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Renald balzò in piedi, lasciando la sua pipa sulla sedia e seguendo Thulin attraverso il prato e poi fino al carro. Maledizione, pensò Renald, guardando verso i lati, e notando di nuovo l’erba marrone e gli arbusti secchi. Aveva lavorato sodo su quel prato.

Il fabbro stava controllando le stie dei polli legate ai fianchi del suo mezzo. Renald lo raggiunse e allungò una mano verso di lui, ma Gallanha lo distrasse.

«Ecco, Renald» disse dalla cassetta. «Prendi queste.» Gli porse un cestino pieno di uova. Una ciocca di capelli dorati le era sfuggita dalla crocchia. Renald allungò la mano per prendere il cesto. «Dalle ad Auaine. So che siete a corto di galline per via di quelle volpi dello scorso autunno.»

Renald prese il cestino di uova. Alcune erano bianche, altre brune. «Sì, ma dove state andando, Gallanha?»

«A nord, amico mio» rispose Thulin. Superò Renald e gli mise una mano sulla spalla.

«Suppongo che verrà radunato un esercito. Avranno bisogno di fabbri.»

«Per favore» disse Renald, facendo un gesto col canestro di uova. «Almeno fermatevi qualche minuto. Auaine ha appena infornato del pane, una di quelle grosse pagnotte al miele che ti piacciono. Possiamo discuterne durante una partita a sassolini.»

«Faremo meglio a muoverci» disse Gallanha in tono sommesso. «Quella tempesta sta arrivando.»

Thulin annuì, poi salì sul carro. «Magari potresti venire a nord anche tu, Renald. Se lo fai, portati tutto quello che puoi.» Fece una pausa. «Te la cavi abbastanza con gli attrezzi da poter fare qualche lavoretto, perciò prendi le tue due falci migliori e convertile in alabarde. Le tue due falci migliori; non economizzare con qualcosa che vada quasi bene o abbastanza bene. Prendi le migliori, perché sono le armi che userete.»

Renald si accigliò. «Come sai che ci sarà un esercito? Thulin, maledizione, non sono certo un soldato!»

Thulin proseguì come se non avesse udito quei commenti. «Con un’alabarda puoi tirar giù qualcuno da cavallo e infilzarlo, lì, ora che ci penso, potresti prendere le falci meno buone e farci un paio di spade.»

«E cosa ne so io sul fare una spada? O su come usarla, se è per quello…»

«Puoi imparare» disse Thulin, voltandosi verso nord. «Saranno tutti necessari, Renald. Tutti quanti. Stanno venendo per noi.» Tornò a guardare Renald. «Una spada non è così difficile da fare. Prendi la lama di una falce e la raddrizzi, poi ti trovi un pezzo di legno che faccia da guardia, per impedire che la lama del nemico scivoli giù e ti tagli la mano. Perlopiù userai cose che hai già.»

Renald sbatte le palpebre. Smise di porre domande, ma non poteva fare a meno di pensarle. Si ammucchiavano nella sua testa come bestiame che cercava di passare a forza attraverso un unico cancello.

«Porta tutto il tuo bestiame, Renald» disse Thulin. «Lo mangerai — o lo mangeranno i tuoi uomini — e ti servirà il latte. E comunque sia, ci saranno uomini con cui potrai commerciare con manzo o montone. Il cibo scarseggerà , considerando tutto quello che si sta guastando e le riserve invernali quasi esaurite. Porta tutto quello che hai. Fagioli secchi, frutta secca, tutto quanto.»

Renald si sporse all’indietro contro il cancello della sua proprietà. Si sentiva debole e fiacco. Infine si costrinse a porre una sola domanda. «Perche?»

Thulin esitò, poi si allontanò dal carro, appoggiando di nuovo una mano sulla spalla di Renald.

«Mi spiace essere così brusco. Io… be’, tu sai come me la cavo con le parole, Renald. Non so cosa sia quella tempesta. Ma so cosa significa. Non ho mai tenuto in mano una spada, ma mio padre ha combattuto nella guerra Aiel. Sono un uomo delle Marche di Confine. E quella tempesta significa che la fine si avvicina, Renald. Dovremo essere lì quando arriverà.» Si fermò, poi si voltò e guardò a nord, osservando quelle nubi che si ammassavano come un contadino poteva guardare un serpente velenoso trovato nel mezzo di un campo. «Che la Luce ci preservi, amico mio. Dovremo essere lì.»

