«Lascia perdere. E se invece ti dicessi che esiste un’altra versione della stessa relazione appositamente redatta per il ministro della giustizia, nella quale si legge che un attuale membro del Parlamento danese in gioventù abitò in una comune insieme a un gruppo di terroristi tedeschi? Per questo si dichiara soddisfatto di quanto compare nella versione pubblica, “annacquata” della relazione: da un lato si è convinto dell’opportunità del fatto che i servizi segreti vigilassero anche sulla sinistra parlamentare, dall’altro non vuole che la storia dei terroristi venga alla luce, perché l’attuale governo fa perno sul seggio del parlamentare in questione e sull’appoggio dei suoi compagni di schieramento. Anche se, naturalmente, quell’aspetto del passato del parlamentare potrebbe rivelarsi uno strumento ricattatorio molto vantaggioso nelle mani del signor ministro… Allora, che ne dici?»
«Dico: bel colpo! Ma tu come fai a saperlo?»
«Non ha importanza. E non è finita qui. Nella stessa comune abitava anche la donna che si fa chiamare Laila Petrova…»
«Accidenti.»
«Eh, già.»
«Lo puoi provare?» mi domandò.
«Ho delle foto che li ritraggono insieme: Laila, il deputato, i terroristi. Anche io ho abitato nella stessa comune. Le foto sono mie. Ho rilasciato una deposizione ufficiale sul caso ai servizi segreti. So per certo dell’esistenza di un’altra versione della relazione, e se il ministro della giustizia lo nega davanti a te o al Parlamento, allora mente. E mentire a quei livelli, immagino, è ancora considerato un fatto inammissibile, no?»
«I politici danesi possono mettere le corna alle mogli e nessuno fa una piega, ma non possono mentire. Altrimenti la pagano cara…»
«Allora il ministro sarà costretto ad ammettere che ha avuto accesso ad altre informazioni?»
«Forse non con me. Ma farò in modo che la domanda salti fuori durante una consultazione. E se mentirà in quella sede, allora è finito» disse Klaus, e dopo una breve pausa:
«Quello che mi hai raccontato fa di te un informatore, Peter Lime».
«Immagino di sì» dissi.
«Accidenti!»
«Già.»
Fece una altra pausa, e udii che si rivolgeva di nuovo al tecnico.
«Dove sei?» domandò infine.
«Al Royal.»
«Devo assolutamente ultimare il servizio per l’edizione delle diciotto e trenta, poi potrei venire di corsa con una troupe, un po’ prima delle sette. Prepariamo un sinc e qualche ripresa di contorno: tu che entri in albergo, roba del genere. Una cosa veloce. In questo modo avrei il pezzo pronto per le ventuno.»
«Per me va bene.»
«Posso avere le foto?»
«No, però puoi fare delle copie.»
«Okay. Di’, Peter. Perché lo fai?» domandò.
«Le mie motivazioni non hanno importanza. Ma è la solita vecchia storia: dove c’è un segreto c’è sempre qualcuno disposto a raccontarlo a qualcuno interessato a sapere.»
«Okay. A tra poco» disse. La sua voce fremeva di ansia ed eccitazione.
Restituii il cellulare a Oscar.
«Di che si trattava?» chiese.
«Perché non ordinate un po’ di caffè? Intanto io vado a fare una doccia e a cambiarmi.»
«Perché?» domandò Gloria.
«Devo apparire in televisione» risposi.
Oscar rise e mi diede una pacca sulla spalla.
«That’s my boy! Questo è il sistema di scrollarti la delusione di dosso. Ho idea che ciò che dirai non farà affatto piacere alla tua amica poliziotta.»
«È una cosa prudente, Peter?» domandò Gloria nel suo tono da avvocato, quando comprese le mie intenzioni.
«Non lo so, però la prospettiva mi fa star bene.»
«La vendetta fa questo effetto» commentò Oscar.
Forse era davvero la vendetta ciò che cercavo, un modo di cacciare Clara nei guai. Avrei fatto pagare a lei, la fonte e la testimone della mia umiliazione, la frustrazione, la furia che provavo contro me stesso. O magari da quell’iniziativa mi aspettavo anche dell’altro, un senso di compimento, un altro passo verso la catarsi. La verità era che non lo sapevo. Avevo agito d’istinto e senza riflettere quando avevo deciso di telefonare a Klaus.
«Pagate il conto e noleggiate un’auto, così più tardi potremo partire per la Germania e saltare su un volo per casa ad Amburgo o Francoforte. Non me la sento di parlare con tutti i giornalisti danesi domani. Quando stasera questa storia scoppierà, farà molto rumore, credetemi.»
«Questo significa che torni a Madrid con noi, Peter?» si informò Gloria ancora incredula.
«Sì, torno a casa con voi» risposi. «Ne ho abbastanza di impelagarmi in intrighi che non mi riguardano.»
Parte Terza
19
I giorni passarono, divennero settimane, ma lo scandalo che avevo contribuito a scatenare sulla scena politica danese ancora non accennava a sgonfiarsi.
Quasi come ladri Gloria, Oscar e io partimmo nella notte a bordo dell’automobile noleggiata, imbarcandoci sul traghetto per Puttgarten. Ci lasciammo alle spalle una vera tempesta mediatica. Tra una protesta e l’altra, vecchi militanti della sinistra si facevano avanti pretendendo di sapere se fossero stati schedati: l’essere stati oggetto di intercettazioni telefoniche e pedinamenti era diventato addirittura un segno di distinzione. Fortunatamente riuscii a restare fuori dalla bagarre incaricando la mia segretaria di respingere le insistenti avances della stampa danese. Negli articoli che l’agenzia specializzata in rassegne stampa mi inviava regolarmente, Peter Lime veniva descritto in termini contraddittori, esagerati e spesso assurdi: talpa degli ambienti di sinistra danesi all’inizio degli anni Settanta, paparazzo mondano votato alla venerazione dell’opulento jet-set internazionale, coriaceo fotoreporter già in prima linea nelle zone calde di tutto il mondo, danese di successo fuggito dal paese in cerca di un paradiso fiscale, agente dei servizi segreti danesi scivolato nell’alcolismo dopo l’assassinio della famiglia per mano dei terroristi baschi.
Un tabloid e due settimanali mandarono reporter e fotografi a Madrid. Rifiutai di vederli nonostante si appellassero alla solidarietà fra colleghi. Mi sorpresero all’uscita dell’ufficio e i flash delle loro macchine mi accompagnarono fino all’Hotel Inglés. Per la seconda volta da che Amelia e Maria Luisa erano morte, mi ritrovavo non già dietro la macchina fotografica, ma davanti, l’obbiettivo insistentemente puntato addosso. Dopo una settimana, per fortuna, i giornalisti ripartirono, e le cose tornarono suppergiù alla normalità.
Oscar e Gloria provarono a convincermi a riprendere a lavorare, ma sentivo di non averne davvero più voglia, tanto che alla fine cedettero e accettarono di rilevare la mia quota della agenzia. Insistettero perché mi trovassi un avvocato che curasse i miei interessi nella transazione, ma dissi loro che Gloria — il mio avvocato da sempre — avrebbe potuto benissimo occuparsi anche di quella faccenda. Se avessi avuto ragione di dubitare della lealtà dei miei amici, niente avrebbe più avuto senso comunque, tanto meno i soldi.