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Monel! Il pensiero lo colpì mentre continuava a manovrare i comandi. Dov’è? Perché non è venuto? Non è da lui starsene così tranquillo.

Vide Stav, in testa alla fila, e gli fece un cenno. Mentre un altro entrava nella cabina e lui continuava a premere pulsanti, chiese al grosso operaio agricolo: — Hai visto Monel?

— Sì. È in fondo alla fila con le sue cinque guardie.

— Perché ha voluto restare per ultimo?

— Vuoi che rimanga qui ad aspettarlo con te, nel caso che abbia in mente di combinare qualche guaio?

— No, grazie, va’ pure. Ti ho trattenuto anche troppo. Entra nella cabina.

— Non m’importa di aspettare… — disse Stav con un sorriso forzato. — Quel… quel coso mi fa un po’ paura. Una gran luce e puff! chi c’era dentro è sparito.

— È segno che tutto va bene — gli rispose sorridendo Linc premendo il pulsante arancione. Si accese la luce e quando si spense la ragazza che era nella cabina non c’era più. — Con quel puff! ti trovi sul nuovo mondo, capisci? E adesso entra, testa di rapa, prima che anche qualcun altro si tiri indietro per la paura.

Stav lo salutò con una manata sulla spalla ed entrò deciso in cabina. Poco dopo era scomparso. Qualche minuto dopo arrivò Jayna, che sorrideva nervosamente. Linc le fece un cenno di saluto e poco dopo era sparita anche lei, finita nell’oblio… No si affrettò a correggere, non finiscono nell’oblio. Io non li uccido, anzi, mandandoli sul nuovo mondo do loro la vita.

Ma in realtà tutto quello che vedeva erano le persone che conosceva da sempre scomparire ad una ad una. Ognuno entrava nel trasmettitore, calmo o spaventato, sorridente o teso, e lasciava che lui lo facesse sparire… forse per sempre.

Questo pensiero gli fece tremare le mani.

Rimanevano ancora solo quattro minuti di tempo quando arrivarono Monel e le sue guardie.

— Siamo gli ultimi — disse Monel. — Dopo di noi non c’è più nessuno.

— Va bene — disse Linc emettendo dense nuvolette di vapore mentre respirava. — Dovete entrare uno alla volta.

— No! — esclamò Monel. — Sei riuscito a ingannare gli altri, ma a me non la fai.

Linc si era aspettato una reazione di quel genere. — Non fare l’idiota. Ci restano solo pochissimi minuti.

Ma Monel portò la sua sedia vicino al banco dove sedeva Linc, e chinandosi verso di lui sibilò con la sua voce stridula: — Vuoi tenere la nave tutta per te, vero? Be’, non funziona…

— La nave è morta — gli disse Linc. — Non c’è nessuna possibilità…

Monel sorrise. Sulla sua faccia, il sorriso non era per niente piacevole. — Tu pensi che possa credere per un solo istante che Jerlet permetta alla nave di morire?

— Jerlet è morto…

— Lo dici tu. Però hai anche detto che un giorno sarebbe tornato. Come potrà, se la nave muore?

— Non potrà — ammise Linc. — Finirà dentro a Baryta insieme alla nave. Non posso evitarlo.

— Non ti credo.

Linc indicò il segnatempo. — Guarda! Mancano poco più di tre minuti, e dobbiamo passare in sette nel trasmettitore C’è appena il tempo necessario…

— Voglio che tu rimetta in funzione le macchine — lo interruppe Monel. — Voglio luce e caldo, e che tutte le macchine…

— Non posso! — esclamò Linc guardando lo schermo che indicava il trascorrere dei secondi.

— E invece sì! Nessuno di noi entrerà in quella macchina.

Linc guardò le cinque guardie. Parevano tutte solidali con Monel.

— E va bene. Allora io vado da solo… Tienti la nave! — e fece per alzarsi.

— No, tu non ti muovi! — gridò Monel.

