Выбрать главу

A parte le poche ore del giorno che passava ad amministrare i suoi vasti interessi (era uno dei più grandi industriali del paese), il tempo del signor Sniveiey apparteneva a lui solo, e lui lo passava praticamente tutto nel suo laboratorio a fabbricare marchingegni.

Sniveiey possedeva, perciò, un portasigari che gli porgeva un sigaro acceso tutte le volte che gliel’ordinava in tono brusco, e un radioricevitore così ben regolato che si accendeva automaticamente sui programmi sponsorizzati da Sniveiey, per spegnersi subito non appena erano finiti. Aveva una vasca da bagno che gli forniva un completo accompagnamento orchestrale quando lui c’era dentro e cantava, e aveva un congegno che gli leggeva ad alta voce qualunque libro posto sul suo leggio.

La vita del signor Sniveiey poteva anche essere solitaria, ma non difettava certo di simili comodità materiali. Eccentrico, si, il signor Sniveiey poteva permettersi di essere eccentrico, con un reddito netto di quattro milioni di dollari l’anno. Niente male per un uomo che aveva iniziato la sua esistenza come figlio d’un comune impiegato d’una compagnia di trasporti marittimi.

Il signor Sniveiey ridacchiò, mentre guardava il tassì che si allontanava, e poi tornò a letto, per il sonno dei giusti.

«Così, qualcuno c’è arrivato con diciannove ore di anticipo», pensò. «Be’, gli servirà davvero tanto!»

Non c’era alcuna legge che potesse punirlo per ciò che aveva fatto…

Quel giorno, le librerie fecero affari d’oro vendendo testi di astronomia. Il pubblico, a tutta prima apatico, adesso si mostrava tremendamente interessato. Perfino antichi e muffiti esemplari dei Principia di Newton andarono venduti a peso d’oro. L’etere era un continuo intrecciarsi di roboanti commenti sulla nuova meraviglia dei cieli. Assai pochi di questi commenti erano professionali, o anche soltanto intelligenti. Poiché quel giorno la maggior parte degli astronomi dormiva. Erano riusciti a restare svegli per quarantott’ore filate, da quando era iniziato il fenomeno, ma il terzo giorno li aveva trovati esausti di mente e di corpo, e inclini a lasciare che le stelle se la sbrigassero da sole mentre loro — gli astronomi, non le stelle — si rifacevano del sonno perduto.

Offerte astronomiche da parte degli studi radiofonici e televisivi indussero alcuni di loro a tentare delle conferenze, ma i loro sforzi furono cose orrende che è meglio dimenticare. Il dottor Carver Blake, trasmettendo alla KNB, cadde addormentato tra un apogeo e un perigeo.

Anche i fisici erano molto richiesti. Tuttavia, il più eminente tra i fisici fu cercato invano. L’unico, solitario indizio della scomparsa del dottor Milton Hale, «Presi soldi. Spiegherò dopo», non fu di molto aiuto. Sua sorella Agatha temeva il peggio.

Per la prima volta nella storia, notizie di astronomia occupavano i titoli di testa dei giornali.

La neve aveva cominciato a cadere quella mattina, sul presto, lungo lo zoccolo continentale dell’Atlantico del Nord, e adesso la situazione meteorologica stava peggiorando continuamente. Proprio appena fuori di Waterbury, Connecticut, il conducente del tassì del professor Hale comincio a dar segni di cedimento.

Non era umano, pensò, che ci si aspettasse che un uomo guidasse fino a Boston e poi, senza praticamente fermarsi, da Boston a Washington. Neppure per cento dollari.

Comunque, non con una bufera di neve come quella. Diamine, riusciva a vedere si e no per una dozzina di metri davanti a sé, nel turbinio, anche quando riusciva a tenere gli occhi aperti. Il suo passeggero se la dormiva sonoramente sul sedile posteriore. Forse, si, avrebbe potuto fermarsi per un’ora qui, lungo la strada, per rifarsi d’un po’ di sonno perduto. Il suo passeggero non si sarebbe neppure accorto della differenza. Quel tizio doveva esser proprio uno svitato, pensò, altrimenti perché non aveva preso un treno o un aereo?

