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«Due» disse Gloria. «Dagli due pugni, uno per te e uno da parte mia. Ma devi lasciarlo vivere.»

«Cosa c’è, speri di riprendertelo per l’ennesima volta?» sbottai.

Gloria prese un sorso di caffè e incrociò le lunghe gambe sporgendosi in avanti.

«No, Peter. Non lo voglio più. Abbiamo avuto entrambi un sacco di amanti, Oscar, Karl Heinrich e io. Ma eravamo due vasi comunicanti. Non ci sono dubbi sul fatto che mi abbia amato, e io ho amato lui. Adesso è finita e io so cosa fare per fargliela pagare: quel vecchio comunista ipocrita si è abituato a vivere da ricco. Bene, per Oscar la bella vita finisce qui. È ora che il paladino del proletariato diventi proletario a sua volta.»

«Che vuoi fare?»

«Chiederò l’annullamento del matrimonio, così perderà tutti i beni in comune. Metterò in piedi una causa per truffa. Bloccherò le carte di credito, i conti correnti, i diritti di trasferimento e via elencando. Comunicherò a tutti i nostri clienti e clienti dei clienti che Oscar è insolvente e che la sua firma non vale cento pesetas. Sono un avvocato, ricordi? So come muovermi affinché l’uomo d’affari spagnolo di oggi torni a essere il tedesco orientale povero in canna di ieri. Peter, se lo uccidi mandi a monte la mia vendetta, non potrei mai perdonartelo.»

Non riuscii a trattenere un sorriso.

«Va bene Gloria, hai vinto: te lo prometto. Sei una ragazza in gamba.»

Probabilmente appena me ne fossi andato sarebbe scoppiata in un pianto disperato, ma era abituata a lottare e nessun uomo l’avrebbe vista in ginocchio, men che meno Oscar, colui che aveva amato per tutti quegli anni.

«Eh sì. Quando avrò superato questa storia, mi toccherà rispolverare qualche vecchio amante. Non riuscirà a farmi abbassare la testa. Lo conosco. Fra un mese gli mancherò da morire, e allora darà un calcio nel culo all’oca che sta con lui. Nessuno può fingere di amare oltre un certo limite. Ho ragione o no, Pedro?»

«Hai ragione. Te la senti di stare da sola? Vuoi che rimanga qui?» le domandai.

Finì il caffè e posò la tazza con forza eccessiva.

«O te ne vai adesso, Pedro, oppure vieni a letto con me».

Mi alzai e la raggiunsi, dandole un bacio fraterno sulla bocca, ma mi ritrassi quando la sua lingua avida cercò di insinuarsi nella mia bocca.

Gloria sorrise e mi diede una spintarella.

«È a causa della danese che hai deciso di fare il difficile?»

«Può darsi.»

«Se dovessi rincontrare l’amore, Pedro, coglilo. L’amore è l’unica cosa pulita di questo mondo. E adesso vattene, e telefonami tutti i giorni.»

«Gloria, lo sai che mi piaci, ma io…»

«Su, fila, e telefonami.»

«Te la caverai?» chiesi.

«Mi prenderò una sbronza, oppure mi metterò a telefonare, non sono fatti tuoi. E adesso, da bravo, vattene.»

Presi un taxi fino a casa e telefonai a Clara, ma non era ancora tornata, oppure aveva staccato il telefono. Non c’era nemmeno una segreteria telefonica a cui affidare un messaggio. Scolai buona parte di una bottiglia di whisky, ma quando il viso rosso e disperato del tenente colonnello si riaffacciò alla mia mente, smisi di bere. Barcollando raggiunsi la camera da letto mentre brani di una delle mie poesie danesi preferite mi mulinava nel cervello. Erano versi della prima raccolta di Tom Kristensen, che in gioventù mi aveva conquistato fin dal titolo, Sogni corsari. Le parole «Il mondo è ripiombato nel caos» mi ronzavano nelle orecchie, ma non riuscivo a ricordare il verso seguente, e il bisogno di ritrovarlo divenne ossessivo. Non avevo la più pallida idea del perché fosse proprio quel verso a tormentarmi. E tra i fumi dell’alcol non riuscivo a ricordare in che punto della vasta biblioteca di Don Alfonso avessi collocato le mie edizioni di poeti danesi.

