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Il castello rosso stava crescendo lentamente fino a raggiungere l’altezza delle pareti della piscina. La mandibola se ne stava tranquillamente adagiata in una fossa, circondata da concrezioni di sassi e sabbia e da bastioni. Le unità rosse si aggiravano sul fondo della piscina. Kress le guardò trasportare nel castello un rocciaclimber e una grossa lucertola. Si ritrasse dal bordo della piscina, inorridito, e sentì un rumore di ganasce. Guardò giù: tre unità mobili si stavano arrampicando sulla sua gamba. Le spazzò via e le calpestò, ma altre si avvicinavano rapidamente. Erano molto più grandi di come le ricordava. Alcune avevano quasi la dimensione del suo pollice.

Kress si mise a correre. Il tempo di mettersi in salvo in casa, ed era senza fiato, con il cuore che batteva all’impazzata. Chiuse la porta, affrettandosi a far scattare la serratura. La casa doveva essere a prova di parassiti. Lì sarebbe stato al sicuro.

Una bella dose di alcol gli calmò i nervi. Dunque il veleno non fa niente, pensò. Avrebbe dovuto immaginarlo. Wo gli aveva detto che la mandibola può mangiare di tutto. Avrebbe fatto meglio a usare il pesticida. Per maggior sicurezza Kress bevve un altro bicchiere, poi indossò la tuta di sottilpelle e si assicurò la latta sulla schiena. Aprì la porta.

Fuori, i re della sabbia stavano aspettando.

Davanti a lui c’erano due eserciti, alleati contro la minaccia comune, più numerosi di quanto avrebbe mai immaginato. Quelle mandibole dovevano essere prolifiche come i rocciaclimber. I re della sabbia dappertutto, un oceano strisciante.

Kress sollevò il tubo flessibile e azionò il grilletto. Un velo di nebbia grigia si rovesciò sulla prima fila. Spostò il getto da una parte e dall’altra.

Dove cadeva la schiuma, i re della sabbia si contorcevano violentemente e morivano tra spasmi improvvisi. Kress sorrise. Non avevano scampo con lui. Spruzzò disegnando un ampio arco davanti a sé e avanzò sicuro verso un ammasso di corpi neri e rossi. Gli eserciti si ritirarono. Kress si spinse avanti, con l’intenzione di aprirsi un varco fino alle mandibole.

D’un tratto la ritirata si arrestò. Un migliaio di re della sabbia si sollevarono contro di lui.

Kress si era aspettato il contrattacco. Mantenne la sua posizione, facendo oscillare il tubo nebulizzante davanti a sé con grandi spazzate circolari. Marciavano verso di lui e morivano. Alcuni riuscirono a passare; non poteva innaffiare dappertutto contemporaneamente. Li sentiva che gli si arrampicavano su per le gambe, avvertiva le loro ganasce che mordevano inutilmente la plastica rinforzata della sottilpelle. Li ignorò, e andò avanti a spruzzare.

Poi cominciò a sentire dei tonfi leggeri sulla testa e sulle spalle.

Kress rabbrividì, in preda al panico, e guardò in su. La facciata della casa brulicava di re della sabbia neri e rossi, a centinaia. Si stavano lanciando nel vuoto, piovendogli addosso. Cadevano intorno a lui. Uno gli atterrò sulla visiera, le sue mascelle annasparono verso i suoi occhi per un terribile secondo, prima che lui lo spazzasse via.

Sollevò il tubo, spruzzò in aria e irrorò la casa, finché i re della sabbia aerei non furono tutti morti o morenti. La nebbiolina gli ricadde addosso, seccandogli la gola. Tossì e continuò a spruzzare il pesticida. Solo quando la facciata della casa fu ripulita, Kress rivolse di nuovo l’attenzione verso terra.

Era circondato: decine di unità mobili gli scorrazzavano sul corpo, e altre centinaia stavano accorrendo in rinforzo. Rivolse il getto verso di loro. A un certo punto il getto morì. Kress udì un forte sibilo, e la nebbia mortifera si levò in una grande nuvola alle sue spalle, ricoprendolo, soffocandolo, irritandogli gli occhi e offuscandogli la vista. Risalì il tubo a tentoni, e la sua mano si ritrasse coperta di re della sabbia agonizzanti: era stato reciso, lo avevano eroso. Kress era avvolto da un sudario di pesticida, accecato. Inciampò, lanciò un grido e prese a correre verso la casa, strappandosi freneticamente i re della sabbia dal corpo.

