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«Lo ero.»

«Certe volte mi dimentico del lutto che hai subito. Scusami.»

Non sapevo cosa dire.

Il cameriere portò il caffè.

«Poi che accadde?» domandai.

«Un giorno rincasò e mi disse che avrebbe voluto divorziare. “Vorrei divorziare”, disse proprio così. Non è buffo? Quasi mi chiedesse un favore. Aveva trovato quel che si potrebbe definire “un modello più recente.” Lei era una funzionaria a Bruxelles. Avevano una relazione da più di un anno.»

«Se non altro, non era la sua segretaria» dissi.

«Che battuta stupida. Che differenza avrebbe fatto?»

«Hai detto che era una funzionaria. Sicuramente era una giurista o laureata in scienze politiche, o qualcosa del genere…»

«Giurista, francese, trentadue anni, bella, affascinante… molto femminile» disse Clara.

«Ecco, visto? C’è voluto parecchio per conquistarlo. Non ti saresti sentita peggio se avesse avuto venticinque anni e fosse stata la segretaria di tuo marito?»

Lei mi guardò.

«Peter. Certe volte mi sorprendi veramente. Sì, sarebbe stato diverso, credo. Ma non ci avevo mai pensato prima d’ora. Sarebbe stato troppo stupido, anche per Niels.»

«Che mi dici di te? Ti sarai trovata un amante» azzardai.

Lei mi lanciò un’occhiata che diceva che si era aspettata quella domanda, anche se non così presto.

«Non ho nessuna relazione, Peter, se è questo che vuoi sapere. C’è stato qualche incontro dopo Niels, ma niente di stabile.»

«E poi?» domandai.

«Lo cacciai di casa quella notte stessa e fui fredda come un ghiacciolo quando, tempo dopo, venne a dirmi che era stato tutto uno sbaglio. Era già risposato. Aveva avuto una gran fretta. E adesso “avrebbe voluto” divorziare per la seconda volta e tornare da me. Mi fece quasi pena. Aveva preso un abbaglio, insisteva. La riscoperta della propria virilità gli aveva dato alla testa. Ma una volta estinta la prima fiamma, non era andata come si aspettava.»

«Divorziò di nuovo?»

«No, no» rispose gongolante. «È ancora sposato con la francese, e lei lo tradisce in continuazione, a quanto ho sentito. Chi la fa l’aspetti.»

«E questo ti rende felice.»

«Felice è esagerato.»

«Provare un desiderio di vendetta e vederlo soddisfatto, probabilmente risparmierebbe alla gente un sacco di pillole o di bottiglie» dissi.

«Yes» confermò con un sorriso dietro cui si intravedeva il dolore. Non so se fosse il dolore della sconfitta, delle speranze infrante oppure quello di essere stata respinta, ma sicuramente non era uscita da quell’esperienza indenne come si era sforzata di farmi credere.

Pagai il conto e la accompagnai a casa. Scesi per scortarla fino al portone. Per un momento parve considerare l’idea di invitarmi a salire, ma poi disse:

«Se firmi dopodomani, riavrai le foto».

«Firmerò se accetti di pranzare con me.»

«Sono una donna che lavora.»

«Appunto. Domani a pranzo hai un appuntamento con un agente. Peter Lime.»

«D’accordo, Peter Lime. Però offro io» disse e mi baciò sulla bocca, in modo lieve e fugace ma eccitante, sfiorandomi con la punta della lingua. Tornai in albergo con il cervello e il cuore in fibrillazione.

Il mio buon umore resistette anche nei giorni seguenti, nonostante Clara dichiarasse di non potermi incontrare a causa di impegni di lavoro. Lo disse in modo convincente e io le credetti. Anche la firma della trascrizione fu rinviata, ma ero fiducioso, perché al telefono era carina come sempre e sapevo che presto ci saremmo rivisti.

Giocai a fare il turista, feci il giro dei canali in battello e pranzai a Grøften, al Tivoli, dove m’imbattei in un vecchio collega, con cui chiacchierai come ai vecchi tempi. Non sapevo esattamente cosa mi aspettassi da Clara, né che cosa lei volesse da me, ma per il momento non mi importava. Riuscivo a moderarmi nel bere, tanto che al mattino riuscivo a ricordare i miei sogni. Spesso erano sogni erotici, eccitanti e vagamente sinistri, nei quali andavo a letto con molte donne diverse, tutte senza volto.

