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«E la Madre e il Padre sono Iside e Osiride?»

«Sì e no. Sono i primi due. Iside e Osiride sono i nomi che vennero usati nei miti narrati da loro, o nel culto vecchissimo sul quale si innestarono.»

«Quale fu il caso, allora? Come avvenne?»

Mi guardò a lungo in silenzio; quindi tornò a sedersi, si voltò e distolse lo sguardo, come prima.

«Ma perché dovrei dirtelo?» chiese. Questa volta, tuttavia, mi pose la domanda con un sentimento nuovo, come se la sentisse sinceramente e dovesse rispondere lui stesso. «Perché dovrei fare qualcosa? Se la Madre e il Padre non si levano dalle sabbie per salvarsi quando il sole spunta all’orizzonte, perché dovrei muovermi io? O parlare? O continuare?» E tornò a fissarmi.

«È quanto è accaduto? La Madre e il Padre si sono esposti al sole?»

«Li abbiamo lasciati al sole, mio caro Marius», disse l’Anziano, sbalordendomi con la conoscenza del mio nome. «Li abbiamo lasciati al sole. La Madre e il Padre non si muovevano di loro volontà, se non ogni tanto per sussurrare tra loro e per abbattere quelli di noi che vorrebbero avvicinarli per prendere il loro sangue risanatore. Potrebbero guarire tutti noi che siamo stati ustionati, se ci lasciassero bere il loro sangue. La Madre e il Padre esistono da quattromila anni, e il nostro sangue diviene più forte a ogni stagione e a ogni vittima. Diviene più forte persino l’inedia perché, quando questa finisce, si trova una nuova energia. Ma il Padre e la Madre non si curano dei loro figli. E sembra che ora non si curino neppure di se stessi. Forse, dopo quattromila notti, desideravano semplicemente vedere il sole!

«Da quando i greci giunsero in Egitto e l’antica arte si pervertì, non hanno più parlato con noi. Non ci permettono di vedere neppure un battito delle loro ciglia. E cos’è l’Egitto, ormai, se non il granaio di Roma? Quando la Madre e il Padre ci colpiscono per allontanarci dalle vene dei loro colli, sono come il ferro e possono stritolarci le ossa. E se non se ne curano più, perché dovrei farlo io?»

Lo scrutai per un lungo istante.

«E vuoi dire», chiesi, «che fu questo a bruciare gli altri? Il fatto che il Padre e la Madre sono stati lasciati esposti al sole?»

Annuì.

«Il nostro sangue proviene da loro! È il loro sangue. È una discendenza diretta, e ciò che accade a loro accade a noi. Se vengono bruciati, bruciamo anche noi.»

«Siamo legati a loro!» bisbigliai sbalordito.

«Esattamente, mio caro Marius», disse l’Anziano osservandomi come se la mia paura lo divertisse. «Perciò sono stati conservati per mille anni, la Madre e il Padre, e vengono portate loro le vittime sacrificali, e sono venerati. Ciò che accade a loro accade a noi.»

«Chi è stato? Chi li ha esposti al sole?»

Il mio interlocutore rise silenziosamente.

«Colui che li custodiva», disse, «e non resisteva più, aveva da troppo tempo quel compito solenne, e non riusciva a persuadere nessun altro ad accettare l’onere; e alla fine, tremando e piangendo, li portò sulla sabbia del deserto e li lasciò là come due statue.»

«E il mio destino è legato a questo», mormorai.

«Sì. Ma, vedi, non penso che credesse più, colui che li conservava. Per lui era solo una vecchia favola. Dopotutto, vengono venerati come ti ho detto, venerati da noi come noi siamo venerati dai mortali: e nessuno osava far loro alcun male. Nessuno accostava a loro una torcia per vedere se questo faceva soffrire noi tutti. No. Non ci credeva. Li lasciò nel deserto e quella notte, quando aprì gli occhi nella sua bara e si trovò ridotto a un orrore arso e irriconoscibile, urlò e urlò.»

«E voi li riportaste sottoterra.»

«Sì.»

