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«Per nulla, con la tempo-compressione. Inoltre gli insegnerò musica e poesia, di cui era appassionato Calanctus. La sua personalità deve assumere un tocco di brillantezza. Il mio principale strumento sarà questo piccolo petalo di fiore rinsecchito: ha un profumo dall’effetto magico».

Per quanto riluttanti, Rhialto e Ildefonse si lasciarono convincere a uscire e, seduti nel salotto, attesero l’alba osservando la nebbia che stagnava sul Prato Inferiore. Sulla sponda oscura del Ts, una coppia di ippogrifi era uscita dalla boscaglia per abbeverarsi.

Mezz’ora dopo, Lehuster li richiamò nella stanza da lavoro: «Questo che vedete è Calanctus. La sua mente è colma di sapienza, e il corpo appare un tantino ingrassato rispetto a come lo ricordavo. Calanctus, permettimi di presentarti questi due rispettabili Maghi, Rhialto e Ildefonse. Essi sono tuoi amici, e degnissime persone».

Gli occhi azzurri di Calanctus esaminarono i due. «Sono lieto di sentirlo dire», affermò. «Da quanto ho saputo, il mondo ha un triste bisogno di uomini leali e rispettabili».

Lehuster si grattò la testa. «Bè… è Calanctus, ma con qualche piccola differenza o manchevolezza. Potrei dire che gli ho dato un quarto del mio sangue, ma forse non è stato abbastanza. Comunque, staremo a vedere».

Ildefonse chiese: «E i poteri? Può rafforzare i suoi ordini?».

Lehuster considerò il simulacro. «Ho collegato al sensorio diverse Pietre Ioun. Ma non ha mai conosciuto offesa, e questo lo rende gentile e acquiescente, malgrado la sua indubbia potenza intrinseca».

«Che cosa sa della Murthe?».

«Tutto ciò che sappiamo noi. Noto che non mostra alcuna emozione».

Rhialto e Ildefonse non nascondevano un certo scetticismo. Rhialto commentò: «Infatti ha un’aria un tantino troppo placida e astratta. Non si potrebbe fornirgli un’identificazione più viscerale ed emotiva con il vero Calanctus?».

Lehuster esitò: «Forse. Calanctus usava portare al polso un braccialetto con uno scarabeo. Vestitelo in modo acconcio, quindi io glielo consegnerò».

Dieci minuti più tardi Rhialto e Ildefonse scesero di nuovo” in salotto con Calanctus, che ora indossava un elmetto nero, un giustacuore metallico, stivaloni, tunica e cappa anch’essi neri, con fibbie e accessori in argento.

Lehuster ne parve soddisfatto. «È lui, al meglio della forma. Calanctus, porgi il braccio. Ti consegno ora un bracciale appartenuto al primo Calanctus, del quale devi assumere l’identità. È tuo. Non lo togliere mai dal polso destro». Gli allacciò il monile, che gli altri due Maghi osservarono con interesse.

Calanctus si accigliò. «Sento sorgere in me vita e potenza… Io sono forte! Io sono Calanctus!»

Rhialto gli chiese: «E pensi che sarai svelto ad imparare la magia? A un uomo normale occorrono quarant’anni di studio soltanto per diventare un apprendista».

«Io ho il potere d’apprendere ogni pratica magica».

«Quand’è così, datti da fare. Comincerai a studiarti tutta la serie di tomi dell’Enciclopedia, poi i Tre Libri di Phandaal, e se per allora non sarai morto o impazzito ti riconoscerò come un’entità superumana. Prego… la stanza da lavoro è per di qua».

Ildefonse fu lasciato solo nel salotto e, più per ingannare il tempo che per fame, spilluzzicò della frutta. Ma erano trascorsi appena due minuti che una serie di suoni acutissimi e un grido stridulo lo fecero balzare in piedi allarmato. Ci furono dei passi. Calanctus rientrò nella stanza con andatura ferma e sicura. Dietro di lui c’era Rhialto, che sembrava malfermo sulle ginocchia ed era pallido.

Il tono di Calanctus suonò tenebroso: «Ho accolto in me la magia. La mia mente è colma d’incantesimi arcani. Sono grezzi, ma già ne controllo le instabili energie. Lo scarabeo me ne dà la forza».

Lehuster entrò ansimando. «Ci siamo, Signori: le nuove Streghe sono comparse la fuori, sul prato! Ho riconosciuto Zanzel Melancthones, Ao degli Opali, Barbanikos e altri. Essi… cioè esse, sembrano in preda all’ira o al nervosismo». Indicò la finestra. «Guardate: Zanzel si sta avvicinando».

