Выбрать главу

«Chi?»

«Non mi ricordo come si chiama.»

«Ah, quella» dissi.

«Ha chiesto di… be’, lo sai.»

«Ho altro cui pensare adesso» dissi irritato.

«Posso fare qualcosa?» domandò.

«Avverti tuo padre. Io sto bene. Ci vediamo presto. Bacia la piccola.»

«L’ho mandata a scuola. Ho pensato fosse meglio così. Le ho detto che eri partito per uno dei tuoi soliti viaggi.»

«Avresti potuto dirle la verità. Non ho niente di cui vergognarmi.»

Ci fu una breve pausa.

«Pedro» disse lei.

«Sì, amore mio.»

«Ti amo.»

«Anch’io ti amo.»

«Torna a casa, presto.»

«Sì, certo. Non ti preoccupare. Bacia Maria Luisa per me!»

«Certo.»

«Adios» dissi interrompendo la comunicazione.

I quindici minuti erano quasi scaduti quando feci il numero diretto di Gloria. Oscar si sarebbe lasciato andare alla rabbia, mentre Gloria avrebbe saputo esattamente cosa dire e cosa fare. Ma Oscar era nell’ufficio di Gloria. Lo sentii imprecare e agitarsi in sottofondo mentre raccontavo tutto a sua moglie.

«Abbiamo già messo tre, anzi quattro avvocati al lavoro per tirarti fuori» disse con la sua bella voce familiare. «Ma quelli sfruttano la legge antiterrorismo, pensano di non essere tenuti a dare alcuna spiegazione.»

«E Oscar, che dice?»

«Oscar fa avanti e indietro per la stanza, maledice i fascisti e non è di alcun aiuto.»

«Ciao, old boy. Tieni duro!» Lo sentii gridare. Spiegai i dettagli del patto stretto con gli uomini del ministro e sottolineai il fatto che la stampa dovesse assolutamente restarne fuori.

«Hai fatto bene ad accettare, Peter. Esporsi alle loro ritorsioni sarebbe stato dannoso anche per gli affari e noi dobbiamo farti uscire adesso. Non sopporto il pensiero di te chiuso in cella. Mi fa andare in bestia. E sta’ zitto, Oscar! Che devo fare, Peter?»

Le dettai il numero di telefono che il piccoletto mi aveva dato al termine del nostro incontro di quel mattino e la pregai di consegnargli le foto e i negativi.

«E l’assicurazione?» domandò Gloria.

«Non ci pensare» le risposi.

«D’accordo. C’è altro?»

«Come sta Amelia?»

«Bene. La conosci meglio di me, non è il tipo da abbattersi facilmente. Ma ovviamente non è facile. Quella donna è unica, Peter. Ma questo già lo sai.»

«Grazie.»

«Abbi cura di te, cariño. Non ho rinunciato all’idea di farti uscire entro oggi.»

«Sarebbe bello.»

La comunicazione fu interrotta. Mi avevano dato un telefono senza fili che potevano “riagganciare” a loro piacimento. Poco dopo arrivò la guardia giovane per ritirare l’apparecchio.

Le ventiquattr’ore che seguirono furono noiose, ma tutto sommato serene e paradossalmente quasi rilassanti. Forse perché sapevo che di lì a poco sarei stato rilasciato.

Lessi i giornali, fumai, mangiai, uscii in cortile e sonnecchiai. Chiesi un caffè e fui accontentato, bevvi acqua, rilessi i giornali, ascoltai la radio — il televisore non me lo avevano portato — e pensai alla mia famiglia. Poi mi sdraiai a guardare il soffitto e ad aspettare il sonno, che come sempre stentava ad arrivare.

Alla fine riuscii ad addormentarmi fiducioso.

Non sapevo che, in quelle stesse ore, il mio mondo crollava rovinosamente. Che il mio viaggio all’inferno era cominciato.

