«Cosa vuoi fare?» domandai.
«Mi piacerebbe andare al mare. L’estate non durerà in eterno» disse.
«Ottima idea.»
«Prenderemo la mia macchina.»
«Non ho il costume da bagno.»
Mi lanciò un’occhiata maliziosa.
«Nessun problema. Il posto in cui andiamo non è molto frequentato, almeno in un giorno feriale. Rischiamo di ritrovarci soli io e te.»
18
Clara era una guidatrice veloce e sicura. La sua Ford Escort azzurra ci portò non a nord, come mi ero aspettato, ma a ovest, lungo l’autostrada per Holbæk, e di lì su, in direzione di Odsherred e Sjællands Odde. La nostra meta erano le spiagge dello Sjælland, dove lei andava in vacanza da bambina. I suoi erano stati proprietari di una casetta a Sjælands Odde, ma quando l’aveva ereditata Niels l’aveva convinta a venderla. Evidentemente quella zona non era abbastanza mondana per i suoi gusti.
La Danimarca era un posto strano. Vista dall’esterno offriva l’immagine di un piccolo paese socialmente omogeneo, diffusamente benestante, nel quale tutti abitavano in case simili, guidavano le stesse automobili di media cilindrata, e indossavano gli stessi vestiti informali. Ma, a grattare sotto la superficie, emergeva una realtà diversa, molto stratificata, fatta di tribù separate e reciprocamente impermeabili. Le discriminanti fra un gruppo e l’altro non erano di natura economica, come quando ero piccolo io, riguardavano piuttosto la sfera delle opinioni. Si socializzava con coloro che condividevano la tua visione del mondo, si traslocava nel loro quartiere, si leggevano gli stessi libri e si frequentavano gli stessi luoghi di villeggiatura. Non c’era da meravigliarsi del fatto che gli stranieri faticassero a inserirsi nel tessuto sociale del paese: gli stessi danesi avevano difficoltà ad accettarsi e a riconoscersi gli uni negli altri. A dispetto del comune culto della bandiera nazionale, dei reali e delle squadre di calcio, i danesi erano un popolo diviso da profondi pregiudizi.
Condivisi quei pensieri con Clara mentre viaggiavamo nella luce del pomeriggio. Il vento profumato di stoppie entrava nell’abitacolo attraverso i finestrini abbassati scompigliandole i corti capelli.
«Lavoro nella polizia. Conosco bene le tensioni e i contrasti che attraversano la società spaccandola in due, da un lato i due terzi privilegiati della popolazione, dall’altro gli emarginati. Noi “inseriti” non offriamo agli altri vere chance di riscatto. Però siamo saggi: li rabboniamo con i sussidi. La classe media accetta la forte pressione fiscale in nome della pace sociale.»
«Ohi ohi. La poliziotta parla da rivoluzionaria» la stuzzicai.
«Al contrario. A quelli come me questo sistema sta benissimo. Come diceva Niels, tutti i borghesi qui sono socialdemocratici per definizione, quindi tanto vale iscriversi al partito e ottenere i privilegi annessi.»
«Come un bell’appartamento in centro a un prezzo di favore?»
«Perché no?»
«Così ti sei iscritta anche tu?» domandai.
«No. Non sono iscritta a nessun partito.»
Sorpassò disinvoltamente una macchina salutando ironicamente il conducente e lampeggiando furiosamente mentre riportava la Escort nella corsia di destra.
«Nel traffico noi danesi siamo dei veri individualisti» si giustificò. «Ritroviamo il vichingo che è in ognuno di noi.»
Risi insieme a lei. A un tratto, come per magia, il golfo di Sejrø apparve azzurro e scintillante alla nostra sinistra, superammo un colle e ci ritrovammo con il Kattegat sulla destra e una riga di villette sulla sinistra. Clara svoltò a sinistra, imboccando una strada asfaltata che presto divenne un viottolo sterrato. Parcheggiò davanti a una distesa d’erica. Diritto davanti a me, tra gli alberi, riuscivo a scorgere il mare.
Prese una borsa di paglia dal bagagliaio. Gliela tolsi e vidi che conteneva due asciugamani, una coperta, un termos e un paio di tazze di plastica.
«C’è anche un costume per te.»
«Avevi programmato tutto» risi.
