— No — dice il Khan. — Non una protesi. Potete fare un innesto di tessuto, no? Non ci sono grandi problemi di rigetto con il tessuto arterioso. In fondo è solo un po’ di tubicino flessibile.
Warhaftig dice: — Ma il dacron e il teflon si sono dimostrati assolutamente…
— No. Ho già abbastanza plastica dentro al mio corpo. E le banche di organi straripano di nuovo materiale. Datemi dell’aorta autentica. — Gli occhi di Gengis Mao si illuminano. — Datemi dell’aorta presa da uno dei congiurati appena condannati.
Warhaftig guarda Shadrach Mordecai, che alza le spalle.
— Come desidera — dice il chirurgo.
Poco dopo, Shadrach incontra Katya Lindman per pranzo. Dopo mangiato, passeggiano in piazza Sukhe Bator. Dopo la notte in cui sono stati a Karakorum, Shadrach ha passato con lei più tempo del solito, anche se non hanno più dormito insieme. La trova più dolce ora, meno minacciosa, e non è sicuro se sia cambiato semplicemente il suo atteggiamento verso di lei, oppure lei stessa; essersi svegliato e averla trovata in preda ai singhiozzi potrebbe avere avuto qualcosa a che fare con tutto questo. Certamente lei è diventata calda e amichevole, al punto da fargli sospettare e temere che possa essersi innamorata di lui: ma nell’intimo di Katya rimane qualcosa di riservato, un freno ineluttabile; c’è una zona di silenzio dentro di lei che lo colpisce, gli pare opporsi all’amore. Non ci sono mai stati simili scomparti stagni in Nikki Crowfoot, quando il rapporto con lei andava bene.
Il sole di mezzogiorno splende alto, l’aria è dolce, la giornata calda; fiori dorati brillano nelle vasche di terracotta che adornano la piazza. Katya gli cammina vicino, ma i loro corpi non si sfiorano. Lei è già al corrente della nuova crisi. Le notizie, ogni tipo di notizie, viaggiano a velocità strabiliante su e giù per la Gran Torre del Khan, ma più velocemente di tutte corrono le notizie della salute di Gengis Mao. — Dimmi cos’è un aneurisma — gli chiede. Lui le fornisce una spiegazione elaborata, e descrive l’operazione che verrà eseguita. Sono vicini al punto in cui è caduto Mangu. Quando ha finito di parlare, Shadrach alza lo sguardo e cerca di immaginare due o tre assassini che se ne piovono giù nella scia di Mangu, mentre dei complici appostati da tempo balzano a spazzare via i corpi spiaccicati e fuggono infine portandoseli dietro. Follia, pensa Shadrach. E questa è la teoria accuratamente ponderata, propugnata in tutta serietà dall’uomo che governa il mondo. Follia. Follia.
Dice: — Ci sono stati quasi trecento arresti fino a questo momento. Novantasette persone sono state spedite al vivaio di organi. La settimana scorsa Roger Buckmaster era vivo, sano, padrone della propria sorte come ciascuno di noi. Domani potremmo ritrovarci a usare la sua aorta per rattoppare quella di Gengis Mao. E gli arresti proseguono.
— L’ho sentito dire. La gente di Avogadro ne porta di nuovi giorno e notte. Quando sarà soddisfatto il Khan?
— Quando deciderà che tutti i cospiratori sono stati presi, immagino.
— Cospiratori! — Katya dice sdegnata. Per un momento ritrova la vecchia, temibile intensità. — Che cospiratori? Che cospirazione? Tutta questa storia è folle. Mangu si è ucciso.
— Anche tu credi che sia stato un suicidio, allora?
— Credo? Lo so — dice a voce bassa, distogliendo lo sguardo dalla Gran Torre, come per sfuggire a videocamere che potrebbero leggerle le labbra.
— Stai parlando come se fossi stata lì quando si è buttato.
— Non dire sciocchezze.
— Come puoi sapere che è stato un suicidio, allora?
— Lo so. Lo so.
— Eri lì quando…
— Certo che no — dice Lindman.
— E allora perché sei così sicura di aver ragione?
— Ho buone ragioni. Ragioni sufficienti.
— Sai qualcosa che quelli della Sicurezza non sanno?
— Sì — risponde lei.
— E allora perché non parli, prima che Avogadro arresti tutto il pianeta?
Lei rimane in silenzio un momento. — No — dice infine. — Non posso. Sarei rovinata.
— Non capisco.
— Capiresti, se ti raccontassi tutta la storia. — Lo sguardo di lei tosta studiando. — Se te la raccontassi, te la terresti per te?
— Se è quello che vuoi, sì.
