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— Per cosa?

— Non so.

Il capitano rifletté. — Lo svegli, — disse poi.

— Gredo ghe ziamo sul pianeda Marde, — disse Gross.

Il capitano ci aveva pensato, ma aveva respinto l’idea.

— No, — replicò con fermezza. — Da qualunque pianeta del sistema solare le costellazioni avrebbero più o meno lo stesso aspetto.

— Fuol dire che ziamo fuori del cozmo?

Il fremito dei motori cessò all’improvviso e vi fu soltanto il familiare sciabordio delle onde contro lo scafo, e il pigro dondolio della nave.

Weisskopf tornò su con Weiss, anche Halmstadt risalì sul ponte e rifece il saluto al capitano.

— Dunque, kapitano?

Il capitano fece un gesto verso il ponte di poppa, dov’erano ammucchiate le casse di alcoolici, sotto dei teli catramati. — Liquidate il carico, — ordinò.

La partita di blackjack non fu più ripresa. All’alba, sotto un sole che non si erano aspettati di rivedere mai più — e se è per questo, neanche in quel momento lo vedevano — i cinque uomini, privi di sensi, furono trasferiti dalla nave alla prigione del porto di San Francisco, da membri perplessi della guardia costiera. Durante la notte, la Ransagansett era andata alla deriva di traverso al Golden Gate, andando a urtare di striscio contro la banchina del ferry-boat per Berkeley.

Un gran telo catramato era a rimorchio a poppa dello schooner, trafitto da un arpione la cui corda era assicurata all’albero di poppa. La sua presenza, là dietro, non ebbe mai una spiegazione ufficiale, anche se al capitano Randall parve vagamente di ricordare, alcuni giorni dopo, di aver arpionato un capodoglio durante la notte. A sua volta, il vecchio ed esperto marinaio Weiss non riuscì mai a scoprire cos’era successo alla sua gamba di legno, il che, forse, era ancora peggio.

Milton Hale, fisico emerito, aveva concluso l’intervista, e si stava congedando.

— Grazie molte, professor Hale, — gli disse l’intervistatore. Una luce gialla si era accesa, indicando che il microfono era spento. — E… si, troverà il suo assegno giù, alla cassa. Lei… uh… sa dove.

— So dove, — annuì il fisico. Era un ometto rotondo, dall’aria gioviale. Con la sua barbetta cespugliosa, sembrava un’edizione tascabile di Babbo Natale. Gli occhi gli luccicavano e fumava una pipa corta e mozza.

Lasciò lo studio insonorizzato, e con passo spigliato proseguì fino allo sportello della cassiera. — Ciao, dolcezza, — disse all’impiegata in servizio. — Dovrebbero esserci due assegni per il professor Hale.

— Lei è il professor Hale?

— A volte me lo chiedo, — disse l’ometto. — Ma ho qui dei documenti che sembrano dimostrarlo.

— Due assegni?

— Due assegni. Tutti e due per la stessa trasmissione, per uno speciale accordo. A proposito, questa sera danno un’ottima rivista al teatro Mabry.

— Davvero? Sì, ecco i suoi due assegni, professor Hale. Uno per settantacinque dollari e uno per venticinque. È giusto?

— Piacevolmente giusto. Adesso, che ne dice della rivista al Mabry?

— Se vuole, chiamo mio marito e glielo chiedo, — disse la ragazza. — È il portiere, laggiù.

Il professor Hale esalò un profondo sospiro, ma i suoi occhi vispi continuarono a brillare. — Credo che sarà senz’altro d’accordo, — dichiarò. — Eccole i biglietti, cara. Ci vada con lui. Mi sono ricordato di avere del lavoro importante, stasera.

La ragazza sgranò gli occhi, ma prese i biglietti.

Il professor Hale entrò nella più vicina cabina telefonica e chiamò la sua sorella maggiore. — Agatha, devo restare in ufficio stasera, — le disse.

— Milton, lo sai che puoi lavorare altrettanto bene nel tuo studio qui a casa. Ho sentito la tua trasmissione, Milton. È stata meravigliosa.

— Erano pure sciocchezze, Agatha. Completa spazzatura. Cosa ho detto?

