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Sepolto sotto i re della sabbia, il ragno in qualche modo scivolò giù nell’oscurità e scomparve.

Jad Rakkis esalò un lungo respiro. Era pallido. «Fantastico!» disse qualcuno. Malada Blane gorgogliò una risata.

«Guarda!» esclamò Idi Noreddian, tirando Kress per un braccio.

Erano stati così assorti nella battaglia che si svolgeva in quell’angolo, che nessuno aveva notato l’attività nel resto della vasca. Ma adesso il castello era tranquillo, la sabbia deserta, a parte le unità mobili rosse senza vita, e allora videro che cosa era successo.

Tre eserciti si erano schierati davanti al castello rosso. Immobili, perfettamente allineati, una fila dietro l’altra, arancioni, bianchi e neri. Aspettavano di vedere che cosa sarebbe emerso dai sotterranei.

Simon Kress sorrise. «Un cordone sanitario» disse. «E prova un po’ a dare un’occhiata agli altri castelli, Jad.»

Rakkis lo fece, e imprecò. Squadre di unità mobili stavano sigillando le porte con sabbia e pietre. Se il ragno fosse in qualche modo sopravvissuto a quell’incontro, non gli sarebbe stato facile entrare negli altri castelli. «Avrei dovuto portare quattro ragni» commentò Jad Rakkis. «Comunque ho vinto. Il mio ragno adesso è giù che si mangia la tua stramaledetta mandibola.»

Kress non rispose. Aspettava. C’erano movimenti nelle ombre.

A un certo punto, le unità mobili rosse cominciarono a uscire dall’ingresso. Ripresero i loro posti sul castello e cominciarono a riparare i danni provocati dal ragno. Gli altri eserciti si dispersero, ritornando ciascuno al proprio angolo.

«Jad» disse Simon Kress «penso che tu abbia le idee un po’ confuse su chi ha mangiato chi.»

La settimana successiva, Rakkis portò quattro piccoli serpenti argentei. I re della sabbia li fecero fuori senza tanti problemi.

La volta dopo tentò con un grande uccello nero. Mangiò più di trenta unità bianche, e dimenandosi e muovendosi goffamente in pratica distrusse il loro castello. Ma alla fine le ali non lo reggevano più, e i re della sabbia lo attaccarono in forze ovunque atterrasse.

Dopo di che fu la volta degli insetti, scarafaggi dotati di carapace, non troppo dissimili dagli stessi re della sabbia. Ma erano veramente stupidi. Arancioni e neri alleati spezzarono la loro formazione, li divisero e li massacrarono.

Rakkis cominciò a firmare a Kress delle cambiali.

Fu più o meno in quel periodo che Kress incontrò di nuovo Cath m’Lane, una sera che era andato ad Asgard per cenare in uno dei suoi ristoranti preferiti. Si fermò un attimo al suo tavolo e le accennò ai giochi di guerra, invitandola a partecipare. Lei arrossì, poi riprese il controllo e diventò glaciale. «Qualcuno deve fermarti, Simon. Penso proprio che sarò io» disse. Kress alzò le spalle e si gustò l’ottimo pasto, senza più ripensare a quella minaccia.

Fino a quando, una settimana più tardi, una donna piccola e tozza arrivò alla sua porta e gli mostrò il cinturino della polizia. «È stata sporta una denuncia» disse. «Lei ha in casa una vasca piena di insetti pericolosi, signor Kress?»

«Non sono insetti» disse furibondo. «Venga che glieli mostro.»

Quando vide i re della sabbia, la poliziotta scosse la testa. «Non è possibile. E comunque sia, che cosa sa di queste creature? Da che mondo arrivano? Hanno l’approvazione del comitato ecologico? Lei ha una licenza? Ci è stato riferito che sono carnivore, potenzialmente pericolose, e anche che sono semisenzienti. Dove ha preso questi animali?»

«Da Wo e Ombra» rispose Kress.

«Mai sentiti nominare» disse la donna. «Probabilmente li hanno fatti entrare di contrabbando, sapendo che i nostri ecologisti non li avrebbero mai approvati. No, Kress, è inammissibile. Confischerò questa vasca e la farò distruggere. E lei si aspetti di ricevere un bel po’ di multe.»

