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«Ci siete, Pat?» chiamò Hansteen. «Io sono già sulla scala.»

«Non aspettatemi… vengo.»

Era più facile dirlo, che farlo. Gli sembrava che un milione di dita soffici ma decise si aggrappassero a lui, trascinandolo indietro. Si aggrappò allo schienale di un sedile, ormai nascosto sotto la polvere e si diede una spinta verso la luce tremolante che pioveva dall’alto.

Qualcosa gli frustò la faccia. Istintivamente alzò una mano, poi si rese conto che era l’estremità della scala di corda. Si issò con tutta la forza che aveva: piano piano, quasi con riluttanza, il Mare della Sete allentò la presa su di lui.

Prima di risalire il pozzo, diede un’ultima occhiata alla cabina. La parte posteriore era completamente sommersa dalla grigia marea; sembrava innaturale, e doppiamente sinistro, che la polvere salisse mantenendo un piano così perfettamente geometrico, senza un solo mulinello sulla superficie. Un bicchiere di carta galleggiava solitario, come la barchetta di un bimbo su un lago tranquillo. Tra qualche minuto avrebbe raggiunto il tetto e sarebbe rimasto schiacciato, ma per ora continuava a sfidare coraggiosamente la polvere.

E così facevano le luci di emergenza; avrebbero continuato ad ardere per giorni, anche incapsulate nell’oscurità più totale.

Ora il pozzo era intorno a lui. Stava arrampicandosi con tutta la rapidità che i muscoli gli consentivano, ma non poteva raggiungere il commodoro. Arrivò un improvviso fiotto di luce dall’alto, mentre Hansteen sgombrava la bocca del pozzo, e Pat guardò istintivamente in giù per difendersi dalla luce. La polvere saliva rapidamente dietro di lui, sempre liscia e calma, e inesorabile.

Poi si trovò a scavalcare la bocca del cassone, nel centro di un igloo incredibilmente affollato. Attorno a lui c’erano gli. altri del Selene, e quattro figure in tuta spaziale si stavano prendendo cura di loro. C’era anche un uomo senza tuta, Pat capì che doveva essere l’ingegnere capo. Era strano vedere una faccia nuova, dopo tanti giorni.

«Sono saliti tutti?» domandò Lawrence.

«Sì» rispose Pat. «lo sono l’ultimo.» Poi aggiunse: «Lo spero.» Si era reso conto che, tra il buio e la confusione, qualcuno poteva essere stato dimenticato. Forse Radley aveva deciso di non affrontare ciò che l’aspettava nella Nuova Zelanda… No, era con gli altri. Pat si accingeva a fare il conto delle teste quando il pavimento di plastica diede uno scossone, e dalla bocca del pozzo uscì una colonna di polvere.

«Che diavolo è stato?» domandò Lawrence.

«I nostri serbatoi di ossigeno liquido» rispose Pat. «Povero Selene… ha resistito fino all’ultimo.»

Poi, senza poterlo evitare, il capitano del Selene scoppiò in singhiozzi.

«Proprio non capisco l’idea delle bandiere» disse Pat, mentre il battello da polvere si staccava dalla banchina di Porto Roris. «Sono chiaramente inutili nel vuoto.»

Eppure doveva ammettere che l’illusione era perfetta, perché le bandiere che sventolavano sulla palazzina del porto si muovevano e fluttuavano in una brezza artificiale. L’impressione era creata da molle e da motori elettrici, naturalmente, ma per gli spettatori che osservavano da Terra l’effetto sarebbe stato quanto mai sconcertante.

Era un gran giorno, quello, per Porto Roris, e per tutta la Luna. Pat avrebbe voluto che ci fosse anche Sue, ma lei non era in condizioni di fare viaggi. Quel mattino, quando l’aveva salutata prima di uscire, Sue aveva detto: «Io non so come facciano le donne a mettere al mondo un bambino sulla Terra. Dev’essere orribile sentire tutto quel peso, con una gravità sei volte superiore alla nostra.»

Pat cercò di non pensare alla sua famigliola in aumento, e diede pieni giri al Selene II. Dalla cabina alle sue spalle venivano le esclamazioni di trentadue passeggeri, mentre le grigie parabole di polvere si alzavano contro il sole come arcobaleni monocromi. Il viaggio di inaugurazione del nuovo battello avveniva in pieno giorno. I viaggiatori avrebbero perso la magica fosforescenza del mare, la corsa notturna nel canyon, lo splendore verdastro della luce terrestre. Ma la novità e l’emozione del viaggio restavano: grazie alla fine leggendaria dell’altra imbarcazione, il Selene II era uno dei mezzi da trasporto più famosi di tutto il Sistema Solare.

