Raggiunsi il limitare del bosco e provai a orientarmi. Pensai che se avessi camminato parallelamente al corso del fiume, prima o poi mi sarei imbattuto in una strada o in un centro abitato. Dopo un attimo di indecisione mi mossi nella direzione in cui il fiume, scorrendo sotto la crosta gelata, trascinava il cadavere di Oscar. Avevo freddo. La mia testa era completamente vuota, e quando Igor più tardi mi trovò, avevo perso la cognizione del tempo e del luogo in cui mi trovavo. Ero sul punto di arrendermi e stendermi a dormire sotto una coltre di neve.
25
Telefonai a Clara dall’albergo. Al terzo squillo rispose. Sembrava affannata e la comunicazione via satellite dava alla sua voce una qualità metallica.
«Clara, sono io» dissi.
«Peter! Che bello sentirti! Stai bene? Dove sei?»
«A Mosca. Torno a casa stasera.»
«Tutto bene?»
«Tutto bene. È tutto finito.»
«In un modo che riuscirai ad accettare?»
«Ci saranno incubi, rimpianti, ma devo accettarlo, non ho scelta se voglio provare a ricominciare… insieme a te. Dimmi che verrai a Madrid.»
«Perché, Peter?»
«Ho bisogno di qualcuno che mi porti treppiede e rullini.»
Rise.
«Dai, Peter, Perché? Dillo.»
«Ho bisogno di te.»
«È già un passo avanti» disse.
«Sai cosa voglio dire.»
«Può darsi. Ma a volte fa bene esprimerlo a parole.»
«Verrai?» insistetti.
«E di cosa vivrò?»
«Io ho un sacco di soldi.»
«Sii serio. Cosa mi inventerò?»
«Mi porterai il treppiede.»
Rise di nuovo, ma sentivo che esitava, che aveva paura quanto me. Lasciammo che un intero minuto trascorresse ticchettando nel silenzio frusciante della linea telefonica. Guardai il traffico giù in strada: tutti gli abitanti di Mosca si affrettavano da qualche parte. Il tempo era cambiato, la temperatura era salita sopra lo zero e la città era tutta schizzi e sciabordii. Dal cornicione pendevano i ghiaccioli più grossi e micidiali che avessi mai visto. Avevo nostalgia di Madrid e della mia casa.
Infine Clara disse:
«Non lo so. Mi manca il coraggio. Mi sono già bruciata le ali una volta e…»
«Le prime scottature sono le peggiori.»
«Non posso darti una risposta. Almeno non subito» disse.
«Ti voglio, Clara. Ti voglio nella mia vita. Vieni a Madrid.»
«Vedremo. Forse verrò a trovarti. Forse no. Forse è meglio lasciar perdere. Proprio non lo so. Ma abbi cura di te.»
Mi sembrò sul punto di piangere e forse per questo riagganciò. Rimasi a lungo seduto con il ricevitore in mano a fissare il vuoto. Una parte di me si sentiva vinta, finita, esausta. Ma l’altra metà provava un senso di liberazione e quasi di speranza.
«Buffa lingua, il danese» disse Sjuganov.
Era seduto nella mia suite con una vodka in mano. Aveva un braccio al collo, e un vistoso cerotto su una tempia. Io me l’ero cavata con un ginocchio tumefatto e un principio di congelamento al piede destro. Seguire la direzione della corrente era stata una scelta fortunata, e dopo un’ora ero stato raggiunto da Igor che perlustrava la riva del fiume. Nonostante la bufera, da soldato ben addestrato qual era, era riuscito a scorgere le mie orme e a portarmi in salvo.
Al momento dell’imboscata, Sjuganov aveva sottovalutato l’irlandese, che aveva un coltello a serramanico fissato al polso. La lama era affondata nel braccio del russo, e l’altro lo aveva messo fuori combattimento servendosi della sua stessa pistola. Igor era arrivato troppo tardi e aveva ingaggiato uno scontro a fuoco con l’irlandese, colpendolo prima alla gamba e poi a distanza ravvicinata alla testa. Le guardie del corpo russe di Lola per fortuna se l’erano squagliata.
