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— Si muovono in massa — annunciò la Warren. — E vengono verso di noi! Forse stavano aspettando ordini, e adesso li hanno ricevuti.

Con gesti cauti Lane tolse di tasca l’accendino e lo tenne pronto, con la fiamma al minimo, immota nell’aria stagnante della radura.

Verso sud le stelle ondeggiarono. Alzò gli occhi: lo stesso fenomeno a est e a nord. Quasi dappertutto le stelle ondeggiavano avanti e indietro, proprio come se masse di gas si muovessero tra terra e cielo.

— Ci circondano! — disse Lane in fretta.

Una fiammella. La Warren, china in avanti, sfregava un fiammifero contro il coperchio della scatola.

Delle cose toccarono Lane, e intorno a lui non ci fu più aria. L’abito gli si incollava addosso, come se le cose invisibili lo premessero, fremendo ed emettendo sibili che non promettevano niente di buono. Viso e collo erano imprigionati, come da migliaia di ragnatele, che lo coprissero e lo avvolgessero. Lane non vedeva niente. Sentiva soltanto i sibili. E non poteva respirare.

La mano che teneva l’accendisigaro era ancora libera. L’avvicinò alla torcia d’erba secca, e subito le fiamme si levarono alte. Intorno i sibili divennero urla strane, indicibili, spaventose. I Gizmo, a contatto con il suo corpo formavano un autentico muro gassoso, che adesso le fiamme scuotevano con orrendi sussulti, così violenti che per poco Lane non venne buttato a terra.

Agitava disperatamente la torcia, e le scintille si spandevano da tutte le parti, e quegli strani suoni lamentosi, simili a gemiti, aumentavano.

Finalmente riuscì a respirare, ma tutt’attorno l’aria era piena di miasmi fetidi. Si volse, con aria di trionfo, verso la Warren, per vedere come se la cavava.

La scienziata era caduta a terra, il primo fiammifero si era spento, e lei tentava disperatamente di accenderne un altro, senza riuscirci.

Lane le corse vicino, agitando la fiaccola. Sembrava un selvaggio che compisse degli scongiuri. Dalla torcia le scintille si spandevano intorno, dilagavano, mentre i Gizmo ardevano con sottili sibili, disumani.

— Anche questa volta — disse alla Warren che ricominciava a tirare il fiato — anche questa volta ce l’abbiamo fatta. Per il momento siamo salvi.

La sua torcia ormai era quasi consumata. Lane ne prese un’altra dal mucchio, e l’accese. Le fiamme divamparono, e Lane agitò gli sterpi in alto, sopra il suo capo. La scena aveva qualcosa di allucinante: due esseri umani, sulle pendici di un monte, agitavano minacciosamente delle torce sotto la luce lunare.

— La roulotte — ansimò Lane. — Dobbiamo riposare un po’ prima di decidere cosa fare!

Aiutò la Warren, e insieme si avviarono alla roulotte.

— Eppure dovevano essere interessanti da studiare! — commentò la scienziata.

Tutt’intorno si levavano ancora sibili rabbiosi. Anche la seconda torcia di Lane era consumata, e la Warren agitò la sua finché lui ne ebbe accesa un’altra. Poi raggiunsero la roulotte.

Anche quando furono al riparo continuarono ad agitare le torce. Poi la Warren accese tutte le fiamme della cucina a gas liquido.

— Non mi è mai piaciuto tanto il fuoco come in questo momento! — commentò.

Con un guaito, Mostro sbucò dal suo rifugio, e la coperta che l’aveva protetto dai Gizmo, cadde sul pavimento. La bestia era in uno stato pietoso, guaiva, e tremava convulsamente.

— Per ora — disse Lane — siamo salvi. Non so però fino a quando…

— Dobbiamo avvertire gli altri, informarli che esistono i Gizmo, e che sono pericolosi! Questa è la prima cosa da fare — decise la Warren. — Poi dobbiamo catturarne uno…

— L’abbiamo già fatto una volta — ribatté Lane — e quello ha chiamato gli altri. Non vorrete che ce ne trasciniamo dietro un’orda decisa a ucciderci pur di riavere il prigioniero! Sarebbe troppo!

— Avete ragione. Allora faremo le nostre relazioni, io all’università e voi alla vostra rivista. Le autorità così saranno informate, e prenderanno le disposizioni necessarie per fronteggiare la situazione. Però se ne potessimo catturare uno…

— Vedremo. Per ora voglio fare una fiaccola. Bastano dei barattoli e un paio di bastoni. C’è un apriscatole?

