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Quando tornò a casa era ormai l’imbrunire. Allora Kress si fermò a riflettere. Valutò rapidamente l’ipotesi di volare di nuovo in città e trascorrere lì la notte, ma la scartò. Aveva troppo da fare. Non era ancora salvo.

Sparse le palline avvelenate lungo il perimetro della casa. Nessuno avrebbe trovato la cosa sospetta. Aveva sempre avuto problemi con i rocciaclimber. Quando ebbe finito, prese il pesticida e si avventurò di nuovo all’interno.

Kress setacciò tutta la casa, una stanza dopo l’altra, accendendo tutti gli interruttori, fino a essere circondato da uno sfavillio di luce artificiale. Fece una sosta per ripulire il soggiorno, rimettendo la sabbia e i frammenti di plastica nella vasca rotta. I re della sabbia se n’erano andati tutti, come aveva temuto. I castelli si erano rimpiccioliti e stortati sotto il bombardamento acqueo che Kress aveva inflitto loro, e il poco rimasto si stava sgretolando man mano che asciugava.

Si accigliò e andò avanti a cercare, con la latta di pesticida spray sulle spalle.

Giù nella cantina dove teneva il vino trovò il cadavere di Cath m’Lane.

Era sdraiato in modo scomposto ai piedi della ripida rampa di scale, gli arti piegati come a seguito di una caduta. Sciami di unità mobili bianche lo ricoprivano, e quando guardò meglio, Kress vide che il corpo si muoveva sobbalzando sul pavimento di terra battuta.

Rise, e accese la luce al massimo. Nell’angolo più lontano, tra due rastrelliere per il vino, si vedevano un castello di terra piccolo e tozzo e un buco scuro. Kress riuscì a distinguere un grossolano abbozzo della sua faccia sul muro della cantina.

Il corpo si spostò ancora, avanzando di qualche centimetro verso il castello. Kress ebbe una rapida visione della mandibola bianca in famelica attesa. Poteva riuscire a mettere in bocca un piede di Cath, ma non di più. Era troppo assurdo. Rise di nuovo, e cominciò a scendere le scale con il tubo flessibile avvolto attorno al braccio destro e il dito sul grilletto. I re della sabbia — a centinaia che si muovevano come un solo corpo — si allontanarono dal cadavere e si schierarono in linee di combattimento, un campo di unità bianche tra lui e la mandibola.

D’un tratto Kress ebbe un’altra ispirazione. Sorrise e abbassò la mano pronta a sparare. «Cath è sempre stata dura da digerire» disse, compiaciuto della propria arguzia. «Soprattutto per chi ha la vostra taglia. Ecco, lasciate che vi aiuti. Altrimenti a cosa servono gli dèi?»

Salì nuovamente di sopra, e dopo poco ritornò con una mannaia. I re della sabbia, pazienti, aspettavano, mentre Kress tagliava Cath m’Lane in piccoli pezzi facilmente digeribili.

Quella notte Simon Kress dormì con indosso la tuta di sottilpelle e il pesticida a portata di mano, ma non ne ebbe bisogno. Le unità bianche, sazie, restarono in cantina, ed egli non vide in giro nessuna delle altre.

La mattina riprese le pulizie in soggiorno. Quando ebbe finito non rimaneva traccia della colluttazione, a parte la vasca rotta.

Mangiò un pasto leggero, e ricominciò la caccia ai re della sabbia scomparsi. Alla luce del giorno non fu difficile. I neri si erano insediati nel giardino di roccia, e avevano costruito un tozzo castello con quarzo e ossidiana. I rossi li trovò sul fondo della piscina da tempo inutilizzata, che negli anni si era parzialmente riempita di sabbia trasportata dal vento. Vide le unità mobili di entrambi i colori vagare qua e là sul terreno, molte di loro trasportando palline avvelenate per le mandibole. Kress decise che il pesticida era superfluo. Inutile rischiare una battaglia quando poteva semplicemente lasciare che il veleno facesse il suo lavoro. Le due mandibole sarebbero morte prima di sera.

Quindi mancavano all’appello solo i re della sabbia arancione bruciato. Kress fece più volte il giro della proprietà, in spirali sempre più ampie, ma non trovò alcuna traccia. Quando la sottilpelle cominciò a farlo sudare — era una giornata calda e asciutta — decise che era un problema secondario. Se erano fuori, probabilmente avrebbero mangiato anche loro le palline avvelenate come gli altri.