«Il mio non era un piano, ma una speranza» disse lei. «Se avessi detto di no sarei venuta qui da sola. Te l’ho detto, è uno degli ultimi giorni d’estate. Bisogna goderselo. Vieni!»
La seguii obbediente attraverso il campo profumatissimo. In lontananza, protette da boschetti di pini, sorgevano grandi ville bianche, ma sulla spiaggia non c’era nessuno. La baia si apriva placida e azzurra. Stendemmo la coperta in un avvallamento fra le dune erbose, dietro un grosso cespuglio di rose canine. Faceva caldo rispetto al mattino. Clara mi voltò le spalle e si sfilò la camicia, si slacciò il reggiseno e indossò il pezzo sopra di un bikini, quindi si tolse i jeans e gli slip e si infilò l’altro pezzo. Il suo corpo era abbronzato, di una snellezza morbida e seducente. Si girò indicandomi con un sorriso ironico un paio di boxer blu.
«Dai, forza!» disse in un tono che mi rammentò l’insegnante di ginnastica che avevo avuto alle elementari.
«Subito, signora professoressa.»
Clara raggiunse il bagnasciuga e avanzò con cautela sul fondo sassoso per un paio di metri, poi si tuffò in avanti e cominciò a nuotare verso il largo con lunghe e poderose bracciate. Mi infilai i boxer ed entrai in mare. Lei superò la prima secca, poi smise di nuotare e cominciò a sguazzare infantilmente agitando le gambe e sollevando spruzzi come un delfino. Mi inoltrai sui sassi. C’era un piacevole odore di alghe e salsedine. Era come il mare di San Sebastián, particolarmente salato e fresco: sentii uno stupendo formicolio in tutto il corpo quando mi tuffai in avanti e cominciai a nuotare a crawl verso Clara. L’acqua sapeva di pulito e quando mi immergevo vedevo chiaramente i pesci stagliarsi contro il fondale sabbioso. Ero felice, della stessa gioia che provavo da bambino, quando un giorno trascorso sulla spiaggia si confondeva impercettibilmente con il successivo, e la notte dormivo un sonno dolcissimo.
«Non è meraviglioso? Godersi un giorno così mentre tutti gli altri sono al lavoro!» disse Clara quando la raggiunsi. Si distese pigramente sulla schiena lasciandosi scivolare un po’ più al largo, poi si alzò in piedi in un punto in cui l’acqua le arrivava appena all’ombelico. I suoi capezzoli premevano contro la stoffa sottile del bikini, e la pelle d’oca faceva rilucere il suo corpo. Restammo in acqua per più di mezz’ora, a giocare con un abbandono che non sperimentavo da anni. Quando ci venne freddo, tornammo verso la riva deserta.
Lei si voltò di spalle e si asciugò, mentre io contemplavo la pelle liscia della sua schiena. Aveva una piccola voglia vicino alla scapola sinistra. D’impulso mi avvicinai, le presi l’asciugamano e cominciai a strofinarglielo addosso con delicatezza, prima sulla schiena, poi lungo le gambe. Ci guardammo negli occhi e la baciai, prima con dolcezza e quasi con cautela, poi con foga. Il desiderio mi colpì come una rivelazione, inequivocabile eppure sorprendentemente nuovo. Le tolsi il reggiseno del bikini e sentii le sue mani scivolare giù per la mia schiena e sotto i boxer. Restammo nudi sulla coperta calda di sole, al riparo del cespuglio di rose.
Il mio desiderio cresceva con le nostre carezze, ma quando entrai dentro di lei qualcosa si spezzò. Mi staccai dal suo corpo improvvisamente freddo con il cuore che mi martellava in petto impazzito, come se avessi appena avuto l’orgasmo più intenso del mondo. Invece mi sentivo svuotato, furioso e disperato, trafitto da un lancinante, irrazionale senso di colpa.
Mi trassi a sedere in modo da volgerle le spalle, sentii la sua mano che scivolava giù per la mia schiena, poi lungo la coscia.
«Non fa niente, Peter» sussurrò. Il ritmo del suo respiro era ancora accelerato. «Non ho fretta.»
Senza parlare mi alzai e mi rivestii in fretta. Avevo la bocca amara. Mi costrinsi a guardarla. Era sdraiata su un fianco. I seni e i peli scuri del sesso mi parvero improvvisamente osceni nel sole pomeridiano.