«È stato un vero massacro» dissi levando il bicchiere.
«Nessuno è più mortificato di me. Va da sé che non mi aspetto alcun compenso» disse. «Ho commesso l’imperdonabile errore di sottovalutare un avversario.»
«E la polizia?» chiesi.
Lui strofinò il pollice contro l’indice e il medio in un gesto universale.
«Ma non basterà, immagino» dissi.
«Tutta la colpa ricadrà sul bersaglio. In quella villa c’era una quantità di droga sufficiente a stordire tutta Mosca. È stato il tedesco a uccidere la Petrovna. E siccome i due irlandesi lavoravano per lei, è logico pensare che abbiano cercato di difenderla, morendo nell’adempimento del loro dovere. A quel punto il bersaglio ha scelto il suicidio, o la fuga sul fiume ghiacciato che lo ha tradito. Il fiume è profondo, e la corrente molto forte. La pistola è sparita, il ferro da golf è stato ritrovato tutto sporco del sangue della donna. Lui era arrivato a Mosca da poco e non poteva sapere che un paio di settimane fa abbiamo avuto un improvviso aumento della temperatura. Il ghiaccio era fragile. La media giornaliera degli omicidi a Mosca si aggira sulla ventina. La polizia è sovraccarica di lavoro. Sarà ben felice di archiviare un caso d’omicidio risolto.»
«E Oscar?»
«Affiorerà con il disgelo, quello vero, a marzo. Per quell’epoca tutti avranno dimenticato questo caso, e sarà sepolto nella fossa dei senza nome.»
Esitai.
«Vorrei che lo faceste cremare e che mi spediste le ceneri. È possibile?»
Lui mi guardò sorpreso:
«Ci sarà da sbrigare qualche pratica, ma credo si possa fare. Mi permette di chiederle perché?».
«Oscar aveva molte facce. Conosco una donna che fra un po’ di tempo ricorderà volentieri solo alcune di quelle. Le facce belle. Penso che avere una tomba da visitare a Madrid le farebbe bene. Parlo per esperienza. Una tomba non cura la rabbia che proviamo per l’ingiustizia della morte. Ma un luogo dove parlare o protestare con chi non c’è più ci vuole.»
«D’accordo. Se il corpo riemergerà, l’accontenteremo. Farò inviare un comunicato alle stazioni di polizia che si trovano lungo il fiume. Un cadavere in balia della corrente può arrivare lontano, ma in genere riaffiora in primavera. Lo consideri il favore di un amico.»
«Grazie. Allora, potrò partire stasera senza avere noie al controllo passaporti?»
«Può tornarsene a casa tranquillo.»
Alzò il bicchiere.
«Le auguro buon viaggio, Mr. Lime» disse e bevve tutto d’un fiato.
Feci lo stesso. La vodka era forte e buona. Riempii di nuovo i bicchieri.
«Buon Natale» aggiunsi.
«E che la fortuna possa arriderle nel nuovo anno» disse in tono serio, e quello fu un brindisi che feci volentieri.
Come l’inverno, anche la primavera arrivò presto, e a fine febbraio il sole era insolitamente caldo. Sedevo in giardino a leggere una biografia di Hemingway trovata tra i libri di Don Alfonso, quando un taxi si fermò davanti a casa e Clara ne scese reggendo una piccola valigia. Pagò l’autista e venne verso di me. Io posai il libro sul tavolo, mi alzai e la raggiunsi ridendo. La brezza primaverile le scompigliava i capelli.
«Ciao, Peter» disse.
«Ciao, Clara. Sei bellissima.»
«Che tempo splendido avete qui. A Copenaghen nevicava.»
«È bello vederti. Però ti ci è voluto un po’ di tempo…»
«Ho deciso di scommettere. Non avrei telefonato. Se ti avessi trovato a casa, allora ci avrei provato; mi sarei detta che era destino. Se non ci fossi stato… lo avrei accettato. Lo so che è completamente irrazionale, ma solo così sono riuscita a vincere la paura.»
«Per fortuna di questi tempi sono quasi sempre a casa.»