Mael e gli altri lavoravano con loro. Sollevavano in silenzio le pietre e le gettavano da parte, e certune erano così pesanti che dovevano spostarle in tre.
Finalmente misero allo scoperto alla base della quercia una massiccia porta di ferro con serrature enormi. Mael tirò fuori una chiave e recitò lunghe frasi nella lingua dei celti; gli altri risposero. La mano di Mael tremava. Presto, tuttavia, aprì le serrature e quattro druidi scostarono la porta. Quindi il portatore di torcia ne accese un’altra per me e me la mise tra le mani. Mael disse:
«Entra, Marius».
Ci guardammo nella luce tremula. Mi sembrava un essere incapace di muoversi, sebbene il cuore gli traboccasse mentre mi fissava. Ora intravvedevo vagamente la meraviglia che l’aveva plasmato e infiammato, e mi sentivo umile e stupito di fronte alla sua origine.
Ma dall’interno dell’albero, dalla tenebra al di là della soglia, giunse di nuovo la voce silenziosa:
Non temere, Marius. Ti attendo. Prendi la torcia e vieni a me.
7.
Appena entrai i druidi chiusero la porta alle mie spalle. Ero in cima a una lunga scala di pietra; una configurazione che avrei visto molto spesso nei secoli successivi e che tu hai visto due volte e vedrai ancora… i gradini che conducono nel grembo della Madre Terra, nei luoghi dove si nascondono sempre Coloro-che-bevono-il-sangue.
La quercia conteneva una bassa camera incompleta; la luce della torcia brillava sui rozzi segni lasciati nel legno dagli scalpelli. Ma l’essere che mi chiamava era giù, in fondo alla scala. Ancora una volta mi disse che non dovevo aver paura.
Non avevo paura. Ero indicibilmente esaltato. Non sarei morto come avevo immaginato. Stavo scendendo incontro a un mistero infinitamente più interessante di quanto avessi potuto credere.
Ma quando arrivai in fondo ed entrai nella piccola camera di pietra, fui terrorizzato da ciò che vidi… terrorizzato e inorridito. Il ribrezzo e la paura furono così immediati che sentii un nodo stringermi la gola per soffocarmi o travolgermi con la nausea.
Sulla panca di pietra di fronte alla scala c’era un essere, e alla luce della torcia vidi che aveva faccia e membra di uomo. Ma era annerito e ustionato, orribilmente, e la pelle aderiva alle ossa. Sembrava uno scheletro dagli occhi gialli incrostato di pece, e solo la fluente chioma bianca era intatta. Aprì la bocca per parlare; io vidi i denti candidi, le zanne, e strinsi con forza la torcia, cercando di dominarmi per non urlare come uno sciocco.
«Non avvicinarti troppo», disse. «Resta lì dove posso vederti veramente, non come ti vedono loro, ma come possono ancora vederti i miei occhi.»
Deglutii, cercando di riprendere fiato. Nessun essere umano poteva sopravvivere, ustionato così. Tuttavia l’essere viveva… nudo, rattrappito, nero. E la voce era bassa e molto bella. Si alzò e si mosse lentamente.
Puntò l’indice verso di me e gli occhi gialli si aprkono un po’ di più, rivelando nella luce una sfumatura sanguigna.
«Che cosa vuoi da me?» mormorai, incapace di trattenermi. «Perché sono stato condotto qui?»
«Calamità», disse con la stessa voce, colorata di sentimento… non era il suono raschiante che mi aspettavo. «Ti darò il mio potere, Marius, farò di te un dio e tu diventerai immortale. Ma dovrai andartene da qui appena sarà finito. Devi sfuggire ai miei devoti adoratori e devi recarti in Egitto e scoprire perché… perché mi è accaduto questo.»
Sembrava aleggiare nell’oscurità. I capelli erano come un manto di paglia bianca, la mascella tendeva la pelle coriacea e annerita.
