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Sulla Llanvabon i tecnici lavoravano frenetici, divisi in due gruppi: uno si preparava per la vittoria, l’altro per la sconfitta. Quelli che lavoravano per la vittoria potevano far poco. I fulminatori principali erano le uniche armi che dessero qualche affidamento. Le loro incastellature furono modificate così da non essere più fisse, con soli cinque gradi di gioco come erano state finora. Adesso, collegate grazie a dei sistemi elettronici a una centrale automatica, a sua volta comandata da un localizzatore radar, avrebbero tenuto i fulminatori esattamente puntati con assoluta precisione su un dato bersaglio, qualunque manovra questo tentasse per disimpegnarsi. Inoltre, in sala-motori, un genio fino a quel momento misconosciuto, aveva congegnato un sistema di accumulatori grazie al quale l’intera energia normalmente prodotta dai motori della nave poteva essere temporaneamente immagazzinata e liberata a straripanti bordate. Almeno teoricamente, la portata dei fulminatori ne risultava moltiplicata e le loro capacità distruttive portate a livelli assai maggiori… Ma non c’era granché di più che si potesse fare.

Il gruppo per la sconfitta aveva assai più spazio per manovrare. Le mappe stellari, gli strumenti di navigazione che contenevano indicazioni rivelatrici, le registrazioni fotografiche che Tommy Dort aveva realizzato durante i sei mesi di viaggio dalla Terra, e qualunque altra cosa che potesse offrire indizi sull’ubicazione della Terra nella Galassia, furono approntati per la distruzione. Furono posti in armadi chiusi ermeticamente, i quali, aperti da qualcuno che non conoscesse tutte le fasi del corretto procedimento per farlo, avrebbero trasformato in cenere il loro contenuto in una sola vampata, soffiando via le ceneri in modo che non fosse possibile ricostruire niente da esse. Naturalmente, se la Llanvabon fosse uscita vittoriosa, esisteva il metodo — tenuto prudentemente segreto — per aprirli in tutta sicurezza.

Delle bombe atomiche furono piazzate lungo tutto lo scafo della nave. Se l’equipaggio umano fosse rimasto completamente ucciso senza che la nave andasse distrutta, quelle bombe sarebbero scoppiate non appena la Llanvabon fosse stata arpionata e portata al fianco dello scafo alieno. Non che ci fossero delle bombe atomiche già pronte a bordo, ma la nave disponeva di cartucce di riserva di combustibile nucleare e non fu difficile riadattarle in modo che, una volta attivate, invece di liberare un flusso graduale d’energia, esplodessero. E quattro uomini del personale operativo della nave terrestre rimanevano sempre in tuta spaziale, coi caschi chiusi, per continuare a combattere contro la nave aliena nel caso in cui lo scafo della Llanvabon fosse stato perforato da prua a poppa in un attacco improvviso.

Un simile attacco, tuttavia, non sarebbe avvenuto a tradimento. Il comandante alieno aveva parlato con franchezza. I suoi modi erano quelli d’un individuo che mal giudicava le bugie, ammettendone l’inutilità. A loro volta, la Llanvabon e il suo comandante sostenevano, scandendo ogni parola, le virtù della franchezza. Ognuna delle due parti insisteva — e forse era sincera — di desiderare l’amicizia fra le due razze. Ma nessuna delle due parti poteva fidarsi che l’altra, proprio mentre diceva questo, non stesse invece facendo ogni sforzo per scoprire proprio quell’unica cosa che a tutti i costi bisognava nascondere: l’ubicazione del pianeta d’origine dell’altra nave. E nessuna delle due navi osava credere che l’altra fosse incapace di seguirla per tutto il viaggio di ritorno, e scoprirlo. Poiché ognuna delle due parti sentiva che era suo dovere compiere proprio quest’atto, inaccettabile dall’altra, nessuna delle due poteva rischiare la sopravvivenza della propria gente mostrandosi fiduciosa. Dovevano combattere, poiché non potevano fare nient’altro.

Potevano procrastinare l’inizio della battaglia scambiandosi informazioni. Ma c’era un limite alla quantità e al tipo d’informazioni che si potevano offrire. Né gli uni né gli altri avrebbero dato informazioni sulle armi, sull’entità e la distribuzione della popolazione e delle risorse. Non sarebbe mai stata rivelata neppure la distanza dei propri mondi d’origine dalla Nebulosa del Granchio. Certo, si scambiarono parecchie informazioni, ma sapevano che tutto era destinato a concludersi con una battaglia all’ultimo sangue, e ognuna delle due parti si affannava a dipingere la propria civiltà come dotata d’una straripante potenza, per intimorire l’altra e dissuaderla da ogni prospettiva di conquista; in tal modo i terrestri apparivano sempre più minacciosi agli alieni, e viceversa, e la battaglia finale era resa sempre più inevitabile.

