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«Stai farneticando, Lime.»

«Ponendo che le cose stiano come dico io, si spiegano molte cose. Pur di proteggere la propria stupida vita ora che la guerra è finita, qualcuno è stato disposto a stroncare altre vite.»

Il vecchio fece per prendere la bottiglia. La vista della sua faccia impiastrata di moccio e di sangue e il puzzo di alcol che emanava dal suo corpo sfatto mi diedero la nausea. Mi resi conto che si era anche pisciato sotto. C’era un lago ai suoi piedi.

«Tutto pur di cancellare le tracce pericolose del passato, non è vero?» chiesi.

«Anche se avessi ragione, non riusciresti mai a provarlo. Tutti i documenti relativi alla nostra battaglia sono stati distrutti prima della fine. A Mosca gli archivi sono chiusi. I russi sono più intelligenti di noi. Non ci sono documenti. È tutto sparito. Bruciato o fatto a pezzetti. Ridotto a brandelli e chiuso dentro grossi sacchi. È come se non fosse mai successo. Come il Muro. Chissà, forse abbiamo solo sognato di averlo costruito? E adesso, per la miseria, dammi quella bottiglia.»

Quando allungò il braccio, gli afferrai la mano e gliela piegai all’indietro finché non stramazzò sul pavimento, poi gli vuotai la bottiglia addosso mentre urlava per il dolore causato da due o tre dita fratturate.

«Salute, tenente colonnello» dissi. «Quando chiami Madrid, saluta Oscar da parte mia. Digli che Leica sta arrivando per fargli una bella foto.»

22

L’indomani mattina, sull’aereo che mi riportava a Madrid, ebbi tutto il tempo di seguire il consiglio di Clara e riflettere sulla situazione. Ripensai agli anni trascorsi con Gloria e Oscar, un flusso di bei ricordi. Mi chiedevo se Gloria fosse al corrente del doppio gioco del marito. Era possibile tenere nascosta la propria doppia identità al coniuge per tanti anni? Oscar, come continuavo a chiamarlo dentro di me, probabilmente aveva usato l’infedeltà come paravento quando doveva lavorare per la STASI. E Lola? Evidentemente, quando i giornalisti avevano cominciato a farle domande sui suoi studi e sulle altre credenziali, si era sentita scottare il terreno sotto i piedi perché sapeva che il suo passato era un mito fabbricato in Normannenstrasse. Era tutto un dedalo di specchi. Non sapevo se ciò che vedevo fosse la verità, il suo riflesso distorto, oppure il riflesso di un riflesso.

Quando ero rientrato in albergo, Clara era in camera ad aspettarmi. Vedendo la mia espressione sconsolata aveva sgranato gli occhi ed era corsa ad abbracciarmi. Le avevo racconto tutto, lentamente e a bassa voce.

«Così hai picchiato un vecchio ubriacone?» aveva domandato incredula.

«Sì» le avevo risposto con un’improvvisa fitta di rimorso.

Si era stretta a me sussurrando:

«Povero, povero Peter. Povero Peter».

Io l’avevo scostata da me fissandola negli occhi.

«Tu sapevi di Oscar?»

«Lo sospettavo. Abbiamo pedinato Lola e anche lui in diverse occasioni. Ricevemmo una dritta dagli inglesi.»

«Perché non me lo hai detto?» Sentivo che sarebbe bastato un niente per volgere la mia rabbia e la mia aggressività contro di lei.

«Non avevo nulla di concreto in mano. E poi, mi avresti creduto?» Aveva un’espressione impaurita.

Le avrei creduto? Mi domandai sull’aereo. Probabilmente no. La notte precedente ci eravamo amati con foga, con disperazione. Quella mattina mi aveva accompagnato all’aeroporto e poi era partita in macchina alla volta di Copenaghen. Ci eravamo separati con un abbraccio.

«Telefonami.» Aveva detto. «E non fare sciocchezze.» In quel momento non me l’ero sentita di prometterle né l’una né l’altra cosa.