«Mantieni la rotta» disse Pat al secondo ilota. «Io vado a parlare con i passeggeri.»

Pat era ancora abbastanza giovane, e abbastanza vanitoso, da gioire per le occhiate di ammirazione che gli venivano rivolte mentre percorreva il salone. Tutti, a bordo, dovevano aver letto la sua storia o averlo visto alla TV. Del resto, il semplice fatto che quella gente partecipasse alla crociera di inaugurazione era già una prova di fiducia nei suoi confronti. Pat sapeva bene che anche altri avevano diviso il merito, ma non aveva false modestie a proposito della parte sostenuta durante le ultime ore del Selene I. La cosa più preziosa che possedeva era un modellino del battello da polvere in oro massiccio, dono di nozze per lui e Sue. «Dai passeggeri dell’ultimo viaggio, con infinita ammirazione.» Quella era l’unica testimonianza che contava, e Pat non ne desiderava altre.

Era arrivato circa a metà della cabina, scambiando qualche parola qua e là, quando si fermò di colpo.

«Salve, capitano» disse una voce indimenticabile. «Sembrate sorpreso di vedermi.»

Pat si dominò in tempo e sfoderò il suo sorriso più smagliante.

«Ma che piacere, signorina Morley! Non sapevo che foste sulla Luna.»

«Non pensavo neanch’io di venirci. Lo devo al servizio che ho scritto sul Selene I. Ora faccio il viaggio d’inaugurazione per conto di Life Interplanetary.»

«Speriamo» osservò Pat «che la gita ci riservi meno emozioni dell’ultima volta. A proposito, siete in contatto con qualcuno degli altri? McKenzie e gli Schuster mi hanno scritto, qualche settimana fa, ma mi sono sempre domandato che sorte è toccata al povero Radley, dopo che Harding se l’è portato via.»

«Niente, ha solo perso l’impiego. La S.A.V.U. ha deciso di sospendere l’azione legale. Ora Radley si guadagna da vivere tenendo conferenze su «Ciò che ho visto sulla Luna». E sono convinta di una cosa.»

«Quale?»

«Un giorno o l’altro Radley tornerà qui.»

«Lo spero. In fondo non siamo riusciti a sapere che cosa cercava. Risero entrambi. Poi la Morley osservò:» Ho sentito che cambiate attività.

Pat parve imbarazzato. «E vero» confessò. «Ho chiesto il trasferimento. Farò il pilota spaziale, se riuscirò a superare gli esami, s’intende.»

Pat non era affatto certo di riuscirci, ma sapeva che doveva fare quello sforzo. Guidare un battello lunare era un lavoro divertente ed emozionante, ma non c’era speranza di avanzamento. Sue e il commodoro erano riusciti a convincerlo, ma c’era anche un’altra ragione…

Spesso Pat si era domandato quante altre vite avessero subito un cambiamento da quando il Mare della Sete aveva sbadigliato sotto le stelle. Nessuno di quelli che erano stati a bordo del Selene era uscito indenne da quell’esperienza, e in molti casi l’effetto era stato positivo. Ne era una prova il fatto che si potesse conversare così piacevolmente con la signorina Morley.

Anche le persone che si erano adoperate per le operazioni di soccorso ne avevano risentito, specialmente il dottor Lawson e l’ingegnere capo Lawrence. Pat aveva visto Lawson molte volte, quando lo scienziato teneva le sue conferenze scientifiche alla TV. Era grato all’astronomo, ma non riusciva a trovarlo simpatico. Eppure, Lawson era all’apice della popolarità.

Quanto a Lawrence, lavorava con impegno alle sue memorie, provvisoriamente intitolate Un uomo parla della Luna, e malediceva il giorno che aveva firmato il contratto con l’editore. Pat l’aveva aiutato per il capitolo che riguardava il Selene, e Sue, in attesa del bambino, leggeva il manoscritto.

«Se volete scusarmi» disse Pat, ricordando i suoi doveri di capitano «devo occuparmi degli altri passeggeri. Ma vi prego, venite a trovarci la prossima volta che capiterete a Clavius City.»