E io sapevo che un orgoglio così grande non avrebbe perdonato nulla. Che Dio aiutasse Nicolas, se non fossimo riusciti a sconfiggere quell’essere!
Mi voltai. Presi la mano di Gabrielle e ci avviammo verso la porta. Gabrielle si voltò a guardarlo, poi guardò me con aria interrogativa, il volto pallidissimo e teso.
«Pazienza», bisbigliai. Mi voltai e Io vidi lontano, dietro di noi, con le spalle all’altar maggiore. I suoi occhi erano così grandi che mi appariva orribile, ripugnante come uno spettro.
Quando raggiunsi il vestibolo, lanciai un appello agli altri con tutta la mia forza. E lo bisbigliai perché Gabrielle lo sapesse. Dissi loro di tornare e di entrare in chiesa se volevano, perché nulla poteva far loro alcun male, il loro capo era nella chiesa, illeso, davanti all’altare.
Pronunciai le parole a voce più alta, lanciando l’appello; e Gabrielle ripeté le frasi all’unisono con me.
Lo sentii venire verso di noi dalla direzione dell’altar maggiore; e poi lo persi. Non sapevo dove fosse, dietro di noi.
All’improvviso mi afferrò materializzandosi al mio fianco, e Gabrielle fu gettata sul pavimento. L’essere cercava di sollevarmi e di scagliarmi oltre la soglia.
Ma io resistetti. Chiamai disperatamente a raccolta tutto ciò che rammentavo di Magnus — il suo strano modo di camminare, e lo strano modo di muoversi di quell’essere — e lo scagliai non a terra, come si potrebbe fare con un mortale molto pesante, ma in verticale nell’aria. Come sospettavo, volteggiò e andò a sbattere contro il muro. I mortali si scossero. Videro un movimento, sentirono i rumori. Ma lui era svanito di nuovo. E io e Gabrielle, nell’ombra, non apparivamo diversi dagli altri giovani gentiluomini.
Accennai a Gabrielle di scostarsi. Poi l’essere apparve e sfrecciò verso di me: ma intuii ciò che stava per accadere e mi tirai in disparte. A una ventina di piedi da me lo vidi lungo disteso sulle pietre. Mi guardava con evidente soggezione, come se fossi un dio. I lunghi capelli fulvi erano scomposti, gli occhi scuri erano sgranati. E, nonostante la dolce innocenza del volto, la sua volontà mi investiva in un torrente arroventato di comandi, mi diceva che ero debole, imperfetto e sciocco, e sarei stato fatto a pezzi dai suoi seguaci non appena fossero comparsi. E avrebbero bruciato a fuoco lento il mio amante mortale. Risi in silenzio. Era ridicolo come un litigio di una vecchia commedia.
Gabrielle girava lo sguardo dall’uno all’altro. Lanciai di nuovo l’appello agli altri. E questa volta li sentii rispondere e interrogare.
«Entrate nella chiesa», continuavo a ripetere, mentre l’essere si alzava e si avventava di nuovo verso di me in preda a una collera goffa e cieca. Gabrielle lo afferrò nello stesso istante in cui lo feci io. Lo bloccammo entrambi e non poté muoversi.
In un momento di orrore assoluto, l’essere cercò di affondarmi le zanne nel collo. Vidi i suoi occhi tondi e vitrei mentre le zanne si tendevano al di sopra del labbro aggricciato. Lo scagliai all’indietro e svanì di nuovo.
Gli altri si stavano avvicinando.
«Il vostro capo è in chiesa, guardatelo!» ripetei. «E ognuno di voi può entrare allo stesso modo. Non vi succederà nulla di male!»
Sentii Gabrielle prorompere in un urlo di avvertimento. Ma era troppo tardi. L’essere si alzò proprio di fronte a me come se emergesse dal pavimento. Mi colpì alla mascella ributtandomi la testa all’indietro, così che vidi sopra di me il soffitto della chiesa. E, prima che avessi la possibilità di riprendermi, mi sferrò un colpo violentissimo alla schiena che mi fece volare oltre la porta della chiesa, sulle pietre della piazza.
PARTE IV
I FIGLI DELLE TENEBRE
1.
Non vedevo altro che la pioggia. Ma li sentivo tutt’intorno a me. E lui dava gli ordini.