«Vedi, noi siamo nemici della luce, gli dèi delle tenebre. Serviamo la Grande Madre e viviamo e regniamo solo alla luce della luna. Ma il nostro nemico, il sole, è sfuggito al suo percorso naturale e ci ha cercati nella tenebra. In tutto il territorio settentrionale, dove avevamo il nostro culto, nei boschi sacri che si estendono dalle zone della neve e dei ghiacci fino al paese dei frutti e fino a oriente, il sole è penetrato nei sacrari, di giorno, oppure nel mondo, di notte, e ha bruciato vivi gli dèi. I più giovani sono periti; alcuni sono esplosi come comete di fronte ai loro adoratori. Altri sono morti in un calore tanto terribile che l’albero sacro è diventato una pira funebre. Soltanto i vecchi, coloro che per molto tempo avevano servito la Grande Madre, hanno continuato a muoversi e a parlare come me, ma tra le sofferenze, spaventando i fedeli.
«Deve esserci un nuovo dio, Marius, forte e bello come io fui un tempo, l’Amante della Grande Madre; ma in verità dev’essere abbastanza forte per sfuggire agli adoratori, uscire dalla quercia e recarsi in Egitto, cercare i vecchi dèi e scoprire perché c’è stata questa calamità. Devi andare in Egitto, Marius, devi andare ad Alessandria e nelle città più vecchie, e devi chiamare gli dèi con la voce silenziosa che acquisirai dopo che ti avrò creato; e dovrai scoprire chi vive ancora e perché tutto questo è avvenuto.»
Chiuse gli occhi. Stava immobile e tremava irrefrenabilmente come se fosse fatto di carta nera. All’improvviso, senza un motivo, vidi un turbine d’immagini violente… gli dèi della foresta che esplodevano in fiamme. Udii i loro urli. La mia mente razionale di romano resistette a quelle immagini e cercò di imprimerle nella memoria e di contenerle, anziché accettarle: ma l’essere che le irradiava era paziente e insisteva. Vidi una terra che poteva essere soltanto l’Egitto, la sabbia gialla e bruciata che. copre ogni cosa e l’ammanta dello stesso colore, e vidi altre scale che discendevano nel profondo del suolo, altri sacrari…
«Trovali», disse l’essere. «Scopri perché e come è accaduto. Fa’ in modo che non si ripeta mai più. Usa i tuoi poteri per le vie di Alessandria fino a che troverai gli antichi. E prega che gli antichi ci siano ancora, come ci sono io.»
Ero troppo sconvolto per rispondere, troppo annichilito dal mistero. E forse vi fu un momento in cui accettai quel destino, lo accettai completamente… ma non ne sono sicuro.
«Io so», disse ancora l’essere. «Non puoi avere segreti per me. Non vuoi essere il Dio della Foresta e cercherai di fuggire. Ma, vedi, questo disastro potrà colpirti dovunque, meno che tu non ne scopra la causa e il modo di prevenirlo. Quindi so che andrai in Egitto: altrimenti anche tu, nel cuore della notte o nelle viscere della terra, potrai essere bruciato da questo sole contro natura.»
Si avvicinò un poco a me, trascinando sul pavimento di pietra i piedi bruciati. «Ricorda le mie parole: devi fuggire questa notte stessa», continuò. «Dirò ai fedeli che devi andare in Egitto per la salvezza di tutti noi; ma, poiché avranno un nuovo dio, non vorranno separarsi da lui. Ma devi andare laggiù. Non devi lasciare che ti imprigionino nella quercia, dopo le cerimonie. Devi andare in fretta; e, prima dello spuntar del giorno, discendi nella Madre Terra per sottrarti alla luce. La Madre Terra ti proteggerà. Ora avvicinati. Io ti darò il sangue. E prega che io abbia ancora il potere di trasfondere la mia antica forza. Sarà una cosa lenta e lunga. Io prenderò e donerò, prenderò e donerò; ma devo farlo, e tu diventerai il dio e dovrai fare ciò che ho detto.»
Senza attendere il mio consenso, si avventò su di me, mi strinse con le dita annerite. La torcia mi cadde dalle mani. Piombai riverso sui gradini, ma mi aveva già affondato i denti nella gola.
Tu sai che cosa accadde, sai cosa provai nel sentire il deflusso del sangue, lo svenimento. In quegli attimi vidi le tombe e i templi dell’Egitto. Vidi due figure splendenti, sedute a fianco a fianco su un trono. Udii altre voci che mi parlavano in altre lingue. E, tra tutto questo, c’era sempre lo stesso comando: servire la Madre, prendere il sangue del sacrificio, presiedere il culto che è l’unico vero, l’eterno culto della foresta.
