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— Capitano? —Nell’auricolare risuonò la voce del mio comandante in seconda, il tenente Quint.

— Parli pure, Quint —bisbigliai al microfono.

— Sta bene, signore?

— Una bruciatura alla spalla, non è niente di grave.

— Sembra che se ne siano andati, signore.

Chiamai a rapporto gli uomini di pattuglia: quattro soldati erano stati uccisi, altri sei feriti. Non c’erano stati altri attacchi.

Aspettai per quasi un’ora. Niente. Tutti gli uomini avevano lasciato il lavoro per imbracciare le armi e rinforzare il perimetro del campo, ma il nemico sembrava svanito nel nulla, con la stessa rapidità con cui era comparso.

Alla fine ci trascinammo faticosamente al campo, ancora in fase di allestimento. Ordinai di raddoppiare la sorveglianza, mentre il tenente Frede si occupava dei feriti e la squadra addetta alla sepoltura congelava i morti. Frede sembrava perplessa mentre mi applicava un gel alle proteine sulla ferita alla spalla.

— Le sue ferite sono già quasi guarite.

— È una capacità di cui sono stato dotato.

— Ma come? La biomedica non è in grado di farlo. Se potessimo, ne doteremmo tutti i nostri soldati.

Mi strinsi nelle spalle. —Immagino di essere il prototipo. Il primo di una nuova stirpe.

Lei mi lanciò un’occhiata carica di sospetto.

— Comunque l’importante è che li abbiamo sconfitti —ripresi, ostentando un’allegria che non provavo.

L’espressione di Frede era ancora dubbiosa.

Fuori, il sergente Manfred aspettava di essere medicato. Aveva il volto pieno di graffi e un braccio bendato alla meglio con un pezzo di tela che grondava sangue.

— Li abbiamo sconfitti —ripetei anche a lui.

— Sono ancora là fuori —replicò serio, con la sicurezza di un veterano. —Questa è stata solo un’esercitazione di prova. Torneranno. Questa notte, con ogni probabilità.

4

Noi uomini siamo creature diurne: dormiano col buio e siamo attivi nelle ore del giorno. Gli Skorpis, stando al rapporto in mio possesso, discendevano dai felini e avevano perciò abitudini notturne. Una ragione di più per non comprendere il motivo del nostro atterraggio notturno. Una ragione di più per credere che Manfred avesse ragione; il prossimo attacco da parte degli Skorpis avrebbe avuto luogo di notte.

Non volevo farmi cogliere impreparato, ma mi trovavo di fronte a un grosso dilemma. Se avessi messo un maggior numero di uomini a guardia del perimetro, ne sarebbero rimasti ben pochi a montare il ricetrasmettitore, senza il quale non avremmo potuto mettere in funzione le armi pesanti e i sensori di cui avevamo bisogno per rendere la base ragionevolmente sicura.

Disponevamo di un solo tipo di arma pesante: il paio di laser antimissili che, una volta montati, avevano una gittata sufficiente a proteggerci dalle testate nucleari. Almeno, stando a quanto era scritto sul rapporto. Rabbrividii al pensiero che contro di noi venissero usate armi nucleari, ed evidentemente l’alto comando condivideva i miei timori: ecco il perché del sistema antimissilistico. Avevamo ricevuto ordine di allestirlo immediatamente ed eravamo stati ben felici di metterci all’opera.

Alla fine decisi di rischiare, e assegnai il maggior numero di soldati, ossia circa la metà, all’opera di installazione. Di più non avrebbero fatto che intralciarsi l’un l’altro. Gli altri furono assegnati alla sorveglianza del perimetro difensivo.

Anch’io ne percorsi più volte il tracciato, studiando il paesaggio e cercando di individuare postazioni favorevoli. Se non fossi stato tormentato da mille timori, forse avrei potuto persino godermi quello splendido pomeriggio. La foresta era bella, gli alberi alti e con i fusti dritti, e il sole filtrava attraverso le fitte chiome disegnando sul terreno macchie luminose. Uccelli variopinti saltavano tra i rami, gli insetti ronzavano. Vidi persino un animaletto coperto di pelliccia attraversare il terreno erboso e inerpicarsi su un tronco. Troppo piccolo per essere uno dei lemuri di cui aveva parlato l’Intelligence, pensai.