Una volta dentro, chiuse la porta e si lasciò cadere sul tappeto, rotolandosi da una parte e dall’altra finché non fu sicuro di averli uccisi tutti. La latta nel frattempo era finita, con un sibilo. Kress si strappò di dosso la sottilpelle e fece la doccia. L’acqua calda lo ustionò, lasciandogli la pelle arrossata e sensibile, ma gli tolse il formicolio.

Indossò gli abiti più pesanti che aveva, spessi pantaloni da lavoro e gambali di cuoio, dopo averli scossi nervosamente. «Maledizione» continuava a ripetere «maledizione.» Aveva la gola secca. Dopo avere ispezionato con attenzione l’ingresso, per assicurarsi che fosse pulito, si concesse di mettersi a sedere e versarsi da bere. «Maledizione» ripeté. La sua mano tremava mentre si riempiva un bicchiere, rovesciando metà del liquore sul tappeto.

L’alcol lo calmò, ma non gli tolse la paura. Dopo essersi servito di nuovo, si affacciò furtivamente alla finestra. I re della sabbia brulicavano dall’altra parte del pannello di plastica. Kress rabbrividì e si diresse al quadro comandi per la telecomunicazione. Aveva bisogno di aiuto, pensò febbrilmente. Avrebbe inviato un appello alle autorità, la polizia sarebbe intervenuta con i lanciafiamme e...

Simon Kress si fermò a metà numero, ed emise un gemito. Non poteva chiamare la polizia. Avrebbe dovuto dire loro dei bianchi in cantina e avrebbero scoperto anche i cadaveri. Forse a quell’ora la mandibola aveva finito Cath m’Lane, ma di certo non Idi Noreddian. Non l’aveva neanche fatta a pezzi. E poi ci sarebbero comunque state le ossa. No, la polizia andava chiamata come ultima risorsa.

Si sedette alla console con espressione accigliata. La sua attrezzatura per la telecomunicazione occupava un’intera parete; da lì poteva raggiungere chiunque su Baldur. Non gli mancavano i soldi e l’astuzia: era sempre stato orgoglioso dei suoi guizzi d’ingegno. In un modo o nell’altro se la sarebbe cavata anche quella volta.

Prese per un attimo in considerazione l’ipotesi di chiamare Wo, ma lasciò subito cadere l’idea. Wo sapeva troppo, poteva fare domande, e Kress non si fidava di lei. No, aveva bisogno di qualcuno che agisse senza fare domande.

La sua fronte si spianò, e lentamente tornò il sorriso. Simon Kress aveva dei contatti. Digitò la chiamata per un numero che non usava da tanto tempo.

Sul videofono prese forma il viso di una donna: i capelli bianchi, l’espressione mite, e un lungo naso ricurvo. La sua voce era secca ed efficiente. «Ciao, Simon. Come va il lavoro?» disse.

«Tutto bene, Lissandra» rispose Kress. «Ho un incarico per te.»

«Una rimozione? I miei prezzi sono saliti dall’ultima volta, Simon. Sono passati ormai dieci anni.»

«Sarai pagata bene» assicurò Kress. «Conosci la mia generosità. Voglio che tu mi faccia una bella disinfestazione.»

La donna fece un sorrisetto. «È inutile ricorrere a eufemismi, Simon. La chiamata è protetta.»

«No, parlo sul serio. Ho un problema di parassiti. Animali pericolosi. Occupati di loro per conto mio. Niente domande, intesi?»

«Ricevuto.»

«Bene. Ti serviranno... mmh, tre o quattro operatori. Sottilpelli resistenti alle alte temperature, lanciafiamme o laser, roba del genere. Venite a casa mia. Vedrete qual è il problema. Cimici: molte, molte cimici. Nel mio giardino di roccia e nella vecchia piscina troverete dei castelli: distruggeteli, uccidete tutto quello che c’è dentro. Poi bussate alla porta, e vi mostrerò cos’altro bisogna fare. Potete arrivare rapidamente?»

Il viso della donna era rimasto impassibile. «Partiremo entro un’ora.»