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«Qui parla l’ingegnere capo. Mi sentite?»

Pat chiuse le mani a coppa intorno all’apertura e rispose lentamente:

«Vi sentiamo forte e chiaro e voi ci sentite?»

«Perfettamente. State bene?» Sì. Cos’è successo?

«Siete sprofondati di un paio di metri, non di più. Qui ce ne siamo accorti solo perché i tubi si sono staccati. Come va l’aria?»

«È ancora respirabile, ma più presto comincerete a rifornirci, meglio sarà.»

«State tranquilli, ricominceremo a pompare appena avremo ripulito i filtri e appena arriverà un altro trapano da Porto Roris. Quello che avete appena svitato era l’unico di scorta, ed è stata una fortuna che l’avessimo portato.»

«Dunque ci vorrà un’altra ora prima che il rifornimento d’aria possa essere assicurato» pensò Pat, Ma non era quello il problema che lo preoccupava. Sapeva che Lawrence aveva progettato di liberarli, ma capiva anche che adesso quel piano non era più realizzabile perché il Selene aveva perso la sua posizione orizzontale.

«Come farete a raggiungerci?» domandò, trattenendo il respiro.

Ci fu solo una breve esitazione da parte di Lawrence.

«Non ho ancora studiato i particolari, comunque aggiungeremo un’altra sezione al cassone e continueremo a farlo scendere finché vi avrà raggiunto. Poi cominceremo a vuotarlo dalla polvere finché arriveremo sul fondo. Questo ci porterà a pochi centimetri da voi; in un modo 0 nell’altro, elimineremo anche quel dislivello. Però, prima dovete fare una cosa.»

«Sì?»

«Sono sicuro al novanta per cento che ormai siete stabilizzati, ma se per caso doveste assestarvi ulteriormente, preferisco che lo facciate subito. Dovete mettervi a saltare tutti insieme, per un paio di minuti.»

«E non sarà pericoloso?» obiettò Pat. «Se poi il tubo venisse strappato via di nuovo?»

«Tapperete il buco come avete fatto prima. Un forellino di più non conta, ma un altro spostamento conterebbe, e come, se si verificasse mentre stiamo aprendo un passaggio nel tetto per farvi uscire.»

Il Selene aveva già assistito a molti spettacoli strani, ma quello fu indubbiamente il più strano. Ventidue persone, uomini e donne, si misero a saltare con aria serissima, su e giù, all’unisono, sollevandosi fino al tetto e tornando giù con tutta la violenza possibile. Pat, intanto, non perdeva di vista il tubo che comunicava col mondo esterno; dopo un minuto di quella faticosa ginnastica da parte dei passeggeri, il Selene era affondato per meno di due centimetri.

Pat fece rapporto a Lawrence, che sospirò di sollievo. Ora poteva dirsi ragionevolmente sicuro dell’assestamento definitivo del battello, cominciava a sperare di poter tirar fuori quella gente.

Come, non lo sapeva ancora con esattezza, ma già il piano prendeva forma nella sua mente.

Nelle dodici ore che seguirono, il progetto venne perfezionato nei minimi particolari, con l’aiuto del Consorzio Cervelli e gli esperimenti nel porticciolo di Porto Roris.

«È un bel problema» disse Tom Lawson. «La parte inferiore del cassone è aperta alla polvere, perché l’inclinazione del tetto gli impedisce di combaciare totalmente. Prima di aspirare la polvere, dovremo chiudere quell’apertura, se no il grosso tubo tornerebbe a riempirsi dal basso via via che noi procedessimo a vuotarlo.»

Tom s’interruppe e sorrise con aria maliziosa ai milioni di telespettatori, quasi sfidandoli a risolvere il problema presentato. Lasciò che il pubblico in ascolto si lambiccasse ben bene, poi mostrò il modellino posato sul tavolo dello studio televisivo. Era un modellino semplicissimo, ma Lawson ne era molto orgoglioso, perché l’aveva fatto lui. Nessuno avrebbe immaginato che si trattava di un semplice pezzo di cartone dipinto con vernice argentea.

