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13

Va a Karakorum con Katya Lindman. Normalmente passa le sue sere libere con Nikki Crowfoot, ma non sempre è così; non sono marito e moglie, non è un rapporto monogamo quello tra loro. Shadrach ama Crowfoot, o è convinto di amarla, che per lui è la stessa cosa. Ma non è mai stato in grado di sfuggire a Lindman a lungo. Ora lei è in ascesa, come Saturno, lugubre, ascendente nella casa dell’Acquario. Questa notte sarà sua. Nikki è altrove, in ogni caso, Shadrach ignora dove; lui è libero, accessibile, vulnerabile.

— Facciamo i sogni insieme questa notte?

Perché no? La sua forte, severa voce di contralto gli ha piegato la volontà. Shadrach acconsentirà finalmente a essere iniziato ai misteri del sogno di morte. Fa un cenno di assenso, e gli occhi scuri di Lindman scintillano della selvaggia soddisfazione della trionfatrice.

Il padiglione del sogno di morte è un’ampia tenda retta da molti pali, il telone nero bordato di una striscia arancio-ruggine. Sopra l’ingresso si protende in fuori una testa d’ariete, pesante, minacciosa, aggressiva; le massicce corna arricciate trafiggono l’aria fredda di primavera con prepotenza titanica. Shadrach sa che l’ariete è Ammone-Ra, signore della paura, re del sole, protettore del sogno di morte; si dice infatti che questo culto derivi dall’Egitto dei Faraoni, riti segreti che non si persero mai dai giorni in cui venivano praticati originariamente lungo le rive del caldo, pigro Nilo al tempo della Quinta Dinastia. All’interno della tenda, stranamente, tutto è luce. Il posto sfolgora di strutture sfavillanti dal suolo fino al soffitto: lampade sospese, poste in cima ad alti pali, faretti, cascate luminose, l’aria brucia di una lucentezza bianca-azzurra che stordisce, l’ombra è annientata. Shadrach ricorda l’atmosfera torbida della tenda dei transtemporalisti, ed è profondamente impressionato da questa luce intensa. Ma nel dominio di Ammone-Ra deve regnare un fulgore solare.

Si sta avvicinando una figura mascherata, un’orientale dalla linea slanciata che non indossa altro che un panno bianco arrotolato a cingerle i fianchi e un’enorme maschera da leone dorata che le poggia pesante sulle spalle magre. Tra i seni minuti le scende un pendente, una croce ansata d’oro fiammeggiante. Non parla; ma con gesti espressivi guida Mordecai e Lindman per la tenda affollata, oltre le file di uomini e donne che giacciono addormentati. I soffici materassi di cotone bianco sono contornati da barriere di corda dorata tesa tra aste d’ebano. Arrivati a un cubicolo vuoto, che sarà il loro, si fermano. Dentro all’anello di corda ci sono due spessi materassi affiancati, e a ciascuno dei due lati vi è un costume da sogni ripiegato con cura, e un baule di legno adorno dove, indica la loro guida, dovranno mettere i loro vestiti. Katya inizia immediatamente a spogliarsi, e Shadrach, dopo un istante, la imita. La guida attende da parte, senza mostrare alcun interesse per la loro nudità; Shadrach si sente sciocco nel suo costume: un singolo riquadro di lino delle dimensioni di un fazzoletto a coprirgli il pube e le cosce, una cintura di perle colorate per assicurarlo attorno ai fianchi, e due strette strisce di panno, una verde, una blu, che la guida lo aiuta a sistemare incrociate sul petto.

Katya gli sorride. Osservandola togliersi i vestiti, Shadrach prova un desiderio prepotente, da cui è assente l’amore o anche solo la gioia. Il denso, scuro cespuglio del pube, ampio e ricciuto, che si spinge fino agli angoli delle cosce, esercita un magnetismo terribile: Shadrach prova un desiderio di intensità inconsueta di seppellirvi il proprio sesso, di tuffarlo come un’accetta nelle profondità senza uscita di lei, rimanere lì, immobile. Lindman indossa un panno simile al suo, e un pendente con la croce ad anello, identico a quello della guida. Questi sottolineano la sua nudità più che mascherarla. Come sempre, il corpo di Katya lo turba; fianchi ampi, sedere pesante, un corpo da contadina, con il baricentro piuttosto basso, l’ombelico profondo, nascosto tra le pieghe lisce di grasso del ventre, i seni pieni e appena allungati. È un corpo forte e voluttuoso, potente e al tempo stesso tutt’altro che atletico, con la femminilità esagerata di quelle veneri primordiali delle caverne di Cro-Magnon. Quel che più inquieta Shadrach, o almeno così sospetta lui, è il contrasto tra quel corpo dalla sessualità vigorosa, da madre terra, e quelle labbra sottili e predatrici, quei denti affilati e minacciosi. La bocca di Katya tradisce l’archetipo proiettato dal resto del suo corpo, e la contraddizione rende questa donna un mistero per Shadrach. Falsus in uno, falsus in omnibus, forse.

