— Nel tuo sogno?
— Sì. Quando abbiamo incontrato Pancho Sanchez. E il Primo Imperatore. E quando siamo andati in Messico.
— Quello era il tuo sogno — dice lei. — Io facevo altri sogni.
— Oh. Oh. Me lo domandavo. Sembrava molto reale, parlarti, averti al mio fianco.
— I sogni sembrano sempre così.
— Ma sono sorpreso di come tutto fosse così allegro. Frivolo, addirittura.
— Per te è stato così?
— Fino a poco prima della fine — dice Shadrach. — Lì è diventato solenne. Quando le cose sono diventate più calme. Ma prima di quel momento…
— Frivolo?
— Molto frivolo, Katya.
— Per me è stato solenne tutto il tempo. Una grande pace
— E diverso per ciascuno?
— Certo — dice lei. — Cosa credevi?
— Oh.
— Pensavi, quando mi hai incontrato nel tuo sogno, che io fossi veramente lì, a parlarti, che condividessi le tue esperienze?
— Confesso di sì.
— No. Non c’ero.
— Eh, no. Immagino di no. — Shadrach ride. — Okay. Non ci avevo pensato. Per te è stato molto serio. Per me è stato tutto un gioco. Cosa dice questo su di te, su di me?
— Niente, Shadrach.
— Davvero?
— Assolutamente niente.
— Con i sogni che ci scegliamo non esprimiamo qualcosa del nostro sé interiore?
— No — risponde lei.
— Come fai a esserne così sicura?
— I sogni vengono scelti per noi. Da un estraneo. Non ne so di più di quel che ti sto dicendo, ma ci ha detto la donna mascherata cosa sognare. A grandi linee. Il tono generale.
— E noi non abbiamo scelta sul contenuto?
— In parte. Le sue istruzioni vengono filtrate dalla nostra sensibilità. E però… però…
— Il tuo sogno è sempre lo stesso?
— Il contenuto? Il tono?
— Il tono.
— Il sogno è sempre nuovo — dice Katya — eppure ha in qualche modo sempre lo stesso sapore, perché la morte è sempre la stessa. Succedono cose diverse ogni volta, ma il sogno ti porta sempre allo stesso posto, nello stesso modo, alla fine.
— Al punto di stasi?
— Si può chiamarlo così. Sì. Sì.
— E il significato di quello che ho sognato…
— No — dice lei. — Non parlare di significato. Il sogno di morte non ti offre saggezza, non è un oracolo. Il sogno non ha significato. — Il treno sotterraneo ha raggiunto Ulan Bator. — Vieni — dice Katya.
Vanno alla suite dove vive lei, due piani più in basso di quella di Nikki Crowfoot: un posto buio, tre stanzette dove le finestre sono coperte da tendaggi pesanti. Ancora una volta, si ritrovano nudi l’uno davanti all’altra, ancora una volta Shadrach avverte l’attrazione fortissima del robusto corpo di Katya; le si avvicina rigido, l’abbraccia, immerge i polpastrelli nella carne profonda delle sue spalle e della sua schiena. Non riesce a trovare il coraggio di baciare quella bocca terrificante. Pensa ai gioiosi accoppiamenti che ha condiviso con lei nel sogno di morte, alla risaia, alle fragranti notti messicane, e la trascina sul letto con sé; eppure, pur riempiendosi le mani chiuse a coppa con i seni di lei, pur lasciandosi imprigionare la testa dalle cosce lisce e fresche, pur premendosi con furia contro la sua carne, si sente del tutto annientato dall’effetto della presenza fisica di Katya, è inerte. E non per la prima volta: i loro coiti sporadici sono sempre stati contraddistinti da difficoltà del genere, che raramente Shadrach ha sperimentato con altre donne. Katya non si lascia turbare da questo: con calma lo spinge contro il cuscino premendogli le nocche ripiegate contro il petto, poi, piegandosi in avanti, comincia a occuparsi di lui con la bocca, con la sua bocca sinistra e feroce dalle zanne aguzze, accogliendolo con amore; e tutto quel che lui sente sono labbra e lingua, labbra e lingua, calde e umide, i denti non si fanno sentire del tutto, e sotto le abili cure di lei Shadrach si rilassa, accantona la sua paura di lei, diventa finalmente rigido. Con agilità lei si avvicina scivolandogli sopra (è chiaramente una manovra di cui ha lunga esperienza) e, con