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Quando ebbe raggiunto la cima dell’altura, vide di fronte a sé la sagoma di una casa.

Non aveva le dimensioni della sua, ma era abbastanza grande. Era un’abitazione, la salvezza. Kress gridò e si mise a correre in quella direzione. Cibo, acqua, sarebbe stato nutrito, avrebbe finalmente potuto fare un pasto. Sentiva i morsi della fame. Corse giù per la collina verso la casa, agitando le braccia e urlando per richiamare l’attenzione degli abitanti. La luce ormai se n’era quasi andata, ma riusciva ancora a distinguere una mezza dozzina di bambini che giocavano nella penombra. «Ehi, laggiù» gridò. «Aiuto, aiuto.»

Loro gli corsero incontro.

Kress si fermò di colpo. «No. Oh, no» esclamò. «No, no.» Si voltò, scivolò sulla sabbia, si rialzò e cercò di correre ancora. Lo raggiunsero con facilità. Erano piccoli esseri orribili con occhi sporgenti e la pelle color arancione bruciato. Kress si divincolò, ma fu inutile. Per quanto fossero piccoli, ognuno di loro aveva quattro braccia e Kress soltanto due.

Lo portarono verso la casa. Era una costruzione misera e malandata, fatta di sabbia sgretolata, ma la porta era piuttosto grande, scura, e... respirava. Era orribile, ma non fu questo che fece urlare Simon Kress. Gridò a causa degli altri, dei piccoli bambini arancioni che sciamarono fuori dal castello, e lo fissarono imperturbabili mentre passava.

La loro faccia era assolutamente identica alla sua.