Mi dibattevo come ci si dibatte nei sogni, incapace di gridare e di fuggire. E, quando mi accorsi che ero libero, che non ero più inchiodato al pavimento, vidi di nuovo il dio: era nero come prima ma adesso era robusto, come se la fiamma l’avesse soltanto brunito e gli avesse lasciato intatte le forze. Il volto aveva una certa bellezza, le fattezze erano ben delineate sotto l’involucro screpolato e annerito che era la carnagione. Gli occhi gialli erano circondati dalle grinze naturali e apparivano come le porte di un’anima. Ma era ancora invalido e sofferente, quasi incapace di muoversi.
«Alzati, Marius», disse. «Hai sete e io ti farò bere. Alzati e vieni a me.»
E tu conosci l’estasi che provai quando sentii il suo sangue scorrere in me ed entrare in ogni mia vena. Ma l’orrido pendolo aveva appena incominciato a oscillare.
Trascorsero ore e ore nella quercia mentre mi prendeva il sangue e me lo rendeva. Quando ero esausto, giacevo singhiozzando sulle pietre. Vedevo le mie mani ossute. Ero incartapecorito come lo era stato lui prima. E di nuovo mi faceva bere il sangue e io mi alzavo in una frenesia di sensazioni squisite, e lui me lo toglieva di nuovo.
Con ogni scambio venivano le rivelazioni: ero immortale e soltanto il sole e il fuoco potevano uccidermi, avrei dormito di giorno nella terra e non avrei mai conosciuto le infermità o la morte naturale. La mia anima non sarebbe mai migrata dalla mia forma a un’altra; ero il servitore della Madre e la luna mi avrebbe dato forza.
Mi sarei nutrito del sangue dei malfattori e anche degli innocenti sacrificati alla Madre, sarei rimasto senza nutrimento tra un sacrificio e l’altro, e il mio corpo sarebbe divenuto arido e svuotato come il grano morto nei campi invernali, ma colmandosi del sangue delle vittime sarebbe tornato bello come le piante nuove della primavera.
Nella sofferenza e nell’estasi si sarebbe scandido il cielo delle stagioni. E i poteri della mia mente, la capacità di leggere i pensieri e le intenzioni degli altri, dovevo usarli per pronunciare i giudizi per i miei fedeli, e guidarli nella giustizia e nelle leggi. Non dovevo bere altro sangue che quello del sacrificio. Non dovevo cercare di usare i miei poteri per me stesso.
Tutto questo lo appresi e lo capii. Ma ciò che mi venne insegnato veramente in quelle ore fu quello che tutti noi apprendiamo al momento in cui beviamo il sangue: non ero più un mortale, mi ero allontanato da tutto ciò che conoscevo per passare in una realtà così potente che i vecchi insegnamenti stentavano a spiegarla; e il mio destino, per usare le parole di Mael, andava al di là della conoscenza che poteva essere donata da chiunque, mortale o immortale.
Finalmente il dio mi preparò per uscire dall’albero. Mi tolse tanto sangue che stentavo a reggermi. Ero l’ombra di me stesso. Piangevo per la sete, vedevo il sangue e sentivo odore del sangue; avrei voluto avventurarmi su di lui e svuotarlo, se ne avessi avuto la forza. Ma naturalmente la forza l’aveva lui.
«Sei svuotato, come lo sarai sempre all’inizio della festività», mi disse, «così potrai bere a sazietà il sangue sacrificale. Ma ricorda ciò che ti ho detto. Dopo aver presieduto le cerimonie, devi trovare un modo di fuggire. In quanto a me, tenta di salvarmi. Di’ loro che devo essere tenuto assieme a te, anche se con tutta probabilità il mio tempo è giunto alla fine.»
«Perché? Che cosa intendi?» chiesi.
«Vedrai. Qui c’è bisogno di un solo dio, un dio efficiente», disse. «Se potessi venire con te in Egitto, potrei bere il sangue degli antichi, e forse mi risanerebbe. Così, saranno necessari secoli per guarire. E non mi verrà concesso tanto tempo. Ma ricorda: va’ in Egitto. Fai tutto come ti ho detto.»
Mi fece voltare e mi sospinse verso la scala. La torcia fiammeggiava in un angolo. Salii verso la porta. Sentivo l’odore del sangue dei druidi che attendevano, e per poco non piansi.
«Ti daranno tutto il sangue che potrai prendere», disse la voce dietro di me. «Mettiti nelle loro mani.»