«Hai ragione, neppure per me è sempre facile trovarli interessanti.»
«Come sei finita nei servizi segreti?»
«Dopo la scuola di polizia prestai servizio a Esbjerg, ma poi ebbi la fortuna di essere assunta presso la polizia di Copenaghen. All’epoca non c’erano molte donne in polizia, e questo forse rappresentò un vantaggio per la mia carriera. Presto saltò fuori l’opportunità di una promozione nella polizia investigativa, e io la colsi al volo. Il lavoro era interessante, imparai il russo.»
«Giusto in tempo per assaggiare il clima della guerra fredda, l’età dell’oro di tutte le spie» la stuzzicai.
«Solo l’ultimo scorcio. Ma quelli del KGB rimasero attivi fino alla fine. Quando compresero cosa stesse per succedere era tardi, cercarono di rovesciare Gorbaciov, ma fallirono.»
«Per fortuna.»
«Già. Per fortuna» disse lei, mi parve senza eccessiva convinzione.
La conversazione languì per qualche minuto, ma con l’arrivo dell’antipasto e poi della portata principale ricominciammo a parlare di paesi lontani e di viaggi. Finita la prima bottiglia ne ordinammo un’altra. Continuai a bere nonostante i campanelli d’allarme del mio cervello stessero suonando da un pezzo. Il suo lavoro non l’aveva mai portata in Oriente, in compenso era stata numerose volte negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda, che le piaceva molto. Quello era uno dei pochi paesi che non avevo visitato. Clara mi fece parecchie domande sul mio lavoro, che, pensai, probabilmente disprezzava un po’.
«Soddisfo una domanda, un bisogno che la gente manifesta da che mondo è mondo» mi giustificai.
«Lo stesso vale per una prostituta» ribatté lei.
Scoppiai in una risata.
«Okay. In tal caso la stampa è il protettore, il magnaccia, perché senza di lei — e i suoi clienti, naturalmente — sarei disoccupato.»
«Dal tuo punto di vista è un lavoro come un altro?» mi chiese.
«Veramente non lo so. La questione è più complicata di quanto non sembri. La caccia mi è sempre piaciuta. I preparativi, le ricognizioni, la pianificazione, la cura dei particolari… I risultati, le foto, mi interessano assai meno.»
«Vale anche per me» ammise.
«Già. La caccia ti entra nel sangue. Esiste un legame ambiguo fra i paparazzi e le loro prede. In certi momenti sono loro a usarci. In occasione di un divorzio, una lite per motivi economici. Per attirare l’attenzione, soprattutto se sentono di essere sul punto di essere dimenticate. Ma ecco che a un tratto ci trattano da torturatori, si sentono perseguitate e vorrebbero solo che le lasciassimo in pace. Vorrebbero essere loro a decidere se e quando stare al gioco.»
«Ma voi non lo permettete.»
«Proprio così.»
«Comunque, non voglio dare l’impressione di giudicarti.»
«Sta’ tranquilla» dissi. «Anch’io ci penso parecchio. Mi chiedo se non sia giunto il momento di smettere. Quel che mi indigna di più è l’ipocrisia di fondo. E il cinismo.»
«Quando Diana morì, il redattore di un settimanale danese giurò che non avrebbe mai più pubblicato le foto dei — come li hai chiamati? — ah, sì, paparazzi.»
«Scommetto che non mantenne fede al giuramento.»
«Certo che no.»
«Ecco, visto? Il mondo è pieno di ipocriti» dissi. «C’è troppo denaro in ballo.»
«Il dio degli anni Novanta.»
«Comunque, leggo riviste scandalistiche solo dal parrucchiere» disse lei con aria ironicamente sdegnosa.
«Dicono tutte così!» ribattei levando il bicchiere, e brindammo.
Le domandai ancora della Nuova Zelanda, e quando prese a raccontare di una casetta che aveva preso in affitto sulla costa, di colpo cominciò a dire «noi» e «nostra». Dovette rendersene conto dalla mia espressione.
«Dico “noi”, ma naturalmente non siamo più in due» si corresse, e prese un altro sorso di vino.
