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Dopo la denuncia da parte del «Jyllands-Posten», lo scandalo era montato rapidamente e ben presto Lola era sparita, insieme, si sospettava, a una quantità molto ingente di denaro pubblico.

Solo adesso, con il sacrificio del ministro della cultura, la crisi sembrava finalmente avviata a sgonfiarsi.

Fine della storia.

Stavo rimettendo a posto i ritagli quando Klaus comparve sulla porta dell’ufficio.

«Mi dispiace, ma devo andare a fare delle riprese» annunciò.

«Vado via anch’io. Grazie per avermi lasciato dare un’occhiata. Che ne è stato dei soldi? Le indagini della polizia a che punto sono?» gli domandai alzandomi.

«Ristagnano. La Petrova ha truffato l’establishment culturale, le istituzioni, e adesso il sistema è deciso a proteggersi insabbiando il caso. Il siluramento di ieri è il sacrificio rituale. L’offerta purificatrice. Adesso tutti desiderano che il museo sia lasciato in pace. È la solita retorica di comodo: Bisogna guardare avanti e non indietro! Eccetera, eccetera. Bla, bla, bla.»

«Vuoi dire che Lola rischia di passarla liscia?» conclusi.

«Vieni, ti accompagno all’uscita» disse avviandosi. «Finché si terrà alla larga dalla Danimarca, non le succederà niente.»

«Dove si sospetta che sia andata?»

«C’è chi dice a Londra. Chi a Tokyo. Altri ancora a Mosca. Nessuno lo sa. Io credo che la spunterà. E potrà scrivere nel suo curriculum di aver personalmente contribuito alla fondazione di un prestigioso museo danese. La gente desidera essere ingannata. Non aspetta altro» concluse quando fummo davanti al portone.

Concordammo che se avesse voluto chiedermi dell’altro mi avrebbe lasciato un messaggio al Royal. Mi avrebbe fatto piacere incontrarlo per un drink e due chiacchiere, ma percepivo che nella sua nuova vita non c’era posto per quel genere di incontri nostalgici. Preferiva godersi quella felicità domestica che io, inutile nasconderselo, gli invidiavo.

Passeggiai nel sole di Copenaghen, fermandomi a un chioschetto a mangiare un wurstel.

D’estate la città sorrideva; i suoi ritmi più umani e le strade silenziose, almeno in confronto a Madrid, erano un balsamo per la mia anima. Per la prima volta in molte settimane mi sentivo davvero bene, fiducioso che presto o tardi sarei tornato a vivere. E impaziente di rivedere Clara Hoffmann.

Clara mi indicò una sedia nella saletta riunioni della sede dei servizi segreti, all’ultimo piano di un brutto palazzo di cemento armato. Era una stanza piuttosto spoglia, non c’erano documenti sul tavolo, solo le mie due foto, un taccuino e un registratore. A un’estremità del tavolo era seduto un giovanotto che Clara presentò come il sottufficiale Karl Jakobsen. Clara prese posto accanto a lui. Il suo atteggiamento nei miei confronti era professionale, decisamente più distaccato di quello di qualche ora prima.

Il tassista che mi aveva portato all’appuntamento era un curdo iracheno dal danese un po’ stentato.

«Va a trovare le spie?» aveva domandato quando gli avevo comunicato la mia destinazione.

«Diciamo di sì» gli avevo risposto.

«Grande casino.»

«Casino?»

«Tu danese, vero?»

«Sì, ma non abito in Danimarca» avevo spiegato.

«Ah. Allora tu non sai. Servizi segreti hanno spiato partiti di sinistra legali, e ora grande casino.»

«Questo lo hanno sempre fatto, credo. Hanno sempre tenuto d’occhio comunisti, destrorsi, russi, nazionalisti, rappresentanti di estremismi di ogni colore. Sono pagati per questo, immagino.»

«Sì, ma adesso stati beccati. Un agente ha parlato in televisione.»

«Ah. Sono stati presi in castagna.»

«No, niente castagne. Hanno spiato ai danni di partito legale danese! Hanno scritto partito legale danese nei registri. Spiato curdi in Danimarca. Curdi legali in Danimarca, no? Grande casino.»

«Okay, ho capito» avevo mentito.

Adesso avrei voluto chiedere delucidazioni a Clara, ma l’atmosfera di ufficialità mi indusse a rimandare. Karl Jakobsen si alzò per stringermi la mano, quindi si rimise seduto e mi piantò addosso due penetranti occhietti castani. Gli ci sarebbe voluta una bella spuntata alle sopracciglia.

Clara accese il registratore.

«Peter Lime» esordì. «Cominciamo col…»

Allungai la mano, presi il registratore e lo spensi.

«Clara Hoffmann. Prima di registrare o fare qualsiasi altra cosa, devo sapere perché sono qui. Di cosa si tratta esattamente.»

«Qualche domanda» disse Karl Jakobsen già irritato. «Tutto qui. Qualche chiarimento…»

Lo ignorai. «Signorina Hoffmann…?»

«D’accordo» disse lei. «Che cosa vuole sapere, Lime?»

Jakobsen doveva essere un suo sottoposto. Comunque mi stava decisamente antipatico.

«A cosa vi serve la registrazione?»

«Deve solo raccontarmi ciò che già so. Che le foto le ha scattate lei. Deve dirmi in che occasione le ha scattate, e se è in grado di identificare le persone ritratte.»

«Non ha risposto alla mia domanda» insistetti.

Clara trasse un profondo respiro e lanciò un’occhiata a Jakobsen, impegnato a grattarsi la guancia mal rasata.

«Già. Stiamo preparando un rapporto ufficiale riguardante l’operato dei servizi segreti negli ultimi vent’anni. Una versione di tale rapporto sarà a disposizione dell’opinione pubblica, una seconda versione più approfondita andrà alla Commissione di vigilanza del Parlamento e una terza versione ancora più dettagliata sarà inviata al ministro della giustizia. Le informazioni che ci fornirà compariranno in quest’ultimo documento.»

«Perché vi interessa questa storia?»

Clara lanciò un’altra occhiata a Jakobsen. In quel momento compresi di essermi fatto ingannare: l’uomo era il superiore di Clara, ma aveva preferito giocare a carte coperte.

«Signor Lime. Evidentemente non legge regolarmente i giornali danesi. Altrimenti saprebbe che recentemente un nostro ex informatore ha dichiarato pubblicamente che i servizi segreti hanno spiato partiti politici legali in questo paese. Noi intendiamo dimostrare ai nostri interlocutori istituzionali che avevamo buoni motivi per farlo. Ma certi aspetti, certi particolari non riguardano l’opinione pubblica. Non ci stiamo preparando a un referendum.»

«Insomma volete poter dire “Guardate qui, una foto di tal Peter Lime dimostra che un nostro attuale deputato, eletto nelle file della sinistra, da giovane prendeva il caffè con i terroristi tedeschi!”. Così tutti concluderanno che avete fatto bene a tenere gli occhi aperti, anche se era illegale e se non è saltato fuori niente. È questo il ragionamento?»

«Le domande le facciamo noi, Lime» intervenne Karl Jakobsen spazientito.

«È questo il ragionamento, signorina Hoffmann?»

«Più o meno» rispose.

«Okay. Ho un’ultima domanda. Figuro nei vostri archivi?» domandai.