La Warren ne scovò uno, e Lane aprì due scatolette di viveri, ne tolse il coperchio e infisse un bastoncino nel fondo, riempiendo poi la scatola con stracci imbevuti di benzina.

— Credo che i Gizmo staranno alla larga da aggeggi del genere — disse il giornalista mentre collaudava la maneggiabilità della torcia primitiva. Visto che funzionava, Lane ne costruì una seconda per la Warren, quindi si mise in spalla il bidone di benzina, si riempì le tasche di pezzi di legno ricavati da una cassa, e finalmente i due abbandonarono la roulotte, lasciando tutte le luci accese.

Camminavano protendendo davanti a sé le rudimentali fiaccole e di tanto in tanto le agitavano sopra le teste, vigorosamente, e più volte vicino a terra per liberare Mostro, quando il cane si rotolava, ringhiando all’aria.

Gli passavano vicino al corpo i tizzoni ardenti e il cane tornava a rizzarsi. Indugiarono anche vicino a certi tronchi morti, strappando rami e pezzi di corteccia per alimentare le fiaccole.

La montagna si levava alta alle loro spalle mentre Lane e la Warren avanzavano nel buio. Lei, piena di propositi bellicosi, pensava alla sconfitta che avrebbe inflitto ai Gizmo, e intanto teneva d’occhio il suo barattolo, attenta a ogni parola di Lane che camminava davanti e pensava a come comunicare la notizia agli altri non ancora attaccati dai Gizmo.

Si scambiarono poche parole lungo la mulattiera. In certi punti gli alberi si chiudevano sulle loro teste nascondendo il cielo e rendendo più fondo il buio. Il lieve riverbero rossastro delle fiaccole però guidava i loro passi in mezzo ai tronchi caduti e ai massi che affioravano sul sentiero.

Non un suono né un movimento, ma i due sapevano che i Gizmo li seguivano nelle tenebre sperando che alla fine i loro fuochi si spegnessero.

Finalmente le stelle brillarono di nuovo sopra di loro e le montagne si aprirono, permettendo allo sguardo di spaziare per chilometri e chilometri.

A volte li sfiorava la brezza notturna, e loro, scambiando i lievi tocchi del vento per un segnale d’attacco di quei demoni mostruosi senza corpo, subito agitavano le fiaccole, sprizzando scintille da ogni parte.

Non un lumicino, non un canto d’uccello. Poi, in fondo, sulla linea dell’orizzonte apparve una lievissima sfumatura grigiastra. Fu la Warren a notarla per prima.

— È l’alba — annunciò, calma.

Con infinita emozione sentirono, lontanissimo, il grido isolato di un uccello. Finalmente una creatura viva, la prima che incontravano in quella zona.

— Mi stupisco di essere ancora in vita — disse Lane — ma non mi illudo certo che i nostri guai siano finiti.

— Bisogna far venire qui subito una squadra di ricercatori. Quei Gizmo sono pericolosi, ed è indispensabile prendere immediatamente delle misure — commentò la Warren, col tono di un generale abituato a veder eseguiti i suoi ordini.

Aveva ancora la fiducia inconscia nella superiorità dell’uomo, fiducia che risaliva a migliaia di generazioni. Lane, invece, non ne era del tutto convinto. Sapeva che i Gizmo erano dappertutto. Quanti? E quei mostri apparentemente fragili, erano più forti, se più numerosi?

Poco dopo il sole spuntò sui monti disegnando davanti a Lane, alla Warren e a Mostro le loro lunghe ombre. Alcune nuvolette bianche brillavano ai raggi del sole, c’era ancora una lieve sfumatura rosata nell’aria, foglie ed erba scintillavano di rugiada, l’atmosfera era fresca e luminosa, e gli uccelli si chiamavano da un fianco all’altro dei monti. Un cane abbaiava, e si sentivano di nuovo ronzare gli insetti.

La Warren studiava il posto. Erano sbucati da un folto di alberi su una strada battuta, che sembrava arrivare dal nulla e portare da nessuna parte. Non una casa in vista, appena un prato, attraversato da sentieri, che forse era stato un pascolo. A poca distanza, una civetta appollaiata su un ramo gettava il suo grido rauco.