«Non vedo la fede» dissi.
«Mentre tu porti ancora la tua.»
Per un momento tutto si oscurò. A un tratto sentivo freddo. Lei si accorse del mio turbamento e posò una mano sulla mia.
«Peter, perdonami.»
«Non hai detto niente di male.»
«La mia la gettai nel water la sera in cui Niels rientrò per dirmi che avrebbe fatto le valigie, ma non voglio annoiarti con questa storia.»
«Se hai voglia di parlarne, mi lascio tormentare volentieri» dissi io.
«È una storia assolutamente banale, ordinaria. Come ce ne sono a migliaia.»
«Quasi tutte le storie della vita sono già accadute a qualcun altro, ma non per questo sono meno originalmente dolorose per chi le vive» dissi.
Clara mi chiese una sigaretta e prese a raccontare in tono obbiettivo, nonostante il dolore evidente di dover tornare su quei fatti.
Si era messa con Niels che era ancora a scuola. Si erano sposati quando lei aveva compiuto ventuno anni ed era in procinto di entrare nella scuola di polizia. All’epoca lui ne aveva venticinque e dopo un paio di infruttuosi anni a Giurisprudenza si era iscritto a Scienze Politiche.
I soldi non erano un problema, il suo stipendio da recluta della polizia non era male. Erano stati felici, disse. Credevano di essere fatti l’uno per l’altra. Il loro rapporto, come tutti, aveva avuto alti e bassi, ma era sopravvissuto al suo trasferimento a Esbjerg, quando lui era rimasto a Copenaghen a causa di un impiego promettente al Ministero delle finanze. Poi lei era tornata in città, si erano trasferiti da un appartamento piccolo a uno più grande, infine in uno decisamente elegante, nel quartiere di 0sterbro, ottenuto a un prezzo vantaggioso grazie alle conoscenze politiche di lui. Frequentavano molto la famiglia di Niels. Clara era figlia unica, i suoi l’avevano avuta in età matura ed erano morti a poca distanza l’uno dall’altra quando lei aveva trentuno anni. Suo padre aveva lavorato tutta la vita per le ferrovie dello stato, la madre in un asilo. I genitori di Niels erano insegnanti di liceo, e anche se lui non lo aveva mai detto apertamente, Clara aveva l’impressione che suo marito trovasse i suoceri un po’ noiosi, forse troppo “semplici”.
All’inizio avevano frequentato amici comuni, poi pian piano aveva prevalso il giro di Niels, fatto soprattutto di colleghi del ministero. A Niels il lavoro di lei interessava poco, si capiva che non teneva la categoria dei poliziotti in grande considerazione, e le rare volte in cui lei invitava a casa dei colleghi, lui li trattava con una certa condiscendenza.
Con il progredire della sua carriera, Niels aveva cominciato a viaggiare molto, soprattutto a Bruxelles, a causa dell’Unione Europea. Lei era passata al controspionaggio, ed entrambi erano molto presi dalle rispettive professioni. C’erano aspetti del lavoro di Clara di cui lei non poteva parlare neanche con il marito; d’altro canto al ministero avevano luogo discussioni politiche riservate il cui contenuto Niels era implicitamente tenuto a non rivelare.
Ma condividevano molte altre cose, e per anni Clara aveva continuato a considerarsi felice.
Vuotò il bicchiere, e io le versai dell’altro vino. Il suo racconto era stato lungo, e fuori era quasi completamente buio. Il cameriere ci domandò se gradissimo un dessert; quando lei scosse la testa ordinai due caffè.
«Però Niels e Clara non vissero per sempre felici e contenti…» dissi.
«Come sei arguto» ribatté amaramente.
«Perdonami.»
«Non ti preoccupare. Ovviamente hai ragione. Una coppia non dura in eterno, non vive felice e contenta “finché morte non la separi”. Si è tentati di crederci per un attimo, magari davanti all’altare, ma la ragione presto capisce che si tratta di un progetto impossibile.»
«Spero proprio che ti sbagli» dissi.
«Sotto quella scorza dura mi sa che sei un gran romantico, eh Lime?»