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— Ciao — disse lei.

— Io vado — interloquì il portiere dell’hotel. — Cercherò di non spendere i cinquecento dollari tutti in una volta. — Premette un pulsante e la sezione mobile di parete scivolò di lato. Contemporaneamente le luci in laboratorio si spensero, lasciandoli di nuovo nel buio più completo.

Dal suo sgabello, la ragazza disse: — Io sono Kathy.

— Jason — rispose lui. La parete si richiuse, e le luci si riaccesero. “È proprio molto carina” pensò Jason. A parte il fatto che aveva un che di passivo, di indifferente. “Come se” pensò lui “per lei nulla abbia una vera importanza. Apatia? No” decise. Era timida. Ecco la spiegazione.

— Gli hai dato cinquecento dollari per portarti qui? — Il tono di Kathy era meravigliato. Studiò Jason con aria critica, nel tentativo di valutarlo basandosi sul suo aspetto.

— Di solito i miei abiti non sono così spiegazzati — disse Jason.

— È un bel vestito. Seta?

Lui annuì.

— Sei uno studente? — chiese Kathy, continuando a scrutarlo. — No, no. Non hai quel colorito cereo di chi vive nel sottosuolo. A questo punto, resta una sola possibilità.

— Che io sia un criminale — disse Jason. — Che stia cercando di cambiare la mia identità prima che pol e naz mi prendano.

— È così? — Kathy non diede il minimo segno di nervosismo. Era una domanda semplice, neutra.

— No. — Jason non volle insistere. Non in quel momento. Magari più tardi.

Kathy disse: — Secondo te, tanti di quei naz sono robot, non vere persone? Portano sempre le maschere antigas. È difficile capirlo sul serio.

— Mi accontento di non amarli — rispose Jason. — Senza indagare oltre.

— Che documenti ti servono? Patente? Tessera per l’archivio di polizia? Un attestato di lavoro legale?

— Tutto. Compresa la tessera d’iscrizione alla sezione Dodici del Sindacato musicisti.

— Ah, sei un musicista. — Lei lo guardò con maggiore interesse.

— Sono un cantante — disse lui. — Conduco uno show televisivo di un’ora, al martedì sera. Magari l’hai visto. Il Jason Taverner Show.

— Non ho più un televisore — disse la ragazza. — Quindi, non saprei riconoscerti. È un lavoro divertente?

— A volte. Si conosce tanta gente del mondo dello spettacolo, ed è splendido, se è questo che ti piace. Io ho scoperto che, per la maggior parte, sono persone come tutte le altre. Hanno le loro paure. Non sono perfette. Alcune sono molto divertenti, in scena e fuori.

— Mio marito mi ripeteva sempre che io non ho il senso dell’umorismo — disse la ragazza. — A lui pareva tutto divertente. Ha trovato divertente persino essere arruolato nei naz.

— E rideva ancora quando l’hanno congedato? — chiese Jason.

— Non si è mai congedato. È rimasto ucciso in un attacco a sorpresa degli studenti. Ma non è stata colpa loro. Gli ha sparato un altro naz.

— Quanto mi costerà il set completo di tessere d’identità?— chiese Jason. — Sarà meglio che tu me lo dica adesso, prima di cominciare.

— Faccio pagare quello che i clienti possono permettersi. — Kathy ricominciò a sistemare i suoi caratteri tipografici. — A te chiederò molto perché è ovvio che sei ricco. Un po’ perché hai dato cinquecento dollari a Eddy per portarti qui, un po’ per il vestito. Okay? — Si girò a lanciargli un’occhiata veloce. — O mi sbaglio? Dimmi.

— Ho con me cinquemila dollari — rispose Jason. — Cioè, cinquemila meno cinquecento. Sono un artista famoso in tutto il mondo. Una volta al mese lavoro anche al Sands. A dire il vero, mi esibisco in una quantità di club di prima qualità, quando riesco a trovare un buco nei miei numerosi impegni televisivi.

