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Il telefono spaziale disse in breve: «Dice che la maggior difficoltà sta proprio nel fidarsi l’uno dell’altro qui, adesso. Lui, con la possibilità ch«sia messa a repentaglio l’esistenza stessa della sua razza, non può correre nessun rischio, e neppure lei può correrlo, di concedere all’altro un vantaggio».

«Ma la mia razza», tuonò il comandante, fissando furioso il capitano alieno, «la mia razza ha, in questo momento, un vantaggio. Siamo venuti a bordo della vostra nave dentro tute spaziali alimentate dall’energia atomica! Prima di partire abbiamo modificato i propulsori: siamo in grado di far scoppiare cinque chilogrammi di combustibile nucleare a testa, qui, dentro questa nave, e se fosse impossibile per noi farli esplodere personalmente, ciò può esser fatto con un comando a distanza dalla nostra nave! E sarebbe davvero sorprendente se l’intera vostra riserva di combustibile non saltasse con noi! In altre parole, se non accetterete la mia proposta, un approccio al problema basato sul buonsenso, Dort ed io salteremo in aria in un’esplosione atomica, e la vostra nave, anche se non sarà del tutto distrutta, verrà come minimo ridotta a un relitto… e la Llanvabon attaccherà con tutto ciò di cui dispone meno di due secondi dopo l’esplosione!»

Nella cabina del capitano della nave aliena la scena acquistò un sapore ancor più surreale agli occhi dei due terrestri, con la sua illuminazione rosso-cupa e gli alieni calvi, che respiravano con le branchie, i quali fissavano il comandante e aspettavano la traduzione dell’arringa per loro inaudibile. La tensione crebbe all’improvviso, in un misto di furia e di stanchezza. Il comandante alieno fece un gesto. Gli auricolari dei caschi ronzarono.

«Signore», li informò il tecnico a bordo della Llanvabon, «il comandante alieno vuol sapere qual è la sua proposta».

«Scambiarci le navi!» ruggì il comandante terrestre. «Scambiarci le navi e tornare tutti a casa! Noi possiamo sistemare i nostri strumenti cosicché gli alieni non possano seguirci, e loro possono far lo stesso con gli strumenti a bordo di questa nave. Entrambi asporteremo tutte le mappe stellari e ogni altro tipo di registrazione. Smantelleremo entrambi le nostre armi. Tutte e due le atmosfere sono respirabili sia da noi che da loro, noi prenderemo la loro nave, e gli alieni la nostra, nessuno dei due potrà danneggiare o seguire l’altro, e ognuno porterà con sé a casa più informazioni di quante avrebbe potuto portarne in qualunque altro modo! E possiamo sempre scegliere entrambi questa stessa Nebulosa del Granchio come il luogo del prossimo appuntamento quando la stella doppia avrà compiuto un altro giro completo… così, se la nostra gente vorrà incontrarli, potrà farlo, e se avrà paura, potrà evitarlo… e lo stesso vale per loro. Questa è la mia proposta. E lui dovrà accettarla, altrimenti Dort ed io faremo saltare la sua nave e la Llanvabon ridurrà in briciole quel che ne resterà!»

Lanciò occhiate minacciose tutt’intorno mentre aspettava che la traduzione raggiungesse quelle basse figure, frementi e tese, tutt’intorno a lui. Seppe quando il messaggio arrivò, poiché la tensione cambiò. Le figure si agitarono, gesticolarono. Una di esse si esibì in una serie di movimenti convulsi, si lasciò cadere sul pavimento e cominciò a scalciare. Altre si appoggiarono alle pareti in preda a un tremito convulso. La voce negli auricolari di Tommy Dort, che fino a quel momento si era mantenuta su una gelida impersonalità, ora suonò sbigottita:

«Signore, ha detto che questo è un bellissimo scherzo, giacché i due membri dell’equipaggio che ha mandato sulla nostra nave, accanto ai quali siete passati venendo qui, hanno anch’essi le tute spaziali imbottite di esplosivo atomico, signore. Lui aveva intenzione di farci l’identica offerta, con le identiche minacce! Naturalmente accetta, signore. La Llanvabon vale per lui più della sua nave, come per lei la sua nave vale più della Llanvabon. A quanto pare, signore, è affare fatto».