La donna con la testa di leone li invita a inginocchiarsi sui materassi, e porge a ciascuno dei due un talismano di metallo lucente. Non sembra in principio altro che uno specchio, una tavoletta vuota con i bordi decorati da motivi pseudoegizi, piccoli rilievi che rappresentano il falco di Horus, serpenti, scorpioni, scarabei, api, l’ibis di Thoth, inframmezzati da piccoli geroglifici dall’aspetto arcano; ma dopo qualche istante che li sta fissando, Shadrach inizia a percepire un disegno che gli dà il capogiro, linee punteggiate quasi invisibili che si avvitano a spirale attorno al centro dell’amuleto; queste linee, si accorge Shadrach, diventano visibili soltanto quando regge il talismano con l’angolazione giusta rispetto a un certo lume brillante appeso sopra la sua testa; e, muovendo l’oggetto con estrema delicatezza, può far sì che le linee si muovano, volteggino in un gorgo antiorario, può creare un vortice…

…che lo risucchia verso il centro del disco…

Dunque operano attraverso l’ipnosi qui, invece che con la droga, pensa; si sente sicuro di sé, scientifico, Shadrach lo studioso, l’osservatore distaccato di tutti i fenomeni umani; poi, un richiamo irresistibile, si ritrova catturato, attirato all’interno senza possibilità di opporsi, niente di più che un granello microscopico trasportato dai venti cosmici, un puntolino, un fantasma…

…un attimo qui, inginocchiato, intento ad ammirare l’ingegnosità del meccanismo; un attimo dopo intrappolato, afferrato, tirato di qua e di là, del tutto incapace di considerazioni oggettive, animula vagula blandula hospes comesque corporis…

Mentre lui sprofonda, la sacerdotessa, perché è così che la deve chiamare, intona un canto ritmato, frammentario ed elusivo; una commistione di parole inglesi e di mongolo e pezzettini di quello che potrebbe benissimo essere egizio del tempo dei Faraoni, invocazioni di Set, Hathor, Iside, Anubi, Bastet. Figure mitologiche lo circondano nel mezzo dell’ombra improvvisa, il dio dalla testa di falco, il grande sciacallo, la scimmia dalla faccia di cane, il grandissimo scarabeo che procede a salti, divinità appassite si scambiano commenti sapienti in linguaggi impenetrabili, ammiccando, indicando. Ecco padre Ammone, luminoso come fuoco solare, turbolento come l’involucro del sole, lo sta chiamando. Ecco la bestia senza volto, proietta correnti di fiamma stellare. Ecco il dio gnomo, il buffone, il protettore dei morti, scalpitano e sghignazzano. Ecco la dea con il corpo di una donqa e le teste di tre serpenti. Gli dei danzano, ridono, fanno acqua, sputano, singhiozzano, battono le mani. La sacerdotessa continua a cantare. Le sue parole, che si inseguono l’un l’altra, lo prendono e lo tengono stretto. Shadrach fatica ormai a capire alcunché, tutte le strutture si sono dissolte e sono prive di forma, eppure egli è remotamente consapevole che questa ragazza magra dalla pelle gialla, con questa voce cantilenante e impassibile, lo sta programmando, lo sta incitando, gli sta infondendo riguardo alla vita e alla morte certi atteggiamenti che plasmeranno la sua esperienza nelle prossime ore. Lo tiene in pugno, gli apre la strada, lo guida e lo indirizza nel suo volo in grembo alla brezza escatologica.

Shadrach è dilaniato. Qualcosa lo sta separando da lui stesso, dolcemente e in modo indolore. Non ha mai provato qualcosa del genere, né nella tenda dei transtemporalisti, né prendendo uno degli psichedelici tradizionali, né col kot, né con lo yipka: questa è una cosa nuova, unica, una liberazione dalla propria stessa massa, un abbandono della carne, un librarsi nell’immaterialità. Sente che sta…