tra i rami degli alberi. Di notte ci rannicchiavamo l’uno vicino all’altro, timorosi di tutto ciò che non potevamo vedere.