— Diamine, hai detto che… sì… che le stelle sono… voglio dire, che tu non…

— Proprio così, Agatha. La mia intenzione era quella d’impedire che il panico si diffondesse tra il popolino. Se gli avessi detto la verità, si sarebbero tutti spaventati. Ma mostrandomi pomposo e molto scientifico, gli ho lasciato credere che tutto fosse… uh… sotto controllo. Sai, Agatha, cosa vuol dire parallelismo di gradiente entropico?

— Be’… non esattamente.

— Neppure io.

— Milton, hai bevuto?

— Non… No, non ho bevuto. Ma, Agatha, non posso proprio venire a lavorare a casa stasera. Userò il mio studio all’università, perché devo consultare parecchi testi che sono là. E anche le carte stellari.

— Ma, Milton, quei soldi che hai ricevuto per la tua trasmissione? Sai che non è prudente che tu vada in giro con dei soldi in tasca, quando ti senti… così.

— Non è contante, Agatha. È un assegno, e te lo spedirò per posta prima di andare all’università. Non lo incasserò lo stesso. Che ne dici?

— Be’… se devi consultare la biblioteca, suppongo che tu debba farlo. Arrivederci, Milton.

Il professor Hale attraversò la strada fino al più vicino emporio. Qui acquistò un francobollo e una busta, e incassò l’assegno da venticinque dollari. Poi infilò l’assegno da settantacinque dollari nella busta, la chiuse e la spedì.

Quando fu accanto alla cassetta delle lettere, alzò lo sguardo al cielo della prima sera… rabbrividì e abbassò in fretta gli occhi. Prese la strada per il bar più vicino e ordinò un doppio scotch.

— È un bel po’ che non la si vede, professor Hale, — gli disse Mike, il barman.

— Infatti, Mike. Versamene un altro.

— Certo. Offre la casa, stavolta. Eravamo sintonizzati sulla sua trasmissione proprio un momento fa. È stata splendida.

— Sì.

— Proprio così. Ero un po’ preoccupato per ciò che sta succedendo là in alto, con mio figlio aviatore e tutto il resto. Ma fintanto che voi gente di scienza sapete di che cosa si tratta, immagino che tutto sia a posto. È stato proprio un bel discorso, professore. Ma c’è una domanda che vorrei farle.

— Lo temevo, — disse il professor Hale.

— Queste stelle… Si muovono, vanno da qualche parte. Ma dove? Voglio dire, come ha detto lei, se si muovono…

— Non c’è modo di saperlo con esattezza, Mike.

— Non si muovono tutte in linea retta?

L’illustre scienziato ebbe un impercettibile istante di esitazione.

— Be’… si e no, Mike. Stando alle analisi spettroscopiche, esse mantengono la stessa distanza da noi, tutte. Perciò si muovono… se si muovono… in cerchio intorno a noi. Ma questi cerchi ci appaiono tutti dritti, in prospettiva. Voglio dire, sembra che noi siamo nel centro esatto di tutti questi cerchi, perciò le stelle che si muovono non si avvicinano né si allontanano dalla Terra.

— Si potrebbero disegnare quelle linee… cioè quei cerchi?

— Su un mappamondo celeste, si. Lo si sta già facendo. Sembrano dirigersi tutte verso una certa zona del cielo, ma non verso un unico punto. In altre parole, le loro traiettorie non si intersecano.

— Verso quale zona del cielo stanno andando?

— All’incirca fra l’Orsa Maggiore e il Leone, Mike. Quelle più lontane da quella zona si muovono più in fretta, quelle più vicine con più lentezza. Ma. dannazione, Mike, sono venuto qui per dimenticare le stelle, non per parlarne. Dammene un altro.

— Tra un attimo, professore. E una volta arrivate là, si fermeranno oppure continueranno a muoversi?

— Come diavolo faccio a saperlo, Mike? Se si sono messe in movimento tutte al medesimo istante, e tutte già in piena velocità… voglio dire, se sono partite con la stessa velocità che hanno adesso, senza accelerare strada facendo… suppongo che allo stesso modo potrebbero fermarsi tutte nel medesimo istante, senza preavviso.