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Il segretario della Marina confederata strinse di nuovo la mano a Tombs. «La Fox, una delle nostre navi che forzano il blocco, è al largo di Bermuda per rifornirvi di carbone in vista della tappa successiva del vostro viaggio. Buona fortuna a lei, comandante. La salvezza della Confederazione è nelle sue mani.»

Prima che Tombs potesse rispondere, Mallory ordinò al cocchiere di ripartire. Tombs salutò un’ultima volta e rimase immobile. Non riusciva a spiegarsi l’addio del segretario. La salvezza della Confederazione? Erano parole prive di senso. La guerra era perduta. Ora che Sherman avanzava verso nord dalle due Caroline e Grant avanzava attraverso la Virginia come una marea, Lee si sarebbe trovato stretto nella morsa dell’Unione e avrebbe dovuto arrendersi in pochi giorni. Jefferson Davis, il presidente degli Stati Confederati, si sarebbe ridotto alla condizione di fuggiasco.

E la Texas, con ogni probabilità, nel volgere di poche ore, sarebbe stata l’ultima nave della Marina confederata destinata a naufragare.

Anche se la Texas fosse riuscita a fuggire com’era possibile salvarsi? Tombs non riusciva a trovare una risposta, per quanto vaga. Aveva l’ordine di trasportare gli archivi del governo in un porto neutrale di sua scelta e di restare nascosto fino a quando fosse stato contattato a mezzo d’un corriere. Com’era possibile che l’evacuazione dei documenti burocratici prevenisse l’inevitabile sconfitta del Sud?

I pensieri di Tombs furono interrotti dal primo ufficiale, il tenente Ezra Craven.

«Il carico è stato ultimato, signore», annunciò il tenente. «Devo dare l’ordine di salpare?»

Tombs si voltò. «Non ancora. Dobbiamo prendere a bordo un passeggero.»

Craven, uno scozzese imponente e dai modi bruschi, parlava con una bizzarra combinazione di cadenza celtica e di accento del Sud. «Allora sarà meglio che si sbrighi ad arrivare.»

«L’ufficiale di macchina O’Hare è pronto a partire?»

«Le caldaie sono al massimo.»

«E gli artiglieri?»

«Resteremo abbottonati fino a quando incontreremo la flotta federale. Non possiamo permetterci di perdere un cannone e i suoi uomini a causa di un colpo fortuito attraverso un oblò.»

«Gli uomini non saranno entusiasti di dover porgere l’altra guancia.»

«Gli dica che così vivranno più a lungo…»

I due uomini si voltarono di scatto verso la riva nel sentire uno scalpitare di zoccoli. Dopo qualche secondo un ufficiale confederato uscì dall’oscurità e avanzò sul molo.

«Uno di voi due è il comandante Tombs?» chiese con voce stanca.

«Sono io», disse Tombs e si fece avanti.

L’ufficiale balzò a terra e salutò militarmente. Era coperto di polvere e aveva l’aria esausta. «I miei ossequi, signore. Sono il capitano Neville Brown, responsabile della scorta del suo prigioniero.»

«Prigioniero?» ripeté Tombs. «Mi è stato detto che era un passeggero.»

«Lo tratti come preferisce.» Brown scrollò le spalle, indifferente.

«Dov’è?» chiese Tombs per la seconda volta in quella notte.

«Mi sta seguendo. Ho preceduto il drappello per avvertirla, in modo che non si allarmi.»

«È ammattito?» borbottò Craven. «Che motivo d’allarme dovrebbe esserci?»

La domanda trovò una risposta quasi subito, quando una carrozza chiusa avanzò sferragliando sul molo, circondata da un distaccamento di cavalieri che indossavano le uniformi blu dell’Unione.

Tombs stava per urlare all’equipaggio di correre alle armi per respingere gli assalitori, quando il capitano Brown lo rassicurò. «Stia tranquillo, comandante. Sono bravi ragazzi del Sud. Solo travestendoci da yankee potevamo passare senza pericolo in mezzo alle file unioniste.»

