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In termini di linguaggio umano, portava un messaggio molto semplice: «PRONTO, SELENE, NON RICEVO IL VOSTRO SEGNALE. PREGO RISPONDERE SUBITO».

Il cervello elettronico aspettò per altri cinque secondi, poi trasmise una seconda volta. Per il mondo elettronico significava aspettare per un tempo interminabile, ma la macchina era infinitamente paziente. Dopo il terzo tentativo, la macchina consultò di nuovo le sue istruzioni. Ora dicevano: «CHIUDERE IL CIRCUITO 10101010». La calcolatrice obbedì. Nella sala di Controllo del Traffico, una luce verde si fece improvvisamente rossa, un ronzio cominciò a diffondere il suo grido d’allarme. Adesso anche gli uomini, oltre le macchine, venivano informati che qualcosa non andava, in qualche punto della Luna.

La notizia si sparse dapprima lentamente, perché l’amministratore capo Olsen non aveva nessuna simpatia per le esplosioni premature di panico. Lo stesso pensava Davis, il capo della Commissione per il Turismo, tanto più che spesso quegli allarmi si rivelavano infondati.

Trascorsero diversi minuti prima che Davis si rassegnasse ad ammettere che stavolta il guaio doveva essere serio. Altre volte il segnale automatico del Selene non era arrivato, ma Pat Harris aveva sempre risposto, appena sollecitato sulla sua normale lunghezza d’onda.

Stavolta, nessuna risposta, nemmeno a un estremo segnale trasmesso su una lunghezza d’onda riservata solo per i casi d’emergenza. Era stata quest’ultima notizia che aveva indotto Davis a precipitarsi fuori della sua Torre Turistica per infilare la sotterranea che emergeva a Clavius City.

All’ingresso del centro per il Controllo del Traffico, Davis incontrò Lawrence, l’ingegnere capo. Brutto segno, quello; significava che qualcun altro prevedeva necessarie le operazioni di salvataggio. I due uomini si guardarono, entrambi ossessionati dallo stesso pensiero.

«Spero che non abbiate bisogno di me» disse l’ingegnere. «Cos’è successo? Io so soltanto che un segnale d’emergenza è rimasto senza risposta. Di che astronave si tratta?»

«Non è un’astronave, è il Selene. Non risponde, ed è in crociera sul Mare della Sete.»

«Mio Dio… se il battello si è bloccato là in mezzo, possiamo raggiungerlo solo con le slitte da polvere. L’ho sempre detto che bisognava avere due battelli in funzione, prima di cominciare a portare a spasso i turisti.»

«Questo l’avevo detto anch’io… ma al ministero hanno messo il veto. Hanno risposto che non ce ne avrebbero concessa un’altra se prima il Selene non si dimostrava una iniziativa economicamente redditizia.»

«Purché non ci renda dei titoloni in prima pagina» osservò cupo Lawrence. «Sapete come la penso su questa faccenda dei turisti sulla Luna.»

Davis lo sapeva benissimo, era una loro vecchia divergenza di opinioni. Per la prima volta, si domandò se l’ingegnere non avesse ragione, tutto sommato.

Come sempre, tutto era molto tranquillo al Controllo del Traffico. Sulle grandi carte murali, le luci verde e ambra continuavano ad accendersi e spegnersi con regolarità, ma i loro rapporti avevano perso ogni importanza di fronte al segnale di quell’unica luce rossa. Davanti ai quadri di controllo dell’Aria, della Corrente e delle Radiazioni gli ufficiali di servizio sedevano come angeli custodi, vegliando sulla sicurezza di un intero quarto di mondo.

«Nessuna novità» riferì l’addetto al Traffico del suolo. «Sappiamo solo che si trovano in un punto non identificato del Mare della Sete.»

Tracciò un cerchio sulla carta.

«A meno che non siano andati completamente fuori rotta, dovrebbero trovarsi su per giù in questa zona. Alle diciannove si trovavano a un chilometro dalla loro rotta normale. Alle venti il segnale non è arrivato, perciò se è successo qualcosa non può essere accaduta che entro quei sessanta minuti.»

«Quanta strada fa il Selene in un’ora?»