E, detto questo, tolse la mano e montò di nuovo a cassetta. Renald li osservò allontanarsi, pungolando il bue affinche si muovesse, diretti a nord. Renald li guardò a lungo, provando un senso di intontimento.

Il tuono schioccò in lontananza, come il rumore di una frustata, riverberando contro le colline. La porta della fattoria si aprì e si richiuse. Auaine uscì e venne verso di lui, con i capelli grigi raccolti in una crocchia. Erano così da parecchi anni, ormai; era ingrigita presto, e Renald era sempre stato affezionato a quel colore. Argento, più che grigio. Come le nubi.

«Quello era Thulin?» chiese Auaine, osservando il carro sollevare polvere in lontananza. Un’unica penna di pollo nera veniva sospinta dal vento lungo la strada.

«Sì.»

«E non si è fermato, nemmeno per una chiacchierata?» Renald scosse il capo.

«Oh, ma Gallanha ha mandato le uova!» Auaine prese il cestino e iniziò a trasferirle nel suo grembiule per portarle dentro. «È così cara. Lascia il cestino lì per terra: sono certa che manderà qualcuno a prenderlo.»

Renald si limitò a fissare verso nord.

«Renald?» chiese Auaine. «Cosa ti è preso, vecchio ceppo?»

«Ha lucidato le sue pentole per te» disse lui. «Quelle col fondo in rame. Sono sul tavolo della sua cucina. Sono tue, se le vuoi.»

Auaine rimase in silenzio. Poi lui udì un netto rumore di qualcosa che si rompeva e si guardò indietro. Lei aveva lasciato afflosciare il grembiule e delle uova stavano scivolando giu’, cadendo a terra con un tonfo e rompendosi.

Con voce molto calma, Auaine chiese: «Ha detto nient’altro?»

Lui si grattò la testa, su cui in realtà non restavano molti capelli. «Ha detto che la tempesta stava arrivando e che dovevano dirigersi a nord. Thulin ha detto che dovremmo andare anche noi.»

Rimasero immobili per un altro momento. Auaine tirò su il bordo del suo grembiule, conservando la maggior parte delle uova. Non degnò di un’occhiata quelle che erano cadute. Il suo sguardo era fisso verso nord.

Renald si voltò. La tempesta aveva fatto un nuovo balzo in avanti. E pareva essere diventata in qualche modo più scura.

«Penso che dovremmo dar loro ascolto, Renald» disse Auaine. «Io… io andrò a preparare quello che ci occorrerà portare con noi dalla casa. Tu puoi andare a radunare gli uomini. Hanno detto per quanto staremo via?»

«No» rispose lui. «Non hanno nemmeno detto davvero perché. Solo che dobbiamo andare a nord per la tempesta. E… che questa è la fine.»

Auaine trasse un brusco respiro. «Bene, tu pensa a far preparare gli uomini. Io mi prenderò cura della casa.»

Si precipitò dentro, e Renald si costrinse a distogliere lo sguardo dalla tempesta. Girò attorno alla casa ed entrò nell’aia, chiamando a raccolta i braccianti. Era gente robusta, bravi uomini, tutti quanti. I suoi figli avevano cercato fortuna altrove, ma i suoi sei lavoratori per lui erano quasi come figli. Merk, Favidan, Rinnin, Veshir e a’dam ad si radunarono attorno a lui. Sentendosi ancora intontito, Renald mandò due di loro a riunire gli animali, altri due a imballare grano e provviste che avevano lasciato per l’inverno e l’ultimo uomo ad andare a prendere Gelerà , che era andato al villaggio per dei semi nuovi, nel caso in cui la semina fosse andata male rispetto alle loro scorte.

I cinque uomini si sparpagliarono. Renald rimase lì nell’aia per un momento, poi andò nel granaio per prendere la sua forgia leggera e portarla alla luce. Non era solo un’incudine, ma una forgia completa e compatta, fatta per essere trasportata. L’aveva montata su ruote: non si poteva lavorare a una forgia dentro un granaio. Tutta quella polvere poteva prendere fuoco. Sollevò i manici, portandola fuori nell’angolo apposito a lato dell’aia, costruito con solidi mattoni, dove poteva effettuare piccole riparazioni quando necessario.