L’aereo si preparò all’atterraggio. Madrid era avvolta da una soffice oscurità. Presi un taxi e andai dritto a casa di Gloria e Oscar o Karl Heinrich. Stavo per scoprire quanto Gloria sapesse di tutta quella faccenda. Helmut Schadenfelt aveva sicuramente telefonato a Madrid non appena ero uscito dal suo fatiscente appartamento. Era probabile che Oscar fosse fuggito. Ma Gloria? Gloria aprì la porta, e come mi vide mi mollò un ceffone. Fece in tempo a colpirmi di nuovo prima che riuscissi ad afferrarle le braccia e a spingerla all’interno dell’appartamento.

La trassi a me. La tenni stretta fra le mie braccia finché non cessò di vomitare improperi al mio indirizzo. Sentii le sue spalle rilassarsi, poi sussultare al ritmo dei suoi singhiozzi. Quando si calmò la guidai in soggiorno, la feci sedere sul divano, le versai un whisky, ne presi uno anch’io e le accesi la sigaretta. Aveva un aspetto orribile. Ma il viso era disfatto e impiastrato di mascara.

«Perché accidenti non mi hai telefonato, Peter?» mi chiese.

«Volevo capire se in questa storia fossi coinvolta anche tu…»

«In quale storia, stronzo? Ieri squilla il telefono. È una voce maschile che dice qualcosa in tedesco. Gli passo Oscar, che subito diventa pallido come un cencio. Poi riattacca e prende il cappotto. È stravolto, come se avesse visto il diavolo in persona. Sulla porta si gira e dice: “Non ci rivedremo mai più. Puoi ringraziare Peter”. Io gli corro dietro, ma riesce a raggiungere l’ascensore, e quando arrivo giù in strada, è sparito. È successo altre volte che se ne andasse, ma questa volta è per davvero. E dire che stavamo attraversando un buon periodo. Ho telefonato a tutti. Perfino a qualcuna delle sue amichette. È sparito. Ha vuotato il conto comune e parte di quello d’esercizio della ditta. Dove cazzo è andato? E tu cosa c’entri in questo maledetto casino, Peter?»

Stava per scoppiare a piangere di nuovo, ma prese un sorso del drink.

«Credo che sia andato a Mosca» dissi.

«A Mosca. E perché? Che ci è andato a fare mio marito a Mosca?»

«Non… non è tuo marito. È una lunga storia, Gloria.»

Le misi davanti la foto di Oscar in divisa, lei la prese e la guardò a lungo, mentre fumava un’altra sigaretta sforzandosi di rimanere calma. Era una donna forte, combattiva. E aveva il diritto di sapere. Le raccontai la storia di Karl Heinrich e Lola, e lei mi stette ad ascoltare fino in fondo senza interrompermi né prorompere in esclamazioni drammatiche. Al suo posto probabilmente un’altra sarebbe crollata, ma non Gloria. La rivelazione dell’inconcepibile slealtà di Oscar suscitò in lei la stessa rabbia glaciale che provavo io. Scusandosi si alzò, uscì dalla stanza e tornò dopo qualche minuto con la faccia pulita, i capelli in ordine e indosso una camicetta stirata. Portò un bricco di caffè e due tazze, che posò sul tavolo. Tolse i bicchieri e il portacenere pieno. Era la Gloria che conoscevo: mentre rassettava, la sua mente sottile lavorava a pieno ritmo. Tornò a sedersi davanti a me e mi versò il caffè dicendo:

«Peter, cosa hai intenzione di fare?».

«Voglio rintracciare Oscar.»

«Dove?»

«A Mosca.»

«Ah!» disse lei. «Speri di trovarlo frugando tra oltre dieci milioni di persone!»

«Contatterò qualcuno che mi aiuterà a scovarlo» dissi.

«Okay. E poi?»

Presi un sorso di caffè. Era caldo e forte come lo sapeva fare Gloria.

Bella domanda, quella. Perché volevo trovare Oscar? Per sentire dalle sue labbra perché Amelia e Maria Luisa fossero morte? Decisi di essere sincero con Gloria.

«Ventiquattro ore fa volevo trovarlo per ammazzarlo. Preferibilmente due volte. Occhio per occhio, eccetera… Ma adesso, non ne sono sicuro. Forse voglio guardarlo negli occhi per l’ultima volta e costringerlo ad ammettere tutto. Oppure voglio dargli un pugno in faccia e poi andarmene.»