«Ha una velocità massima di centoventi chilometri» rispose Davis. «Ma di solito va molto più adagio. È inutile andar forte quando si è in gita turistica.»

Davis fissava la carta, come se volesse cavarne informazioni con l’intensità del suo sguardo.

«Se sono sul Mare della Sete, non ci metteremo molto a trovarli. Avete mandato fuori le slitte?»

«No, signore, aspettavo l’autorizzazione.»

Davis guardò l’ingegnere capo, che sul lato della Luna rivolto verso la Terra aveva più autorità di qualsiasi altro, salvo l’amministratore capo Olsen. Lawrence assentì.

«Fateli uscire» disse «ma non illudetevi di avere notizie molto presto. Ci vuole tempo per perlustrare parecchie migliaia di chilometri quadrati, specie di notte. Dite agli uomini di seguire la linea di rotta partendo dall’ultima posizione ricevuta, una slitta da ciascun lato della linea, in modo da poter battere una striscia di mare abbastanza larga.»

L’ordine venne trasmesso. Davis, sconsolato, domandò: «Ingegnere, cosa può essere capitato, secondo voi?»

«Le possibilità non sono molte. L’incidente dev’essere stato improvviso, visto che non abbiamo ricevuto nessun segnale. Questo farebbe pensare a un’esplosione.»

Davis impallidì. C’era sempre il rischio di un sabotaggio. L’Argo, una astronave di linea TerraVenere, era stata distrutta con duecento persone a bordo, uomini, donne e bambini, solo perché un pazzo aveva un rancore personale contro un passeggero che sì e no lo conosceva.

«Oppure, potrebbe trattarsi di una collisione» continuò l’ingegnere. «Può avere urtato contro un ostacolo.»

«Harris è un pilota molto prudente, ha fatto quel percorso una quantità di volte, ormai.»

«Un errore possono commetterlo tutti; è facile calcolare male le distanze, quando si naviga al chiaro di Terra.»

Davis quasi non lo sentiva; stava pensando ai provvedimenti che doveva prendere se le cose si fossero messe al peggio. Intanto, era meglio avvertire l’ufficio legale ed esaminare bene tutte le modalità di indennizzo. Se i parenti delle vittime avessero fatto causa alla Commissione Turistica per qualche milione di dollari…

L’ufficiale addetto al traffico a terra diede un colpetto di tosse.

«Se posso permettermi un consiglio» disse all’ingegnere capo «direi di chiamare Lagrange. C’è caso che di lassù gli astronomi riescano a vedere qualcosa.»

«Di notte?» osservò Davis scettico. «Da cinquantamila chilometri?»

«Perché no, se i fari del Selene sono ancora accesi? Varrebbe la pena di tentare.»

«Ottima idea» approvò l’ingegnere capo. «Occupatevene subito. Si rimproverò di non averci pensato lui stesso, e si chiese se non avesse trascurato qualche altra possibilità. Non era la prima volta che gli capitava di doversi impegnare a fondo contro quel mondo così bello e così strano. La Luna non si sarebbe mai lasciata domare completamente, e forse il suo fascino stava proprio in questo, forse era proprio il richiamo di quel deserto ancora intatto, quella lieve ma onnipresente sensazione di pericolo, che adesso, oltre agli esploratori, induceva anche i turisti ad attraversare le immensità dello spazio.»

Era ancora possibile che la crisi si risolvesse, che il Selene rientrasse tranquillamente in porto, ignaro del trambusto che aveva provocato. Ma Lawrence non ci contava e anzi i suoi timori aumentavano col passare dei minuti. Decise di aspettare un’altra ora; poi avrebbe preso il trasporto suborbitale fino a Porto Roris e si sarebbe portato nella zona del nemico, in attesa: il Mare della Sete.

Quando il segnale rosso di CHIAMATA URGENTE raggiunse Lagrange, Thomas Lawson, dottore in fisica, dormiva profondamente. Lawson s’irritò di essere stato svegliato; va bene che a vivere sotto gravità zero bastavano due ore di sonno su ventiquattro, ma almeno quelle due erano un sacrosanto diritto. Poi comprese il significato del messaggio, e si svegliò del tutto. Finalmente si presentava la possibilità di fare qualcosa di utile.