"Perché me lo chiedi?"
"Bè, diciamo per curiosità."
"E cosa sarebbe meglio per te mamma?"
Simona sorride. "Ho capito, Niki. Mi hai già dato la risposta. Se sei felice di questa tua decisione, ne siamo felici anche noi… Vero, Roberto?"
Roberto guarda Simona poi Niki e poi di nuovo sua moglie. "Sì sì, certo. Siamo felici."
Niki si alza, corre verso di lei e l'abbraccia. La stringe forte. "Grazie, mamma. Ti voglio bene." Poi dà un bacio veloce a Roberto e fugge in camera sua.
Roberto si tocca la guancia, è ancora un po'"scosso. "Ma non ho capito… cioè, alla fine la decisione di non sposarsi più praticamente l'ha presa Niki?"
Simona gioca con gli anelli tra le dita. "Sì."
"Eh, ma tu come hai fatto a capirlo?"
Simona lo guarda e sorride. "Perché mi ha fatto una domanda. Se quella decisione l'avesse presa lui, lei comunque non avrebbe avuto colpa… e quindi non avrebbe chiesto cosa preferivo, avrebbe risposto: lo ha deciso lui."
"Ah…" In realtà Roberto non è proprio sicuro di aver capito. Ma poi gli viene in mente una domanda molto più semplice. Perché non farla a sua moglie, poi, d'altronde lei sa sempre tutto. "Ma secondo te, amore, è una decisione serena oppure c'è dietro qualcos'altro?"
Simona lo guarda con più attenzione. "Cioè? A cosa pensi?"
"Non so, ecco… Hanno litigato o magari c'è qualcuno di mezzo…"
"No. Niki non ha nessun altro."
Roberto la guarda. "Ma io non avevo parlato di Niki."
Questa volta Simona non sa proprio cosa rispondere. "Comunque non è quello il problema." Solo su una cosa è sicura. Lei non
ama dire bugie. Poi prende quel pacchetto e lo porta di là. Bussa alla porta della sua camera chiusa.
"Niki? Si può?"
"Sì, mamma."
Simona entra. Niki è distesa sul letto con le gambe poggiate al muro, rivolte verso l'alto. "Dimmi."
"Niente… Ti è arrivato questo, te lo metto qui." E lo poggia sul tavolo.
"Sì, grazie…" Rimane per un attimo sulla soglia prima di uscire. "Per qualunque cosa, tu lo sai che ci sono sempre, vero?" Niki sorride. E un po'"si vergogna. Mamma ha già capito tutto. "Ci sono sempre e comunque." Poi senza neanche guardarla o cercare la sua approvazione, Simona lascia la stanza. Niki rimane per un po'"immobile sul letto, in silenzio. Poi con una mossa agile e veloce ruota le gambe, fa una specie di salto all'indietro e scende dal letto. Si avvicina al tavolo. Guarda il pacchetto. C'è la sua scrittura, la riconosce. Alex. Niki lo soppesa un po', lo tiene così tra le mani. È leggero. E non le viene in mente cosa possa essere, ma in questo momento non ha neanche alcuna curiosità, solo voglia di piangere. E questo nessuno glielo può impedire.
Centoventitré
I giorni seguenti per Alex sono un grande sforzo. Grandissimo. Come se d'un tratto, mai come in questo momento, nulla avesse più ragione di essere. Non il successo, non il lavoro, non gli amici. Improvvisamente perso in quella città, la sua città, Roma. E non gli sembra neanche di conoscerla, le strade sembrano nuove, le stesse di sempre, come sconosciute ai suoi occhi, prive di colore, e i locali, i negozi, i ristoranti famosi, di colpo perdono interesse, ragione, perché. Andare in giro senza una meta, giornate intere senza guardare l'orologio, senza sapere dove andare, senza avere alcun traguardo, alcun perché, alcun dovere. E dentro di lui canta Battisti. E come stare in un frullatore con tutte le sue canzoni. "Che sensazione di leggera follia sta colorando l'anima mia. Senza te. Senza più radici ormai. Tanti giorni in tasca tutti lì da spendere. E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante… Luci ah, di solito così non si fa." Confuso. Di urla, di rabbia, di amore esploso, di dolore fisico, un cuore spaccato, un'amicizia ammaccata, un'emozione spezzata, un sentimento stravolto, accartocciato, tranciato. Così si sente. Con una musica continua nella sua testa e una fragilità interna, un sottile dispiacere, una lacrima improvvisa e la voglia di non parlare. Scorre la notte e quella luna immobile sembra sapere tutto ma non parla. Scorrono i giorni con quel sole che quasi acceca nella sua perfetta rotondità, nel suo doloroso distacco, nel suo ripetersi noioso. Giorno dopo giorno. Notte dopo notte. Tutto è noioso. Alex va in giro con la sua macchina.
"Pronto? No, Andrea. Oggi non passo in ufficio." "Pronto, mamma? Ti volevo dire una cosa." Silenzio e la paura delle domande, della curiosità umana, del perché e per come qualcosa finisce. "No no, è solo rimandato. Fermate tutto." Spostato a un domani, chissà. Ma loro insistono, vogliono sapere.
"Ma perché, c'è forse un'altra persona? Per te? Per lei? Avete litigato? Posso fare qualcosa, mi sembra brutto non chiamarla, e i
suoi genitori poi? Non è carino sparire così… Alex, dicci la verità! Possiamo fare qualcosa per te? La nostra casa è sempre aperta… Passa, raccontaci qualcosa, ti prego."