Mentre rientrava in casa, sentì con una certa soddisfazione lo scricchiolio delle unità mobili sotto i suoi piedi. Una volta all’interno, si tolse la sottilpelle, si preparò una buona cenetta e finalmente cominciò a rilassarsi. Era tutto sotto controllo. Nel giro di poco, due mandibole sarebbero morte, la terza era al sicuro in un posto dove poteva essere facilmente eliminata una volta che avesse finito di servire ai suoi scopi, ed era sicuro di trovare la quarta. Per quanto riguardava Cath, le tracce della sua visita erano state cancellate.

Quelle piacevoli fantasticherie furono interrotte dal videofono che cominciò a lampeggiare. Era Jad Rakkis; chiamava per vantarsi di certi vermi cannibali che avrebbe portato ai giochi di guerra quella sera.

Kress se n’era scordato, ma rimediò subito. «Oh, Jad, scusami. Ho dimenticato di dirtelo. Queste cose mi hanno stufato, e mi sono sbarazzato dei re della sabbia. Piccoli mostriciattoli. Mi dispiace, ma stasera non ci sarà nessuna festa.»

Rakkis era indignato. «E adesso, che cosa me ne faccio dei vermi?»

«Mettili in un cestino di frutta e mandali a una persona che ami» rispose Kress, chiudendo la comunicazione. Poi si affrettò a chiamare gli altri. Non voleva che qualcuno andasse a fargli visita in quella situazione, con i re della sabbia vivi, in giro per la proprietà.

Mentre stava chiamando Idi Noreddian, Kress si rese conto di un seccante particolare che aveva trascurato. Lo schermo cominciava a illuminarsi, segno che qualcuno dall’altra parte aveva risposto. Kress interruppe la comunicazione. Idi arrivò come prestabilito un’ora più tardi. Restò sorpresa nell’apprendere che la festa era stata annullata, ma ben felice di trascorrere una serata da sola con Kress. Lui la deliziò con il racconto della reazione di Cath all’ologramma che avevano girato insieme. Parlando, fece in modo di accertarsi che lei non avesse accennato a nessuno di quella burla. Annuì soddisfatto, e riempì di nuovo i bicchieri. Il vino era agli sgoccioli. «Vado a Prendere un’altra bottiglia» disse. «Scendi con me in cantina, così mi aiuti a scegliere una buona annata. Hai sempre avuto un palato migliore del mio.»

Lei lo accompagnò abbastanza volentieri, ma esitò in cima alle scale quando Kress aprì la porta e le fece segno di precederlo. «La luce, dov’è?» chiese. «E che cos’è questo strano odore, Simon?»

Quando lui le diede una spinta, il suo viso assunse un’espressione spaventata. Lanciò un grido ruzzolando giù per le scale. Kress chiuse la porta, e cominciò a inchiodarla con delle tavole di legno e il martello ad aria compressa che aveva preparato per l’occasione. Mentre finiva, sentì Idi gemere. «Mi sono fatta male. Simon, perché fai così?» D’un tratto uno strillo, dopodiché cominciarono le urla.

Andarono avanti per ore. Kress si sedette davanti al sensorio, e digitò una commedia leggera per cancellarle dalla sua mente.

Quando fu sicuro che era morta, Kress trainò l’aeromobile della donna verso nord e lo sganciò nel vulcano. Il gancio magnetico si era dimostrato un buon investimento.

Quando la mattina dopo Kress scese per dare un’occhiata, dalla cantina proveniva uno strano rumore, come di qualcuno che raspava la porta. Restò in ascolto per alcuni istanti, a disagio, chiedendosi se Idi Noreddian potesse essere sopravvissuta e stesse cercando di uscire. Era improbabile; dovevano essere i re della sabbia. Ma le implicazioni di quella spiegazione non lo rassicurarono affatto. Kress decise che avrebbe lasciato la porta sigillata, almeno per il momento, e uscì con una pala per seppellire le due mandibole, quella rossa e quella nera, nei rispettivi castelli.

Le trovò tutt’altro che moribonde.

Il castello nero scintillava di vetro vulcanico, gremito di re della sabbia che eseguivano riparazioni e migliorie. La torre più alta gli arrivava alla cintola, e sulla cima c’era una maschera ripugnante della sua faccia. Quando si avvicinò, le unità mobili nere sospesero le attività e si schierarono in due falangi minacciose. Kress si guardò alle spalle e ne vide delle altre che gli stavano chiudendo la via di fuga. Spaventato, lasciò cadere la pala e si allontanò di corsa dalla trappola, schiacciando alcune unità sotto gli stivali.