Il professor Hale avrebbe anche potuto farlo. Ma non era abituato a viaggiare, e inoltre c’era il Tartan Plaid. Un tassì gli era parso il modo più facile per arrivare dappertutto — niente preoccupazioni per i biglietti, le coincidenze, le stazioni. Non era questione di soldi, e le condizioni della sua mente sotto l’influsso del Tartan gli avevano fatto trascurare il fattore umano che fatalmente sarebbe entrato in gioco in un viaggio in tassì di quella lunghezza.

Quando si svegliò, quasi congelato, nel tassì parcheggiato, quel fattore umano non poté più essere trascurato. Il tassista era addormentato così profondamente che non si svegliò neppure ai più energici scrolloni. L’orologio del professor Hale si era fermato, così non aveva la minima idea di dov’era e che ora fosse.

Inoltre, per sua sfortuna, non aveva nessuna idea di come guidare un tassì. Inghiottì una rapida sorsata di Tartan per non congelarsi del tutto, poi scivolò fuori dal tassì, e mentre faceva questo una macchina gli si fermò accanto.

Era un poliziotto — e per di più il poliziotto giusto su un milione.

Urlando sopra il frastuono della bufera, Hale si appellò a lui.

— Sono il professor Hale, — gridò. — Ci siamo perduti. Dove mi trovo?

Entri qui prima di gelare, — gli intimò il poliziotto. — Vuol dire il professor Milton Hale, per caso?

— Sì.

— Ho letto tutti i suoi libri, professor Hale, — dichiarò il poliziotto. — La fisica è il mio hobby, e ho sempre desiderato incontrarla. Volevo chiederle appunto del valore revisionato del quantum…

— È una questione di vita o di morte, — l’interruppe il professor Hale. — Mi può portare in fretta al più vicino aeroporto?

— E, senta… c’è un tassista, dentro quella macchina. Congelerà, se non gli manderemo aiuto.

— Lo metterò sul sedile posteriore della mia auto, e poi spingerò il tassì fuori della carreggiata. Ci occuperemo poi dei particolari.

— Faccia presto, per favore.

Il compiacente poliziotto si affrettò. Poi tornò dentro e mise in moto.

— A proposito del valore revisione del quantum, professor Hale, — ricominciò il poliziotto, ma subito s’interruppe.

Il professor Hale era piombato in un sonno profondo. Il poliziotto guidò fino all’aeroporto di Waterbury, uno dei più grandi del mondo da quando lo sviluppo di New York City verso nord, negli anni Sessanta e Settanta, gli aveva conferito una posizione centrale. Svegliò con delicatezza il professor Hale, quando si trovò davanti alla biglietteria.

— L’aeroporto, signore, — gli annunciò.

Il professor Hale era già balzato fuori dell’auto prima ancora che avesse finito di pronunciare queste parole, e correva incespicando verso l’edificio, gridando — Grazie!, — voltandosi a salutarlo e quasi cadendo a terra nel farlo.

Il ruggito dei motori di un superstratosferico che si stavano scaldando, là fuori nel campo, aggiunse ali ai suoi piedi, mentre si precipitava verso lo sportello dei biglietti.

— Che aereo è quello? — urlò.

— Il Washington Special. Parte tra un minuto. Ma non credo che ce la farà a prenderlo.

Il professor Hale sbatté una banconota da cento dollari sul banco. — Biglietto, — rantolò. — Tenga il resto.

Ghermì il biglietto e si precipitò di corsa, acchiappando l’aereo proprio nell’istante in cui le porte si chiudevano. Ansando, si lasciò cadere su un sedile, col biglietto ancora stretto tra le dita. Dormiva come un ghiro prima ancora che l’hostess, a tentoni, riuscisse ad agganciargli la cinghia.

Un po’ più tardi, l’hostess lo svegliò. I passeggeri stavano scendendo.

Il professor Hale si precipitò fuori dall’aereo e attraversò di corsa il campo fino agli edifici dell’aeroporto. Un grosso orologio appeso nell’atrio l’informò che erano le nove, e cacciò un sospiro di sollievo mentre correva verso un’uscita contrassegnata taxi.