E dall'altra parte senti una curiosità avida, come se le vicende umane comunque fossero sempre ragione di sorpresa, di frugare, cercare, aprire cassetti, leggere lettere, di sapere notizie, sorprendenti verità, drammatiche scoperte! Affamati di vita altrui. Ma cosa volete sapere mai! Cosa c'è da sapere più del fatto che finisce un amore! È finito allora. Finito? Ed è quasi un urlo straziante, quella parola, è come se il cuore, sentendola pronunciare dalla mente, si attorcigliasse, si stendesse come un elastico dalle assurde capacità, teso come un arco violento pronto a scoccare la dolorosa freccia, ancora di più, più teso, fino all'inverosimile, fino a spaccarsi, come cinque corde musicali portate all'esasperazione, ultimo straziante assolo di un vecchio cantante rock al suo ultimo bis, come antico cigno, ormai rauco, in quel suo amato canto finale. Ecco, così si sente Alex, inginocchiato, stremato, sconfitto, graffiato, di fronte alla bellezza e alla grandiosità del suo amore per Niki. Solo ora capisce quanto l'ha amata, solo ora si vergogna di averla fatta soffrire, di avere tolto anche solo per un attimo quel sorriso dal suo viso, e vorrebbe punirsi per aver causato qualche lacrima, vorrebbe sdoppiarsi, clonarsi, creare un altro Alex, innocente, al quale dare una frusta per farsi punire, sentire sulla sua schiena quei colpi taglienti e quegli stessi segni dipingersi immediatamente dello stesso meraviglioso rosso delle labbra di Niki, e ancora altri segni, nuovi, sottili ma feroci e profondi, graffianti, con uncini che portano via la sua pelle, perfetti come il sorriso di lei… quel sorriso che terribilmente gli manca. Tutto questo vorrebbe sentire e altro ancora. E nemmeno il peggiore dolore fisico è paragonabile a quello che sta provando nel suo cuore. L'assurdo di quel vuoto pneumatico, l'assenza totale di tutto, come un respiro fatto in un mondo senz'aria, come aver mandato giù un bicchiere vuoto, un tuffo in una piscina senz'acqua, il silenzio delle profondità marine, l'assenza di qualsiasi suono, parola, colore, gioia, felicità, sentimenti cristallizzati, come un mondo spaccato a metà, e improvvisamente quel sorriso rubato, stampato, crocifisso, impagliato, privo di anima. Così si sente Alex, con un vuoto lancinante. Chi è stato a rubarmi l'emozione, il sentimento, la felicità? Ladro, maledetto ladro dell'amore, l'hai preso e poi nascosto, imbottigliato, e spedito nelle profondità più fredde di questa terra che oggi mi ospita. Avanzo giorno dopo giorno senza avvertire più
il calore del sole, e tutto mi annoia e dolorosamente mi tortura, destinato a soffrire in eterno, come un condannato all'ergastolo che però non ha mai visto un tribunale o dei giudici o qualcuno che potesse dirgli qualcosa, il perché delle sue colpe, qualunque esse siano. No. Starà per sempre in quella stanza, solo, con i suoi pensieri e i suoi ricordi, cercando di immaginare chi lo ha rinchiuso e quale potrà mai essere stata la sua colpa… Se mai c'è stata colpa. Come quel film che mi aveva spiazzato, violento, drammatico, straziante nella sua strana assurdità. Old Boy. Un film coreano. Una vicenda incredibile che pescava nella parte più profonda della mente, nel nero più scuro. Come se un enorme octopus, uno di quei polpi giganteschi, arrivasse dagli abissi, avvolgesse con i suoi enormi tentacoli la zattera di un povero naufrago che sta dormendo e se lo portasse giù, nell'oscurità del mare senza che lui se ne possa accorgere, sparendo così, pluff, d'incanto. Quando soffri in questo modo stenti a credere che ci sia un Dio, che ci sia veramente qualcuno lassù tra quelle stelle che non abbia pietà della tua disperazione. E per un attimo ti ricordi della felicità dell'amore e il solo scorgere la bellezza di quel paradiso ti fa capire ancor di più le atrocità dell'inferno che stai vivendo. Poi Alex guarda la tv. Un conduttore straordinario, che ha conquistato tutto e tutti, annaspa sudato su un palcoscenico, si butta per terra, salta, prova a dirigere un'orchestra, poi di colpo si ferma e parla di qualcosa. Ma Alex ha tolto il volume. E così non sa quello che dice, ma vede le sue labbra, sente i suoi occhi. È affaticato e quello sguardo è triste e i suoi occhi si dipingono di sofferenza e allora Alex capisce che non servono parole, né soldi, né successo o potere per riacquistare quella luce, quella piccola enorme fiamma il cui nome è felicità. E non esiste negozio, né documento o carta o raccomandazione che te la possa restituire. Ma allora non è vero nulla. Alla fine degli arcobaleni non c'è quella pentola piena di monete d'oro. Dopo il "The end" dei film romantici, dopo quella bellissima scena d'amore, dopo quell'ultimo bacio appassionato prima di andare a nero con quella musica bellissima, non c'è più nulla. Nulla. Anzi, magari quei due attori si odiano! Dopo lo "stop!" del regista non si salutano, non si parlano, si chiudono nei loro rispettivi camerini e telefonano a qualcun altro per sparlare l'uno dell'altra.