Tuttavia, era curioso come questi cervelli alieni potessero colloquiare, intrecciarsi fra loro, capirsi… Tommy Dort, continuando a sudare tra codificatrice e decodificatore, vide emergere qualcosa d’inconfondibile, di personale, da quella che all’inizio era soltanto un’accozzaglia ampollosa di parole-scheda, Tommy aveva visto gli alieni soltanto alla visipiastra, e anche così in una luce dalla frequenza spostata di un’ottava rispetto alla luce alla quale essi vedevano. E gli alieni, a loro volta, lo vedevano anch’essi in una maniera strana, in una luce spostata di un’ottava rispetto a quello che, per i loro occhi, sarebbe stato il lontano ultravioletto. Ma il cervello umano e quello alieno funzionavano allo stesso modo. In maniera sbalorditivamente uguale. Tommy Dort provava simpatia, anzi, qualcosa di molto simile all’amicizia, per quelle creature della nave spaziale nera, calve, con una loro asciutta ironia, e che respiravano, com’era stato appurato, tramite branchie.

Spinto da quella affinità mentale, preparò — anche senza nessuna speranza — una specie di tabella con tutti gli aspetti del problema che si trovavano ad affrontare. Non era affatto convinto che quegli alieni avessero l’istintivo desiderio di distruggere l’uomo. In effetti, l’analisi approfondita delle comunicazioni che continuavano a giungere dagli alieni aveva finito per creare, sulla Llanvabon, un sentimento di tolleranza non dissimile da quello che aveva quasi sempre finito per crearsi, sulla Terra, fra i soldati nemici durante una tregua. Gli uomini non provavano nessun sentimento d’inimicizia, e con tutta probabilità neppure gli alieni. Ma dovevano uccidere, o essere uccisi, a causa d’una logica implacabile.

La tabella di Tommy era assai dettagliata. Fece una lista degli obbiettivi che gli umani miravano a conseguire, in ordine d’importanza. Il primo era senz’altro quello di portare indietro, sulla Terra, la notizia dell’esistenza della cultura aliena. Il secondo, era l’esatta localizzazione di quella cultura aliena in un preciso pianeta della Galassia. Il terzo era riportare indietro il maggior numero possibile d’informazioni su quella cultura. Sul terzo ci stavano lavorando sopra, ma il secondo era probabilmente impossibile. Il primo sarebbe dipeso dal risultato che doveva aver luogo.

Gli obbiettivi degli alieni sarebbero stati esattamente gli stessi, cosicché gli uomini dovevano impedire, primo, che la notizia dell’esistenza della civiltà della Terra fosse riportata indietro da essi sul loro pianeta natale; secondo, che gli alieni scoprissero la posizione della Terra; e, terzo, l’acquisizione da parte degli alieni d’informazioni che li potessero incoraggiare e aiutare ad attaccare l’umanità. Ma anche in questo caso il terzo punto era in corso, del secondo si stavano con tutta probabilità occupando, e il primo doveva aspettare la battaglia.

Non c’era nessuna possibilità di evitare l’amara necessità di distruggere la nave nera. E anche gli alieni non avrebbero visto nessun’altra soluzione del loro problema se non la distruzione della Llanvabon. Ma Tommy Dort, contemplando mesto la tabella si rese conto che neppure la vittoria completa sarebbe stata la soluzione perfetta. L’ideale sarebbe stato che la Llanvabon portasse con sé la nave nera per poterla studiare. Soltanto in questo modo il terzo obbiettivo sarebbe stato realizzato in pieno. Ma Tommy si rese conto di odiare l’idea d’una vittoria così completa, anche se fosse stata possibile. Odiava l’idea di dover uccidere delle creature, anche se erano non-umane e perfettamente in grado di afferrare il concetto di esseri umani che allestivano una flotta da combattimento per distruggere una cultura aliena in quanto la sua esistenza rappresentava un pericolo. Il puro caso di quell’incontro, sia pure tra gente che avrebbe potuto provar simpatia l’una per l’altra, aveva creato una situazione che poteva sfociare soltanto nella distruzione totale.