— Gesù! Mi piacerebbe tanto avere sentito parlare di te. Almeno potrei sentirmi colpita.

Lui rise.

— Ho detto qualcosa di stupido? — chiese Kathy, timidamente.

— No. Kathy, quanti anni hai?

— Diciannove. Li compio a dicembre. Ne ho quasi venti. Tu che età mi dai?

— Sui sedici.

La bocca della ragazza si piegò in una smorfia imbronciata da bambina. — È quello che dicono tutti — commentò a bassa voce. — È perché non ho seno. Se avessi seno, ne dimostrerei ventuno. E tu quanti anni hai? — Smise di armeggiare con i caratteri tipografici e fissò attentamente Jason. — Sui cinquanta, direi.

Lui fu invaso dall’ira. E dalla depressione.

— Hai l’aria di uno ferito nel suo amor proprio — disse Kathy.

— Ho quarantadue anni — rispose Jason a denti stretti.

— Be’, che differenza fa? Insomma, sono sempre…

— Veniamo al sodo — l’interruppe lui. — Dammi una penna e un pezzo di carta e ti scriverò quello che mi serve e i dati che voglio su ogni tessera. Tutto dev’essere fatto alla perfezione. Ti converrà dimostrarti in gamba.

— Ti ho fatto arrabbiare — disse Kathy — dicendo che dimostri cinquant’anni. A guardarli meglio, mi sembra di no. Ne dimostri una trentina. — Passò carta e penna a Jason, con un sorriso impacciato. Un sorriso che chiedeva scusa.

— Lasciamo perdere. —Jason le diede una pacca sulla spalla.

— Preferisco che non mi tocchino. — Kathy si ritrasse.

“Come un cerbiatto nel bosco” pensò lui. “Strano: ha paura di essere toccata, anche solo sfiorata, e non ha paura di falsificare documenti, un reato che potrebbe costarle vent’anni di carcere. Forse nessuno si è mai preso il disturbo di dirle che è contro la legge. Forse non lo sa.”

Una macchia di luce e colore sulla parete di fronte attirò la sua attenzione. Andò a esaminarla. Un manoscritto medievale sotto una sorgente di luce. O meglio, una sola pagina. Aveva letto da qualche parte della loro esistenza, ma prima di allora non gliene era mai capitato uno sotto gli occhi.

— È prezioso? — chiese.

— Se fosse l’originale, potrebbe valere un centinaio di dollari — rispose Kathy. — Ma non lo è. L’ho fatto io anni fa, quando frequentavo le medie al North American Aviation. Ho copiato l’originale dieci volte prima di ottenere il risultato giusto. Mi piace la calligrafia. Mi piaceva anche da bambina. Forse perché mio padre disegnava copertine di libri. Hai presente?

— Questo foglio ingannerebbe un esperto?

Kathy lo fissò intensamente per un attimo. Poi annuì.

— Non se ne accorgerebbe dalla carta?

— È pergamena, ed è di quel periodo. Si usa la stessa tecnica per falsificare i francobolli. Ci si procura un vecchio francobollo privo di valore, si cancella la stampa, poi… — Una pausa. — Tu non vedi l’ora che io mi metta al lavoro sui tuoi documenti.

— Sì. — Jason le passò il foglio sul quale aveva scritto i dati. Per la maggior parte si trattava delle autorizzazioni standard pol-naz per la circolazione dopo il coprifuoco, con impronte digitali e fotografie e firme olografe, il tutto con date di scadenza a breve termine. Nel giro di tre mesi avrebbe dovuto procurarsi una nuova serie di documenti falsi.

— Duemila dollari — disse Kathy, studiando la lista.

A Jason venne voglia di chiedere: “Per quella cifra ho anche il diritto di venire a letto con te?”. Invece disse: — Quanto ci vorrà? Ore? Giorni? E, se si tratta di giorni, allora quanto devo…

— Ore — rispose Kathy.

Lui fu colto da un’ondata di sollievo.