Rhialto gettò uno sguardo a Ildefonse. «Dobbiamo sfruttare l’opportunità?».

«Saremmo degli sciocchi a lasciarcela scappare».

«Proprio quel che penso. Ora, Ildefonse, se voi vi occuperete di quell’albero, il granipesco li sulla destra…».

Un minuto più tardi Rhialto usciva sulla veranda frontale, e nel giardino si fece incontro a Zanzel. L’individuo appariva ormai femmineo in ogni particolare, e fu con un’acuta voce da donna che protestò e lanciò accuse circa quanto era accaduto alle Pietre Ioun.

«Mi associo alla tua indignazione», lo blandì Rhialto. «È stato un atto vile, di cui è responsabile solo Ildefonse. Ti prego di accomodarti un momento qui, nella seggiola sotto il granipesco, ed io riparerò al torto che avete subito».

Zanzel andò a sedersi borbottando e, appena fu sotto l’albero, Ildefonse fece piovere dalle foglie l’Incanto della Solitudine Interiore, che desensibilizzò la donna. Ladanque, il ciambellano di Rhialto, corse fuori e caricò Zanzel su una carriola, poi la portò nel capanno degli attrezzi in fondo al giardino. La manovra era stata studiata in modo che nessuna delle nuove Streghe vedesse l’accaduto, e il successo riempì Rhialto di soddisfatta baldanza.

Con un cortese cenno invitò Barbanikos a farsi avanti, gridando che per restituire loro le Pietre Ioun era costretto a riceverle una alla volta. Barbanikos si fece avanti ancheggiando, la sua aria sospettosa si dissolse davanti ai sorrisi — calcolatamente virili — di Rhialto, e acconsentì a sedersi sotto il grani-pesco. All’istante subì l’identica sorte dell’altra collega.

Nel tempo di venti minuti Ildefonse gettò l’Incantesimo della Solitudine Interiore su Ao degli Opali, Dulce-Lolo, Hurtiancz e parecchie altre Streghe, finché le sole che restarono ai limiti del prato furono Vermoulian e Tchamast il Didattico. La prima, che esibiva due voluminose, mammelle, aveva un’aria assente. La seconda ignorò testardamente gli inviti di Rhialto.

D’un tratto nell’aria si avvicinò un turbine di nebbia, che venne a fermarsi sul prato a pochi palmi dal terreno. Ne saltò fuori Llorio la Murthe, bella e agile nella semplice tunichetta bianca che i suoi arcani gioielli d’argento impreziosivano stranamente. S’accostò a Vermoulian, la interrogò, ed essa rispose in tono concitato indicando Palazzo Falu.

Llorio esaminò Rhialto da lontano, quindi si incamminò senza fretta nella sua direzione. Quando fu a venti metri dalla veranda, Ildefonse uscì allo scoperto e protese le mani scagliandole addosso l’Incantesimo della Solitudine Interiore. Il sortilegio, sotto forma di una vibrazione giallastra, non fece però molta strada: dopo un istante tornò indietro e colpì in pieno Ildefonse, scaraventandolo lungo disteso a terra.

Llorio la Murthe si fermò. «Rhialto! Tu hai maltrattato le mie colleghe, e hai rubato le pietre magiche di mia proprietà. Decreto quindi che tu ci segua a Sadal Suud non come Strega, bensì con le misere mansioni di servo e cameriere. Questa sarà la tua umiliante punizione. E al tuo complice Ildefonse toccherà lo stesso trattamento».

Dalla porta principale del Palazzo Falu uscì maestosamente Calanctus, che si arrestò a fissarla a braccia conserte. Llorio sbarrò gli occhi, la sua bocca si aperse scioccamente. Quando riuscì a parlare la sua voce suonò rauca:

«Com’è possibile che tu sia qui? Come sei evaso dal Triangolo? E che cosa…» Il fiato le si strozzò in gola. Sbigottita rimase a guardare Calanctus per qualche istante, poi disse: «Perché mi osservi a questo modo? Io non mi sono mai comportata slealmente. Ora partirò per Sadal Suud. Sono qui soltanto per fare ciò che doveva esser fatto, e se qualcuno è sleale quello sei tu!».

«Io pure feci quel che doveva esser fatto, e dovrò agire ancora nello stesso modo, perché tu hai esqualmato dei gentiluomini facendone delle Streghe a te asservite. Hai infranto la Legge Maggiore, uno dei cui dettami è che gli uomini e le donne rimangano quelli che sono».