Kress le offrì cento standard per dimenticarsi di lui e dei suoi re della sabbia.

Lei non ci sentiva. «Adesso alle altre accuse dovrò aggiungere anche un tentativo di corruzione.»

Non ci fu modo di persuaderla fino a quando salì a duemila standard.

«Sa, non sarà facile» disse la poliziotta. «Ci sono verbali da contraffare, registrazioni da cancellare. E procurarsi una licenza degli ecologisti prenderà il suo tempo. Per non parlare di chi ha sporto la denuncia. Cosa facciamo se quella chiama di nuovo?»

«Non si preoccupi» la rassicurò Kress. «A lei ci penso io.» Rifletté un po’. Quella sera fece un paio di telefonate.

Prima di tutto a t’Etherane il Venditore di Piccoli Animali. «Voglio comprare un cagnolino» disse.

Il commerciante dalla faccia rotonda restò basito. «Un cagnolino? Non è da te, Simon. Perché non passi di qui? Ho un bell’assortimento.»

«Voglio un tipo di cane ben preciso» dichiarò. «Prendi nota, ti dico come deve essere.»

Dopo di che compose il numero di Idi Noreddian. «Idi, questa sera devi venire qui con la tua olo-attrezzatura. Ho intenzione di registrare una battaglia dei re della sabbia. Un regalo per uno dei miei amici.»

Quella notte, dopo la registrazione Simon Kress restò alzato fino a tardi. Seguì un nuovo dramma appassionante al sensorio, si preparò uno spuntino, fumò un paio di bastoncini-del-la-gioia e si scolò una bottiglia di vino. Sentendosi molto soddisfatto di sé, passeggiò per il soggiorno con il bicchiere in mano.

Le luci erano spente. Il bagliore rossastro del terrario accendeva le ombre, rendendole febbrili. Andò a controllare il suo dominio, curioso di vedere a che punto erano i neri con la riparazione del loro castello. Il cagnolino glielo aveva mezzo distrutto.

Il restauro procedeva bene. Ma mentre Kress ispezionava i lavori usando gli occhiali con le lenti d’ingrandimento, gli capitò di vedere da vicino la sua faccia. Trasalì.

Fece un passo indietro, batté le palpebre, bevve un bel sorso di vino e guardò di nuovo.

La faccia sul muro era ancora la sua. Ma era tutta sbagliata, tutta distorta. Le guance erano gonfie, da maiale, il sorriso una smorfia lubrica. Appariva incredibilmente malevola.

A disagio, fece il giro della vasca per controllare gli altri castelli. Le facce presentavano differenze minime, ma sostanzialmente erano uguali.

Gli arancioni avevano tralasciato la maggior parte dei particolari, ma il risultato era comunque rozzo, mostruoso: una bocca da bruto e occhi privi di intelligenza.

I rossi gli avevano attribuito una sorta di ghigno satanico. Gli angoli della bocca avevano una strana piega sgradevole.

I bianchi, i suoi prediletti, avevano scolpito un dio stupido e crudele.

Simon Kress lanciò il bicchiere pieno di vino dall’altra parte del soggiorno, furibondo. «Voi osate» disse sottovoce. «Adesso resterete senza cibo per una settimana, maledetti...» La sua voce si era fatta acuta. «Vi insegnerò io.» Gli venne un’idea. Uscì dalla stanza, e poco dopo tornò con un’antica spada-da-lancio di ferro. Era lunga un metro, aveva la punta ancora affilata. Kress sorrise, si arrampicò e fece scivolare lateralmente il coperchio, quel tanto sufficiente per muoversi, scoprendo un angolo di deserto. Si chinò, e conficcò la lama nel castello bianco sotto di lui. La rigirò più volte, sgretolando mura e bastioni. La sabbia e le pietre crollarono, seppellendo le unità mobili che si arrampicavano. Con uno scatto del polso distrusse i lineamenti della caricatura insolente e offensiva che i re della sabbia avevano fatto della sua faccia. Poi tenne la punta della spada sospesa sopra la bocca scura, giù nella camera della mandibola, e colpì con tutte le sue forze. Udì un suono attutito, viscido, e incontrò resistenza. Tutte le unità mobili ebbero un tremito e collassarono. Kress ritirò la spada, soddisfatto.