Due degli uomini smontarono, aprirono lo sportello della carrozza e aiutarono il passeggero a scendere. Un uomo altissimo, scarno e barbuto posò stancamente i piedi sul molo di legno. Ai polsi e alle caviglie aveva manette fissate da catene. Osservò per un momento la corazzata con aria solenne, quindi si voltò e rivolse un cenno a Tombs e Craven.

«Buonasera, signori», disse con voce un po’ stridula. «Devo presumere di essere ospite della Marina confederata?»

Tombs non rispose. Non poteva rispondere. Restò immobile a fianco dell’incredulo Craven. I loro volti avevano la stessa espressione di sbalordimento assoluto.

«Mio Dio», mormorò alla fine Craven. «Se è un impostore, signore, è davvero abilissimo.»

«No», rispose il prigioniero. «Vi assicuro: sono autentico.»

«Com’è possibile?» chiese Tombs, colto alla sprovvista.

Brown rimontò in sella. «Non c’è tempo per le spiegazioni. Devo condurre i miei uomini oltre il fiume attraverso il ponte di Richmond prima che salti in aria. Adesso il prigioniero è affidato alla sua responsabilità.»

«Che cosa devo farne?» chiese Tombs.

«Lo tenga rinchiuso a bordo della nave fino a che riceverà l’ordine di rilasciarlo.

«È pazzesco.»

«Anche la guerra è pazzesca, comandante», disse Brown girando la testa verso di lui. Poi spronò il cavallo e ripartì, seguito dagli uomini travestiti da cavalleggeri dell’Unione.

Non c’era più tempo, e non c’erano più interruzioni che potessero ritardare il viaggio della Texas verso l’inferno. Tombs si rivolse a Craven.

«Tenente, accompagni il nostro passeggero nel mio alloggio e dica all’ufficiale di macchina O’Hare di mandare un meccanico a togliergli le manette. Non intendo morire al comando di una nave schiavista.»

L’uomo barbuto sorrise. «Grazie, comandante. Le sono grato per la sua gentilezza.»

«Non mi ringrazi», disse cupamente Tombs. «Prima del levar del sole compariremo tutti davanti al diavolo.»

Dapprima gradualmente e poi sempre più veloce, la Texas incominciò a scendere il fiume aiutata da una corrente di due nodi. Non c’era vento e, a parte il rombo delle macchine, sul fiume regnava il silenzio. Nella luce pallida del quarto di luna la nave scivolava come un fantasma sull’acqua nera, più sentita che vista… quasi un’illusione.

Sembrava non avere consistenza né solidità. Solo il movimento la tradiva perché rivelava una sagoma fantomatica che scivolava davanti alla riva immota. Poiché era stata progettata specificamente per un’unica missione, un unico viaggio, i suoi creatori avevano costruito una macchina meravigliosa, la più efficiente macchina da combattimento che i confederati avessero varato durante i quattro anni di guerra.

Era un vascello a due eliche e due caldaie, lungo 196 piedi, largo al massimo dieci, e con un pescaggio limitato a undici piedi. Le fiancate spioventi della casamatta, alte dodici piedi, erano angolate verso l’interno di 30 gradi e coperte da sei pollici di corazza di ferro, dietro la quale stavano dodici pollici di cotone compresso da venti pollici di quercia e pino. La corazzatura continuava al di sotto della linea di galleggiamento e formava una specie di pugno che si protendeva dallo scafo.

La Texas aveva soltanto quattro cannoni, ma erano temibili. Due Blakely a canna rigata da 100 libbre erano montati a poppa e a prua su perni che permettevano di sparare a bordata, mentre due cannoni da nove pollici, che sparavano proiettili da 64 libbre, proteggevano babordo e tribordo.

Diversamente dalle altre corazzate, i cui macchinali erano stati recuperati dai vapori commerciali, le sue macchine erano grandi, potenti e nuovissime. Le caldaie si trovavano sotto la linea di galleggiamento e le eliche da nove piedi potevano spingere la sua massa, in acque calme, fino a quattordici nodi, la velocità nautica equivalente a sedici miglia orarie… Una velocità enorme che non aveva rivali nelle navi corazzate delle due marine nemiche.