Derek da Londra mi aiutò con il passo successivo. Sapevo che aveva lavorato molto a Mosca e quando gli telefonai dicendogli che avevo bisogno di un contatto un po’ particolare in città, fu subito molto disponibile. Mi domandò di Oscar e Gloria, e gli dissi che stavano bene. Anch’io stavo bene, lui stava bene, tutto era OK. Dopo i convenevoli, Derek chiese:

«Di che genere di contatto hai bisogno, esattamente?».

«Di qualcuno che possa trovare una certa persona per me, indicarmela, e poi tenersi alla larga.»

«Allora hai deciso di ributtarti nella mischia! Complimenti, Lime!» disse.

«Proprio così.»

«Non dovrei chiederti chi è il bersaglio, ma te lo chiedo lo stesso.»

«Si tratta di Cristo, è stato avvistato a Mosca, non lo sapevi?» scherzai.

«Stavo solo pensando che magari potessi aver bisogno di un socio.»

«Derek, lo sai che lavoro sempre da solo» ribattei.

«Ricevuto. Bene, un paio di volte mi sono servito di un tizio. È sveglio, efficiente, un po’ equivoco, ha le mani in pasta, sai cosa intendo. Naturalmente costa…»

«I soldi non sono un problema» dissi.

«Ti chiederà circa mille dollari al giorno, più il premio.»

«Va bene. Che tipo è?»

«È un ex del KGB, o giù di lì. Mosca ne è piena. Sono quasi tutti vermi senza sostanza, ma il nostro è in gamba. Forse è un mafioso, forse è solo un uomo d’affari. Nella Mosca di oggi i confini sono un po’ confusi. È titolare di quella che chiama un’agenzia di consulenza per la sicurezza. Che altro dire? Ha sempre mantenuto la parola.»

«Dammi il suo numero» dissi.

«C’è un dettaglio» aggiunse Derek. «È molto pignolo e selettivo nella scelta dei clienti, per ragioni di sicurezza, naturalmente. Perciò dovrò telefonargli io; lui ti chiamerà solo dopo aver preso informazioni sul tuo conto. Come immaginerai non è sempre facilmente reperibile.»

«Okay, Derek. Chiamalo pure. Digli che si tratta di una cosa urgente, un affare che va concluso subito. Ti devo un favore.»

Derek rise:

«Scordatelo, Lime. Ho un sacco di debiti arretrati con te. Non mi devi un cazzo».

«Di’ al tuo amico che è una cosa urgente» ripetei.

«Lo farò. Salutami Gloria e Oscar e ringraziali ancora da parte mia per la bella serata che abbiamo trascorso insieme a Londra.»

«Senz’altro» dissi.

Trascorsi alcuni giorni di attesa gironzolando per casa e sforzandomi di non bere.

Mi dedicai a sistemare i miei libri in ordine alfabetico per autore e a mangiare le pietanze di Doña Carmen. Dopo la morte di Don Alfonso, aveva continuato a venire e io non me la sentivo di licenziarla. Non provai a richiamare Clara, in compenso parlavo con Gloria un paio di volte al giorno. C’era una vulnerabilità segreta nella sua voce, ma il tono era sbrigativo e professionale quando mi aggiornava sui progressi della sua vendetta. Eravamo un duo molto triste.

Finalmente una mattina telefonò Sergej Sjuganov. Dal suo inglese si sarebbe detto che avesse frequentato i migliori collegi d’Inghilterra, ma più probabilmente il suo impeccabile accento oxfordiano era il frutto della vecchia scuola di lingue per diplomatici di Mosca, magari di un periodo trascorso a lavorare all’ambasciata di Londra.

«Mr. Lime, mi dicono che lei desidera concludere un affare con me» disse.

«Vorrei che lei trovasse qualcuno. Si tratta di…»

Mi interruppe.

«Mi scusi, Mr. Lime. Non al telefono.»

«Incontriamoci, allora.»

«All’aeroporto di Francoforte, la sala vip della zona centrale, vicino al duty-free, domani pomeriggio. Ci sono due voli che atterrano quasi alla stessa ora da Mosca e da Madrid.»

«D’accordo. Come la riconoscerò?»

«La troverò io. Alto, giubbotto di pelle, codino, jeans. Avrà con sé una copia di “El Pais”.»

«Okay» dissi.

«Porti una foto del bersaglio. A domani, Mr. Lime» e riattaccò.

Il pomeriggio successivo, all’aeroporto di Francoforte, comprai una Coca e mi sedetti a un tavolo ad aspettare con «El Pais» davanti. Mezz’ora dopo un tipo sportivo e tarchiato, suppergiù della mia età, si sedette di fronte a me e mi tese la mano.