un improvviso movimento, si lascia cadere giù con forza, impalandosi su di lui. È accucciata a cavalcioni del corpo di Shadrach, forte come una contadina, lo sovrasta, le ginocchia flesse, i glutei ben tesi, il corpo si dondola. Shadrach la guarda, e vede un volto distorto dai primi spasmi dell’estasi; le narici dilatate, gli occhi serrati, le labbra distese all’indietro in una smorfia selvaggia; poi chiude gli occhi anch’egli e si concede interamente alla loro unione. Una energia spaventosa percorre Katya. Lo cavalca, ora appena accucciata su di lui così che solo i lombi sono a contatto, ora schiacciando tutto il suo corpo contro quello di Shadrach; ma sempre rimane sopra, sempre resta al comando. Lui non si oppone. Lei freme, schiaccia, spinge, si contorce, improvvisamente si discosta con uno scatto ed erompe in una bizzarra risata; lui sa che si tratta del segnale, le stringe i seni e si unisce a lei nel culmine del piacere. Poi si assopisce, e quando si risveglia si accorge che Katya sta singhiozzando in silenzio. Com’è strano, non è per niente da lei! Non avrebbe mai immaginato che Lindman fosse capace di versare lacrime.
— Cosa c’è che non va? Lei scuote la testa.
— Katya?
— Niente. Ti prego.
— Cosa c’è?
In tono risentito, la faccia premuta contro il cuscino, lei risponde: — Ho paura per te.
— Paura? Perché? Per che cosa?
Lei lo guarda e scuote nuovamente la testa. Serra le labbra. Improvvisamente la sua bocca non sembra affatto selvaggia. È la bocca di un bimbo. Katya ha paura.
— Katya?
— Ti prego, Shadrach.
— Non capisco.
Katya tace. Scuote la testa.
14
Passa più di una settimana prima che Shadrach riveda Nikki Crowfoot. Nikki sostiene di essere molto occupata al laboratorio: problemi di ricalibrazione, aggiustamenti compensativi che si sono resi necessari nel sistema di trapianto della personalità dell’Avatar, ora che il donatore non è più Mangu. È troppo stanca quindi, alla fine della giornata, per aver voglia di compagnia. Ma Shadrach sospetta che lei lo stia evitando. Crowfoot è sempre stata tanto più orientata alla vita sociale quanto più il lavoro la soffocava: è il suo modo di evadere dalla pressione. Shadrach non riesce a immaginare che motivo potrebbe avere per volerlo evitare. Sicuramente non è per la notte che ha passato con Katya Lindman. Era già stato a letto con Lindman, e con altre donne; anche Crowfoot ha avuto altri partner; cose del genere non hanno mai avuto importanza tra loro. Shadrach è perplesso. Quando parlano al telefono Nikki è guardinga e distante. È fuor di ogni dubbio che qualcosa sia andato storto nel loro rapporto, ma Shadrach non ha ipotesi su cosa precisamente sia stato.
Una nuova crisi con Gengis Mao lo distrae brevemente da queste faccende. Negli ultimi giorni, il Khan si è alzato regolarmente dal letto per lavorare in studio, per visitare il Vettore di Sorveglianza Uno, per dirigere le attività del Comitato dalla stanza del quartier generale. La sua convalescenza procedeva così liscia che non pareva esservi motivo di limitare i suoi movimenti. Ma ora gli impianti di percezione del dottor Mordecai ricevono i primi segnali di qualche problema: pulsazioni epigastriche, un debole soffio sistolico, un affaticamento generale della circolazione. Troppa attività, e troppo presto? Shadrach si reca allo studio del Presidente per discutere la questione. Gengis Mao però, ancora preso dai suoi monumenti a Mangu e dalle sue retate di assassini, non ha voglia di conferire col suo medico, non vuole discutere di sintomi. Accantona le domande di Shadrach, dichiarando bruscamente che non si è mai sentito meglio. Poi torna alla sua scrivania. Gli arresti, confida gonfio d’orgoglio a Mordecai, sono ormai arrivati a duecentottantadue. Di queste persone, novantasette sono state dichiarate colpevoli e mandate al vivaio di organi.