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Il Consiglio non era in sessione e le sedie erano vuote. Degli attrezzi da carpentiere giacevano sparpagliati su bianche lenzuola nell’angolo e un gruppo di operai in spessi grembiuli marroni e camicie bianche con le maniche arrotolate era raccolto di fronte al buco nel muro lasciato dai Seanchan. Egwene aveva ordinato che venisse montato un rosone nell’apertura invece di farla sigillare del tutto, un modo per ricordare quando la Torre Bianca era stata attaccata. Un monito per evitare che accadesse di nuovo. Prima che la finestra potesse essere installata, però, i carpentieri erano occupati a puntellare i lati e a creare l’alloggiamento.

Egwene e Silviana scivolarono nella stanza, scendendo la corta rampa fino al pavimento, che era stato ridipinto giustamente con i colori di tutte e sette le Ajah. I carpentieri le videro, poi si fecero indietro rispettosamente. Uno di essi si tolse il copricapo e se lo strinse contro il petto. Raggiungendo il margine della stanza, proprio davanti all’apertura, Egwene notò infine quello che Silviana l’aveva portata a vedere.

Dopo tutto questo tempo, le nubi si erano infine diradate. Si erano ritratte in un anello attorno a Montedrago. Da lì il sole splendeva radioso, illuminando quel distante spuntone innevato. Le fauci spezzate e il picco più alto delle pendici danneggiate erano immersi nella luce. Era la prima volta che Egwene riusciva a ricordarsi di aver visto la luce solare vera e propria da settimane. Forse piu’.

«Alcune novizie sono state le prime ad accorgersene, Madre» disse Silviana, accostandosi a lei. «E le notizie si diffondono in fretta. Chi avrebbe mai pensato che un anello cosi piccolo di luce solare avrebbe causato tanta agitazione? E una cosa tanto semplice, davvero. Nulla che non abbiamo visto prima. Ma…»

C’era qualcosa di stupendo in esso. La luce si riversava verso il basso in una colonna, forte e pura. Lontana, eppure magnificente. Era come qualcosa di dimenticato, ma in qualche modo ancora familiare, che tornava a splendere da un ricordo distante per portare di nuovo calore.

«Cosa significa?» chiese Silviana.

«Non lo so» disse Egwene. «Ma è una gradita visione.» Esitò. «Quel varco nelle nubi è troppo regolare per essere naturale. Segna questo giorno sui calendari, Silviana. Qualcosa è accaduto. Forse, prima o poi, verremo a sapere di cosa si tratta.»

«Sì, Madre» disse Silviana, guardando di nuovo fuori attraverso il foro.

Egwene rimase lì con lei, invece di tornare immediatamente nel suo studio. Fissare quella luce distante, così nobile e accogliente, era rilassante. «Presto arriveranno delle tempeste» pareva dire. «Ma per ora, io sono qui.»

Io sono qui.

Alla fine del tempo, quando i molti diventeranno uno, l’ultima tempesta radunerà i suoi venti furiosi per distruggere una terra già morente. E al suo centro, il cieco si ergerà sopra la sua stessa tomba. Lì egli vedrà di nuovo, e piangerà per ciò che è stato fatto.

da Le Profezie del Drago, Ciclo Essanik.

Traduzione ufficiale di Malhavish, Archivio imperiale di Seandar, Quarto circolo dell’Elevazione.