«Non hanno grandi poteri, questi due», stava dicendo con i pensieri che avevano una bizzarra semplicità, come se impartisse comandi a un gruppo di bambini vagabondi. «Prendeteli prigionieri.»
Gabrielle disse: «Lestat, non opporre resistenza. È inutile continuare.»
Sapevo che aveva ragione. Ma non mi ero mai arreso a nessuno in tutta la mia vita. La trascinai con me al di là dell’Hôtel-Dieu e corsi verso il ponte.
Sfrecciammo tra la ressa dei mantelli bagnati e delle carrozze spruzzate di fango: tuttavia loro riducevano le distanze, e correvano così veloci da risultare quasi invisibili per i mortali, e ormai avevano ben poca paura di noi.
Il gioco finì nelle vie buie della Riva Sinistra.
Le facce bianche apparvero sopra e sotto di me come se fossero cherubini diabolici; e quando tentai di sguainare la spada sentii le loro mani trattenermi le braccia. Udii Gabrielle che diceva: «Così sia».
Tenni stretta la spada ma non potei impedire che mi sollevassero da terra. E stavano sollevando anche Gabrielle.
In uno sfolgorio di immagini orrende, compresi dove ci stavano portando: al Cimitero degli Innocenti, poco lontano. E vedevo già il bagliore dei falò che ogni notte ardevano tra le fetide tombe aperte, le fiamme che avrebbero dovuto scacciare i miasmi.
Passai un braccio intorno al collo di Gabrielle e gridai che non potevo sopportare il fetore, ma loro ci portavano nel buio, oltre i cancelli, oltre le cripte di marmo bianco.
«Non potrete sopportarlo neppure voi», dissi mentre mi dibattevo. «Com’è che vivete tra i morti, quando siete fatti per nutrirvi della vita?»
Ma ormai provavo una tale ripugnanza che non potevo continuare quella lotta verbale e fisica. Tutt’intorno a noi giacevano corpi in vari stati di decomposizione, e il lezzo proveniva persino dai sepolcri più ricchi.
E, mentre avanzavamo nella parte più buia del cimitero ed entravamo in un enorme sepolcro, compresi che anche loro detestavano quel puzzo. Sentivo il loro disgusto; tuttavia aprivano le bocche e i polmoni come se lo assimilassero. Gabrielle tremava stretta a me, e mi premeva le dita nel collo.
Varcammo un’altra soglia e poi, nella luce fioca delle torce, scendemmo una scala di terra battuta.
L’odore divenne più forte. Sembrava grondare dalle pareti di fango. Abbassai la faccia e vomitai un getto di sangue luccicante sui gradini: lo vidi sparire mentre procedevamo.
«La vita fra le tombe», esclamai furiosamente. «Ditemi, perché già soffrite le pene dell’inferno per vostra scelta?»
«Silenzio!» bisbigliò una femmina che mi stava vicina, una femmina dagli occhi scuri e i capelli da strega. «Bestemmiatore», disse. «Profanatore maledetto.»
«Non essere troppo tenera con il diavolo, carina», ringhiai. Eravamo a faccia a faccia. «A meno che lui ti tratti molto meglio dell’Onnipotente!»
Rise. O meglio cominciò a ridere e poi smise come se le fosse vietato. Sarebbe stato davvero un raduno gaio e interessante!
Continuavamo a scendere sempre di più nelle profondità della terra.
Luce palpitante, scalpiccio di piedi scalzi sul terreno, stracci luridi che mi sfioravano la faccia. Per un istante scorsi un teschio ghignante. Poi un altro, e infine un mucchio di teschi che riempiva una nicchia.
Cercai di svincolarmi e il mio piede urtò un altro mucchio e fece precipitare rumorosamente le ossa sui gradini. I vampiri strinsero più forte e cercarono di sollevarci ancora di più. Adesso stavamo passando davanti allo spettacolo macabro dei cadaveri putrefatti e fissati alle pareti come statue, con le ossa avvolte in cenci muffiti.
«È troppo disgustoso», dissi stringendo i denti.
Eravamo al termine della scala: ora ci stavano portando attraverso una grande catacomba. Sentivo il rullo sordo e rapido dei tamburi.