Due guardie costrinsero Linc a rimettersi a sedere. Tre minuti… due minuti e cinquantanove…

— Non è assolutamente possibile riportare in vita la nave — urlò Linc. — Ho dovuto immettere tutta l’energia disponibile nel trasmettitore. Se non ci decidiamo entro due minuti e mezzo moriremo tutti.

— Stai bluffando — disse Monel.

— Ah, credi? Ma guardati un po’ intorno, testa di topo. Le macchine sono già morte. Niente funziona più all’infuori del trasmettitore.

— Puoi ripararle.

— Non ricordi quanto tempo mi ci è voluto per risistemare il ponte? Mesi. E noi disponiamo solo di una manciata di secondi. Gli aeratori non funzionano più. Si tratta solo di vedere se moriremo per soffocamento o per congelamento.

Monel scosse la testa, ma Linc si alzò di scatto e disse alle guardie: — Se vuole ammazzarsi, padrone di farlo. Ma sta ammazzando anche noi.

Le guardie si scambiarono qualche occhiata perplessa.

— Ci rimane poco più di un minuto! Fra un minuto saremo tutti morti.

La guardia che si trovava più vicino al trasmettitore cominciò a dire: — Forse…

— No! — s’intromise Monel. — Vuol tenere la nave tutta per sé!

— È pazzo — disse Linc alla guardia che aveva parlato. — Vuole morire e vuole farci morire tutti con lui. Entrate nella cabina. Riuscirò almeno a salvare un paio di voi.

La guardia esitò per una frazione di secondo, poi afferrò la maniglia.

— Non osare! — strillò Monel.

Ma la guardia era già entrata e aveva chiuso la porta. Linc si mise a manovrare i comandi. Monel cercò di impedirglielo ma lui lo respinse.

— Tenetelo lontano da me — ringhiò.

— No, è un trucco, non permettetegli… — continuò a strillare Monel. Ma due guardie lo sollevarono dalla sedia a ruote e lo trascinarono sulla soglia del portello dove lo lasciarono cadere come un sacco.

Le quattro guardie rimaste si accalcarono tutte insieme alla porta della cabina.

— No! — intimò Linc. — Non così. Due alla volta. — E speriamo che il trasmettitore ce la faccia a trasportarne due!

Quando le ultime guardie furono scomparse, mancavano ventiquattro secondi. Linc premette i pulsanti e manovrò l’interruttore che gli avrebbe concesso dieci secondi per entrare nella cabina prima che il trasmettitore entrasse in funzione. Si alzò e si avvicinò a Monel con occhi pieni di odio. — Volevi la nave? Tientela, è tutta tua.

Monel allungò una mano ossuta. La sua voce era querula, implorante: — Ti supplico… non abbandonarmi.

Mancavano solo sette secondi.

Linc spalancò la porta della cabina, entrò, e si chinò a prendere Monel fra le braccia. Era stranamente leggero, fragile, sembrava un bambino. Piagnucolava. Linc riuscì a chiudere la porta e contemporaneamente l’universo esplose in un accecante, doloroso, insopportabile bagliore.

XXI

Non ci volle né poco né molto tempo. Non ci fu tempo, come se non esistesse. Un annullamento totale. Niente da vedere, da sentire, da udire, da gustare, da odorare.

Sono morto pensò Linc. Ecco cosa si prova a essere morti. Il nulla assoluto.

Non era neppure sicuro di pensare. Il nulla era tale per cui perfino l’esistenza era messa in dubbio. Completamente solo, privo di sensazioni, come se corpo e organi non esistessero più. Né desiderio né paura. Niente se non la consapevolezza e un vago ricordo di…

La luce gli fece dolere gli occhi.

Strizzando le palpebre, Linc si accorse di sentire il peso del fragile corpo di Monel fra le braccia. Sentì che i suoi piedi posavano su una superficie solida. Respirava. Sentiva il pulsare del sangue nelle orecchie.

Senza capire perché, si ritrovò gli occhi pieni di lacrime. Li chiuse e li riaprì più volte per schiarirsi la vista, e allora li vide. C’erano tutti, e si accalcavano intorno alla porta del ricevitore, che Stav aveva spalancato sghignazzando come un pazzo.