Fu allora che Tommy Dort capi cos’erano i movimenti convulsi degli alieni. Erano risate.

Non fu così semplice come il comandante l’aveva descritto. L’attuazione pratica della proposta si rivelò assai complessa. Per tre giorni gli equipaggi delle due navi si mescolarono insieme: gli alieni per imparare il funzionamento dei motori della Llanvabon, e gli umani per imparare il funzionamento dei motori della nave nera. Era un bello scherzo… ma non era soltanto uno scherzo. C’erano ad ogni istante uomini sulla nave nera, e alieni sulla Llanvabon, pronti, al minimo preavviso, a far saltare la nave avversaria. E l’avrebbero fatto senza pensarci due volte, in caso di necessità. Per questo, la necessità non si presentò. Infine, tutta la bontà di questo accordo ebbe a manifestarsi, concedendo a due spedizioni di far ritorno a due civiltà, piuttosto che facesse ritorno o l’una o l’altra soltanto.

Non si riuscì ad evitare che insorgessero disaccordi. Vi furono discussioni circa il trasferimento di questo o quel documento. Nella maggior parte dei casi il problema fu risolto con la distruzione del documento in questione. Altri problemi furono causati dai libri di narrativa a bordo della Llanvabon, e dall’equivalente alieno d’una biblioteca di bordo, che conteneva opere che si avvicinavano ai romanzi della Terra. Ma erano oggetti preziosi per una possibile amicizia, poiché avrebbero mostrato gli aspetti più intimi di ognuna delle due culture all’altra, il punto di vista della gente comune delle due razze, senza l’ufficialità della retorica e della propaganda. E furono lasciati ai loro posti.

Ma durante quei tre giorni i nervi rimasero comunque a fior di pelle. Gli alieni scaricarono e ispezionarono i viveri che gli uomini avrebbero consumato a bordo della nave nera. A loro volta gli uomini trasferirono dalla nave nera i viveri di cui gli alieni avrebbero avuto bisogno nel loro ritorno a casa. C’erano altri particolari interminabili, dallo scambio dei sistemi d’illuminazione, poiché ognuno dei due equipaggi doveva disporre di quello più adatto ai suoi occhi, fino a un ultimo, dettagliato controllo dei più diversi macchinari. Un gruppo misto d’ispezione, composto da qualificati rappresentanti di ambedue le razze, controllò che tutti i dispositivi d’individuazione fossero stati fracassati (e non rimossi), cosicché nessuna delle due navi potesse usarli per seguire le tracce dell’altra. E naturalmente gli alieni erano ansiosi di non lasciare nessun’arma funzionante sulla nave nera, allo stesso modo in cui gli umani non volevano lasciarne sulla Llanvabon. Era un fatto curioso come ognuno dei due equipaggi mostrasse la massima competenza ed efficacia nel prendere le misure che avrebbero reso impossibile una violazione dell’accordo all’altro.

Vi fu una conferenza finale prima che le due navi si separassero, nella cabina di comunicazione della Llanvabon.

«Di’ a quel tappetto», brontolò l’ex comandante della Llanvabon, «che ha per le mani un’ottima nave e che farà meglio a trattarla bene».

Le schede-parola presero subito a piovere nel riquadro dei messaggi del decodificatore: «Può star certo», fu il messaggio di risposta del comandante alieno, «che quella che adesso è la sua nave è altrettanto buona. Spero d’incontrarvi qui quando la stella doppia avrà fatto un giro completo».

L’ultimo degli umani lasciò infine la Llanvabon. Questa si allontanò e scomparve in mezzo alla nebulosità prima che avessero fatto ritorno alla nave nera. Le piastre visive del vascello alieno erano state modificate, per adattarle agli occhi umani, e l’equipaggio umano frugò il cielo con una punta di nostalgia alla ricerca della Llanvabon mentre la loro nuova nave sceglieva una fulminea rotta evasiva verso i bordi esterni della nebulosa. Sbucò dentro un crepaccio di vuoto assoluto che conduceva fuori, alle stelle. Infine balzò fuori nello spazio aperto. Per un attimo provarono quell’arresto della respirazione che viene provocato dall’attivazione del campo d’iperpropulsione, e la nave sfrecciò attraverso il vuoto a molte volte la velocità della luce.