— Sento che devo dirlo a qualcuno. Vorrei dirlo a te. Io mi fido di te, Shadrach. Ma ho paura.
— Se preferisci non…
— No. No. Ti racconterò. Passeggiamo insieme nella piazza. Teniamoci la torre alle spalle.
— Ci sono videocamere dappertutto. Non ha importanza da che parte guardiamo. Ma non possono registrare tutto, immagino.
Si incamminano attraverso la piazza. Lindman solleva il braccio, lo tiene davanti alla faccia come per grattarsi il naso con il verso del polso, e dice, a bocca coperta, a voce smorzata: — Ho visto Mangu la notte prima che si buttasse. Abbiamo parlato del Progetto Avatar. Gli ho detto che sarebbe stato lui il donatore.
— Oh, Cristo. Non l’hai fatto davvero!
Lei annuisce cupa. — Non riuscivo più a tenermelo per me. Era lunedì notte, subito prima del trapianto di fegato di Gengis Mao, giusto? È così. Mangu aveva fatto un discorso quella notte, aveva parlato della distribuzione generalizzata dell’Antidoto. Dopo, siamo andati a bere qualcosa insieme. Aveva paura che Gengis Mao potesse morire durante l’operazione, temeva di trovarsi a prendere le cose in mano troppo presto… “Non sono pronto”, continuava a dire Mangu, “non sono pronto.” Poi abbiamo cominciato a parlare dei tre progetti, e lui ha cominciato a fare ipotesi su Avatar. Si chiedeva quale sarebbe stato il suo ruolo nel governo se avessero trapiantato la mente di Gengis Mao nel corpo di qualcun altro. Si chiedeva se Gengis Mao l’avrebbe sempre voluto come viceré dopo la transizione, cose del genere. Era una cosa così triste, Shadrach, uno schifo, era tremendo il modo in cui continuava a parlarne, cercando di immaginare cosa lo aspettasse, mettendo su ipotesi e scenari di ogni sorta. Alla fine non ce l’ho più fatta e gli ho detto di smetterla di preoccuparsi di questioni del genere, che stava sprecando il suo tempo, che dopo la transizione non sarebbe più stato in giro perché Gengis Mao avrebbe usato il suo corpo.
Shadrach è attonito, dopo questa confessione. Riesce appena a parlare; gli tremano le gambe, il mento è impietrito.
Dice: — Come hai potuto farlo?
— Le parole mi sono uscite dalla bocca. Voglio dire, c’era quest’uomo, quest’uomo segnato, pietoso, che cercava di indovinare il suo futuro, cercava di capire quale sarebbe stato il suo ruolo, e io sapevo che non aveva nessun futuro. Se il Progetto Avatar funzionava. Lo sapevamo tutti, tutti tranne lui. E non sono più riuscita a trattenermi.
— E lui come ha reagito?
— La sua faccia si è praticamente richiusa su se stessa. Gli occhi sono diventati vuoti… morti, completamente spenti. È rimasto fermo, seduto per molto tempo senza dire niente. Poi mi ha chiesto come facevo a saperlo. Gli ho detto che lo sapevamo in molti. Mi ha chiesto se tu lo sapessi e gli ho detto che credevo di sì. Voglio parlare con Nikki Crowfoot, ha detto. È a Karakorum con Shadrach, gli ho detto. Poi mi ha chiesto se pensavo che Avatar sarebbe davvero decollato e io gli ho detto che non lo sapevo, che avevo molta fiducia nel progetto che stavo curando io, e che con un po’ di fortuna Talos avrebbe battuto Avatar sul tempo. È solo questione di tempo, ho detto. Avatar è messo meglio di Talos in questo momento, e se a Gengis Mao succede qualcosa di grave nei prossimi mesi potrebbero trovarsi costretti ad attivare Avatar, perché i sistemi di automazione di Talos richiedono almeno un anno di ulteriore elaborazione e il Progetto Fenice non sta andando da nessuna parte. Lui ci ha pensato su. Ha detto che non gli importava se sarebbe stato il donatore o no alla fine, il fatto era che Gengis Mao gli aveva lasciato credere di essere l’erede designato, mentre invece aveva dato segretamente l’assenso al suo assassinio. Era questo che gli faceva male, ha detto, non l’idea di morire, non l’idea di cedere il suo corpo a Gengis Mao, ma l’essere stato preso in giro, trattato come un sempliciotto. Poi si è alzato, ha detto buonanotte, se ne è uscito. Molto lentamente. Dopo di questo, non so. Immagino che abbia passato tutta la notte a pensarci su. A pensare al modo in cui era stato fregato. L’agnello migliore, ingrassato per il macello. E al mattino si è buttato.