5

Poco prima che venissero a svegliarmi feci un brutto sogno. Ero circondato da un paesaggio surreale fatto di montagne finte coperte di finta neve. La luce era di un blu oltremare, come in una scenografia di Hollywood o in una foto rielaborata al computer. A un tratto l’orizzonte si oscurò come prima di un temporale. In una grotta dalle pareti viscide e grigie, rimestavo un pentolone in ebollizione su una stufa a gas. C’erano anche Oscar e Gloria, mi davano le spalle, ma potevo vedere ogni loro mossa. Oscar era fasciato in uno dei suoi impeccabili completi, era più alto che nella realtà e teneva in mano un libro dalla copertina nera. I capelli di Gloria erano rossi. Indossava una tunica ampia e lunga fino alle caviglie, ma poco dopo improvvisamente era nuda, con il sesso coperto da un quadratino rosso come in una foto censurata. Oscar le porse il libro e lei fece per prenderlo, aveva mani vecchie e nodose e unghie lunghissime. Oscar disse: «Prendi il libro mastro. Tutto è stato contabilizzato e controllato». Gloria ci ripensò, non voleva più prendere il pesante libro nero. Protestò: «Ti ho chiesto la resa dei conti, non il libro dei conti». Volevo dire loro che Oscar aveva preso il libro giusto, ma ero impegnato a rimestare il contenuto ribollente della pentola e non osavo girare la testa in direzione dei miei amici.

Mi svegliai di soprassalto.

La guardia grassa era sulla porta. Aveva la faccia stravolta. Ero fradicio di sudore, il cuore mi martellava in petto e mi sentivo la testa come attraversata da una corrente elettrica mentre lottavo per mettere in fuga l’inconscio. Mi rizzai a sedere e appoggiai i piedi sul pavimento.

«Mi scusi, Señor Lime, se l’ho spaventata» disse l’agente. Era la prima volta che udivo la sua voce e ne fui sorpreso. Mi ero aspettato un basso profondo, le consonanti dure dei madrileni, invece aveva una vocetta fina e acuta, dall’accento si sarebbe detto originario dell’Estremadura.

«Non fa niente» dissi raccogliendo i capelli nel codino.

«La prego di seguirmi» disse.

Quell’improvvisa gentilezza mi insospettì.

«Che ore sono?»

«Le sette e qualche minuto.»

«E così mi lasciate andare. Il giudice s’è alzato presto!»

«Mi segua, Señor Lime» disse lui.

«Per fare che? Dove?»

«Due amici sono qui per vederla. Venga, adesso.»

Il suo faccione esprimeva sincero turbamento.

«Mi dia un minuto da solo.»

Uscì dalla cella lasciando la porta socchiusa. Mi liberai nel solito buco, mi gettai un po’ d’acqua in viso e abbottonai i jeans prima di infilarmi la camicia sopra la maglietta.

Seguii la guardia lungo il corridoio silenzioso. Salite le scale mi giunsero alle orecchie le prime note della sinfonia mattutina di Madrid e sorrisi fra me al pensiero che presto avrei rivisto mia moglie e mia figlia. Percorremmo un corridoio più ampio ed entrammo in un grande ufficio, dove il giudice attendeva dietro una scrivania. Di fronte a lui erano seduti Gloria e Oscar. Avevano l’aria di aver visto la morte in faccia. Gloria aveva gli occhi arrossati dal pianto, e, senza trucco, sembrava più vecchia di dieci anni. Oscar era come impietrito. Sulla scrivania del giudice notai un sacchetto di plastica trasparente contenente le mie cose: il portafogli, le chiavi, la Leica, il telefonino, l’accendino, le sigarette.

«Era ora!» esclamai. «Incominciavo a temere che aveste intenzione di lasciarmi marcire qui dentro.»

«Siediti, Peter» replicò mestamente Oscar.

La paura mi serrò la gola.

«È successo qualcosa ad Amelia?»

«Siediti» ripeté Oscar.

Allora Gloria si avvicinò a me e prendendomi per mano mi fece sedere su un divano di cuoio appoggiato contro la parete.

«Cosa c’è? Che è successo ad Amelia e Maria Luisa?» Gloria pronunciò con voce rotta le peggiori parole che abbia mai udito:

«Sono morte, Peter. In un incendio questa notte. È terribile…» Scoppiò a piangere, abbracciandomi e stringendomi con foga disperata.

Ricordo che vomitai. Poi solo buio e silenzio per un tempo che mi parve infinito.

Quando tornai alla realtà, ero ancora seduto sul divano con un bicchiere d’acqua in mano. Lo vuotai d’un sorso. Oscar, Gloria e il giudice mi fissavano pallidi e immobili come statue di cera. Assurdamente pensai che Gloria, nuda sotto la giacca chiusa da tre bottoni, aveva l’aspetto di un’adultera colta sul fatto dal marito geloso. Vomitando le avevo macchiato la camicetta, perciò se l’era sfilata.