«E sono anneriti come voi…»

«No.» Scosse la testa. «Sono abbronzati: hanno il colore della carne che gira sullo spiedo, nulla di più. E sono belli come prima, quasi che la bellezza fosse diventata parte della loro eredità, parte integrante di ciò che sono destinati a essere. Guardano fissamente davanti a sé come hanno sempre fatto, ma non inclinano più la testa l’uno verso l’altra, non mormorano più al ritmo delle loro confidenze segrete, non ci permettono più di bere il loro sangue. E non prendono le vittime che portiamo loro, se non ogni tanto, in solitudine. Nessuno sa se berranno o non berranno.»

Scossi la testa. Mi mossi avanti e indietro, a capo chino, con la candela in mano. Non sapevo che cosa dire: avevo bisogno di tempo per riflettere.

L’Anziano mi indicò la sedia dall’altra parte del tavolo. Sedetti.

«Ma non era destinato ad accadere, romano?» chiese. «Non erano destinati a trovare la morte nelle sabbie, silenziosi e immobili come statue abbandonate dopo il saccheggio di una città compiuto dai conquistatori; e non eravamo destinati a morire anche noi? Guarda l’Egitto. Che cos’è l’Egitto, te lo chiedo di nuovo, se non il granaio di Roma? Non erano tutti destinati a bruciare, giorno dopo giorno, mentre noi bruciavamo come stelle in tutto il mondo?»

«Dove sono?» chiesi.

«Perché vuoi saperlo?» chiese a sua volta, sprezzante, l’Anziano. «Perché dovrei rivelarti il segreto? Non è possibile farli a pezzi: sono troppo forti, e un coltello gli scalfirebbe al massimo la pelle. Tuttavia, se li ferisci, ferisci tutti noi. Bruciali, e brucia noi tutti. E, qualunque cosa facciano sentire a noi, loro sentono una minima parte, perché la loro età li protegge. Eppure, per distruggere tutti noi è sufficiente farli incollerire. Sembra che non abbiano neppure bisogno del sangue. Forse anche le loro menti sono connesse alle nostre. Forse l’angoscia che proviamo, l’infelicità e l’orrore per il destino del mondo provengono alle loro menti, mentre sognano rinchiusi nei loro avelli! No, non posso dirti dove sono, capisci? Fino a quando non avrò deciso con certezza che per me è indifferente e che per noi è venuto il momento di estinguerci.»

«Dove sono?» chiesi di nuovo.

«Perché non dovrei sprofondarli negli abissi del mare?» chiese lui. «Fino al momento in cui la terra stessa li rigurgiterà al sole sulla cresta di un’onda grandissima?»

Non risposi. L’osservavo, meravigliato dalla sua eccitazione che comprendevo e che tuttavia m’ispkava timore.

«Perché non dovrei seppellirli nelle viscere della terra, lontano da ogni fievole suono della vita, e lasciarli giacere là nel silenzio, qualunque cosa pensino e provino?»

Cosa potevo rispondere? L’osservavo. Attesi fino a che mi sembrò più calmo. Mi guardò e la sua faccia divenne tranquilla, quasi fiduciosa.

«Dimmi in che modo divennero la Madre e il Padre», chiesi.

«Perché?»

«Lo sai molto bene. Voglio saperlo! Perché saresti entrato nella mia camera, se non avessi avuto intenzione di dirmelo?» insistetti.

«E con ciò?» ribattè rabbiosamente. «E se avessi voluto vedere con i miei occhi il romano? Noi moriremo, e tu morirai con noi. Perciò volevo vedere la nostra magia in una forma nuova. Chi ci venera ancora, dopotutto? I biondi guerrieri delle foreste settentrionali? I vecchissimi egiziani nelle cripte segrete sotto le sabbie? Non viviamo nei templi della Grecia e di Roma, non l’abbiamo mai fatto. Tuttavia loro celebrano il nostro mito, l’unico mito, e invocano i nomi della Madre e del Padre…»

«Non m’importa», dissi. «E lo sai. Tu e io siamo simili. Non tornerò nelle foreste settentrionali a creare una razza di dèi per quella gente! Ma sono venuto qui per sapere, e tu devi dirmi la verità!»