Firmai la mia deposizione qualche giorno dopo al quartier generale dei servizi segreti di Borups Allé e mi restituirono le foto. Clara era presente, insieme a due colleghi che mi ringraziarono per la cortese collaborazione e si allontanarono con il documento.

Allora Clara mi consegnò la lettera per l’autorità-Gauck di Berlino. Di colpo quella questione mi pareva lontana. La verità era che quel soggiorno danese si era trasformato in una specie di vacanza. Nella lettera mancava il mio indirizzo di Madrid, aggiunsi a mano quello dell’ufficio e firmai.

Clara vi avrebbe allegato una nota ufficiale di sollecito con il timbro dei servizi segreti danesi e avrebbe inviato il tutto tramite, come disse, i soliti canali.

Tre giorni dopo mi invitò a pranzo in un ristorante che si chiamava KGB, nella stessa strada in cui, prima del crollo della cortina di ferro, aveva avuto sede il Partito Comunista Danese. Era un locale spoglio ma piacevole, che ben si intonava all’atmosfera della fresca estate danese. Non mancava qualche tocco d’ironia: alcune parti dell’impianto elettrico erano state lasciate a vista per richiamare l’inconfondibile “stile” delle opere pubbliche in un contesto di socialismo reale. In bagno un altoparlante diffondeva ossessivamente la registrazione di una lezione di russo.

Il menù era tutto russo, con bortsch, diverse marche di vodka, blinis e caviale. Prevedibilmente, la giovane cameriera indossava un paio di pantaloni militari e un vecchio berretto con un grande stemma del KGB. Insieme al cibo ordinammo due birre, cui io feci seguire una vodka.

«Mi hai portato in un posto proprio buffo» dissi abbracciando con lo sguardo il locale. «Ecco che una sistema politico tra i più brutali e agghiaccianti che la storia abbia mai partorito è stato trasformato in kitsch.»

«Quando ci penso mi sembra ancora strano» disse Clara.

«Che cosa?»

«Il Muro di Berlino sia sparito. Se vuoi vederne le tracce devi cercarle. Quasi come se non fosse mai esistito, se non fosse costato tante vite umane. L’Unione Sovietica non esiste più. Il mondo è cambiato in maniera radicale e nessuno sembra dare peso a questo fatto.»

«Molti sogni furono risucchiati da quell’incubo. Alcuni di quei sogni hanno ancora un valore, io credo» dissi.

«Il socialismo reale fu un’aberrazione. Non possiamo rischiare di dimenticarlo, perciò non bisognerebbe avere fretta di trasformarlo in una parodia kitsch. Chi frequenterebbe un ristorante intitolato alle SS o alla Gestapo?»

«Sei stata tu a scegliere questo posto, mi pare.» dissi.

«Volevo che lo vedessi.»

«Perfino il KGB è finito in barzelletta.»

Assunse un tono serio:

«È proprio questo il punto, Peter. Il KGB una barzelletta? Può darsi: una barzelletta che ha distrutto milioni di vite umane. Passa la voglia di ridere, non ti pare? Sembra che tutti abbiano già rimosso le memorie del Gulag, nessuno ricorda che molta gente, anche in questo paese, un tempo appoggiava quel sistema e ne auspicava l’avvento in tutta Europa. Non è strano?».

«Molti giovani credono che DDR sia il nome di una marca di deodorante. Ma poteva andare peggio. Il socialismo reale avrebbe potuto affondare nel sangue, invece si è sgonfiato in modo relativamente incruento, mentre tutto il mondo stava a guardare con un grosso sorriso stupito sulle labbra.»

«Può darsi» disse lei.

Dopo un momento le presi la mano.

«Perché non ti prendi il resto della giornata per stare con me? Potremmo giocare a fare i turisti. Vorrei invitarti al Tivoli. O a Dyrehaven, o a fare una passeggiata su Strøget. O a Malmø. O a Parigi.»

Lei mise una mano sulla mia e disse:

«Ho già chiesto e ottenuto un permesso per questo pomeriggio, Peter. Ultimamente mi sono ammazzata di straordinari, e ieri abbiamo consegnato il nostro rapporto. Abbiamo potuto chiuderlo anche grazie al tuo contributo. Perciò, sì, grazie. Volentieri.»