«Questo tubo» spiegò «rappresenta una sezione del cassone che al momento conduce fino al Selene e che, come vi dicevo, è pieno di polvere. Questo, invece» e con l’altra mano Lawson prese un altro cilindro, chiuso a una delle estremità «entra giusto giusto dentro il primo, come un pistone. È molto pesante e tenderà ad affondare sotto il proprio peso. Ma non potrà, naturalmente, finché la polvere al di sotto farà resistenza.»

Tom girò il pistone finché la parte chiusa fu rivolta verso la telecamera. Col dito premette nel centro della superficie circolare, aprendo in essa una piccola botola.

«Questa agisce da valvola. Quando è aperta, la polvere vi può fluire attraverso, e il pistone può affondare giù per il cilindro esterno. Appena il pistone toccherà il fondo, la valvola verrà chiusa per mezzo di un comando dall’alto. Così, il cassone resterà chiuso e noi potremo estrarne la polvere. Sembra una sciocchezza, vero? E invece non lo è. Esistono almeno una cinquantina di problemi marginali, di cui non ho parlato. Per esempio: il cassone, una volta vuotato, tenterà di balzare alla superficie grazie a una spinta dal basso di parecchie tonnellate. L’ingegnere capo Lawrence ha ovviato l’inconveniente studiando un ottimo sistema di ancoraggio.»

«Vi rendete conto, naturalmente, che quando questo cilindro sarà stato vuotato dalla polvere, ci sarà ancora quella breve distanza da coprire tra la sua estremità inferiore e il tetto inclinato del Selene. Come l’ingegner Lawrence pensi di risolvere il problema, proprio non so. Però vi prego di non inviarci altri consigli. Ne abbiamo ricevuti a sufficienza da bastare per una vita intera!

«Bene, signori. Se ho interpretato correttamente i segnali che mi stanno facendo, siamo in partenza per il Mare della Sete, per vedere come vanno le cose sulla piattaforma e se il pistone funziona.»

Lo studio provvisorio installato nell’albergo di Porto Roris svanì dallo schermo, e al suo posto apparve un’immagine ormai nota a tutta la razza umana.

Ora c’erano tre igloo accanto alla piattaforma, e il sole che si rifletteva sulle lucide superfici esterne li faceva sembrare tre gigantesche gocce di mercurio. Una delle slitte era ferma accanto al più grande; le altre due facevano la spola, continuando a trasportare materiale da Porto Roris.

Il cassone sporgeva dal mare come la bocca di un pozzo. La sua estremità sporgeva dalla polvere di soli venti centimetri, e l’apertura sembrava troppo stretta perché un uomo potesse entrarvi. In effetti, sarebbe stato quasi impossibile a un uomo in tuta spaziale, ma la parte cruciale di questa operazione andava eseguita senza tuta.

A intervalli regolari, una benna spariva nel pozzo e veniva poi issata alla superficie da una piccola gru molto robusta. A ogni viaggio, la benna veniva spostata dall’apertura e scaricava il suo contenuto nel mare. Per un istante il piccolo tumulo grigiastro restava in provvisorio equilibrio sulla distesa piatta del mare, poi si abbassava lentamente, svanendo del tutto prima che il carico seguente emergesse dalla bocca del pozzo. Con più efficacia di qualsiasi descrizione, quel fenomeno spiegava ai telespettatori tutto ciò che bisognava sapere sul Mare della Sete.

Ora la benna impiegava maggior tempo per i suoi viaggi, perché pescava sempre più in giù. E venne finalmente il momento in cui risaliva mezza vuota. La via per il Selene era aperta… salvo quel piccolo ostacolo, proprio al termine.

«Siamo ancora di ottimo umore» disse Pat, nel microfono che era stato calato lungo il tubo dell’aria. «Certo, abbiamo preso un brutto spavento quando c’è stato quel secondo avvallamento, ma adesso siamo sicuri che in breve ci tirerete fuori di qua. Non dimenticheremo mai» aggiunse, un po’ commosso e imbarazzato «gli sforzi fatti da tutti per aiutarci. Comunque vadano le cose, desideriamo ringraziarvi. Siamo sicuri che sia stato tentato tutto il possibile. E adesso, cederò il microfono, perché molti di noi desiderano inviare messaggi. Con un po’ di fortuna, questa sarà l’ultima trasmissione dal Selene.»