Non vedevo segni degli Skorpis o di altri nemici. Non un generatore disattivato, né impronte sul terreno. Molti alberi recavano segni sulla corteccia, ma questo si poteva facilmente spiegare. C’era stato uno scontro armato, e quelle erano certamente le bruciature delle pistole laser. Per le tracce che avevano lasciato, gli Skorpis avrebbero potuto anche non esistere.

Poi però notai qualcosa che attrasse la mia attenzione: un canale largo e dalle acque basse che, diramandosi da un torrente vicino, scorreva proprio verso il centro della nostra base. Un percorso naturale che arrivava al cuore del nostro accampamento. Un battaglione poteva procedere carponi lungo quel canale senza essere individuato, soprattutto di notte e con una battaglia in corso. Doveva essere tenuto d’occhio e bloccato.

O forse no. Cominciai a chiedermi se gli Skorpis avessero già effettuato un giro di ricognizione della zona. Forse, quando avessero attaccato —quella notte stessa, se Manfred aveva ragione —avrebbero mandato una squadra a esplorare. E, se lo avessero trovato indifeso, lo avrebbero usato per irrompere all’interno del campo e distruggere le nostre difese.

Questo era ciò che avrei fatto al loro posto; ma come potevo trasformare il canale in una trappola?

Tornai sui miei passi, una ridda di pensieri che mi affollava la mente.

I mie tre tenenti erano scettici.

— Invitarli noi stessi, in pratica. —L’ansia rendeva stridula la voce del tenente Vorl. —E poi lasciarli penetrare nel campo?

Eravamo nella mia tenda, accosciati sul pavimento di plastica come quattro membri di una tribù del Neolitico. Ancora una volta, fui colpito dalla somiglianza tra gli ufficiali. Capelli color sabbia, occhi azzurro cielo. Avevano la pelle leggermente abbronzata, quasi dorata, il risultato di una mescolanza di tutte le razze esistenti sulla Terra. Vorl e Frede potevano essere sorelle. Quint, il comandante in seconda, loro fratello.

— Non abbiamo abbastanza uomini per difendere la base —le feci notare. —E ci vorranno ancora sei ore per rendere operativo il ricetrasmettitore. Se riusciamo a catturare la maggior parte di loro e ad annientarli, forse resteremo in vita quanto basta per farlo funzionare.

— E i rinforzi? —domandò Quint.

Mi voltai verso Vorl, l’ufficiale addetto alle comunicazioni.

— Niente rinforzi —spiegò la donna con un’espressione accigliata. —Ho inoltrato la nostra richiesta all’ammiraglio e quella dannata lucertola l’ha respinta.

— Dobbiamo resistere fino a quando il ricetrasmettitore non comincerà a trasportare qui le armi pesanti —ripetei, forse per la ventesima volta.

— Ma “invitare” il nemico a utilizzare quel passaggio… —Il tenente Vorl rabbrividì.

— Sono d’accordo —assentì Quint. —Va contro la procedura tattica standard.

— Tenente Frede, qual è la sua opinione? —domandai.

La donna scosse il capo e tacque.

— Bene —ripresi. —Tre contrari e uno favorevole. Seguiremo il mio piano.

Sembrarono sorpresi, quasi incolleriti, ma incassarono senza mugugnare. Dedicammo le ultime ore della giornata a preparare il perimetro difensivo e a minare il canale. Piazzai alcuni fucili automatici a circa un terzo della lunghezza del canale, giusto per dare al nemico l’impressione che non fosse del tutto indifeso. Non volevo però che scoprissero che erano caduti in una trappola fino a quando non fosse stato troppo tardi per darsi alla fuga. In fondo, a una cinquantina di metri dal ricetrasmettitore, piazzai dieci degli uomini migliori, agli ordini del sergente Manfred. Se il nemico si fosse spinto fin là, sarebbero stati in grado di tenerlo impegnato fino al nostro arrivo.