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Mio zio era amico di Riccio, in galera stavano nella stessa «famiglia»: visto che mio zio era uscito prima di lui, un giorno era andato a casa del vecchio Taiga, ormai moribondo, per portargli i saluti di suo nipote adottivo. Prima di morire Taiga aveva benedetto mio zio e aveva detto che il primo figlio maschio che sarebbe nato nella nostra famiglia avrebbe dovuto portare il nome di mio bisnonno Nikolaj, che da giovane era suo amico, e poi era stato fucilato dalla polizia all’età di ventisette anni. Il primo a nascere, dopo cinque anni, sono stato io.

Io e zio Vitali] siamo andati a piedi, la strada non era lunga, una mezz’ora di cammino. Riccio non aveva una casa, era ospite di un vecchio criminale di nome «Bollito» che abitava ai margini del nostro quartiere, vicino ai campi dove il fiume faceva una curva larga e si perdeva nei boschi.

Il cancello era aperto. Era estate, e faceva parecchio caldo; nel cortile, sotto un pergolato d’uva che faceva una bella ombra, erano seduti Bollito e Riccio. Stavano bevendo «kvas», una bevanda dissetante a base di pane nero e di lievito. L’odore di kvas era fortissimo, e si sentiva subito, nell’aria ferma e calda.

Non appena siamo entrati, Riccio si è alzato dalla sedia ed è corso verso mio zio: si sono abbracciati e baciati tre volte sulle guance, come si usa da noi.

— Allora, vecchio lupo, sei ancora capace di mordere? Gli sbirri non ti hanno rotto tutti i denti? — ha chiesto Riccio, come se a essere appena uscito di galera fosse stato mio zio e non lui.

Ma io sapevo perché lo diceva. Mio zio nell’ultimo anno di carcere aveva passato un brutto guaio. Aveva aggredito una guardia per questioni di onore, per difendere un vecchio criminale che era stato pestato da uno sbirro, e le guardie si erano vendicate con torture disumane, lo avevano picchiato forte e a lungo, e dopo lo avevano bagnato e lasciato per una notte all’aperto in pieno inverno. Lui si era ammalato e per fortuna era sopravvissuto, ma la sua salute ne aveva risentito, aveva un’asma cronica e gli stava marcendo un polmone, tanto che mio nonno scherzava sempre dicendo che aveva ritirato dalla galera la metà di suo figlio, mentre l’altra metà era rimasta li a marcire per sempre.

— E tu non sei più giovane, sei diventato un brutto vecchio! Dove hai lasciato i tuoi anni migliori? — gli aveva risposto mio zio guardandolo con affetto. Era evidente che quei due erano buoni amici.

— Ma chi è questo piede scalzo, sarà mica figlio di Jurij? — Riccio mi fissava con un sorriso sghembo.

— SI, è mio nipote. Lo abbiamo chiamato Nicolai come ha chiesto il vecchio Taiga, che la terra gli sia morbida come piuma…

Riccio intanto si era chinato su di me, la sua faccia era davanti alla mia, mi guardava con attenzione negli occhi, e io guardavo lui. Aveva occhi molto chiari, quasi bianchi, con una leggera traccia di azzurro; non sembravano umani, m’incuriosivano molto e continuavo a fissarli come se da un momento all’altro dovessero cambiare colore.

Poi Riccio mi ha messo una mano sulla testa e mi ha agitato i capelli, e io gli ho sorriso come a uno di famiglia.

— Sarà un assassino, questo, è della nostra razza, che il Signore lo aiuti.

— E sveglio… — ha detto mio zio con una forte nota di orgoglio nella voce, — … Kolima, ragazzo, recita a zio Riccio e zio Bollito la poesia dell’annegato!

Era la poesia preferita di zio Vitalij. Ogni volta che era ubriaco e voleva partire per ammazzare qualche sbirro, i miei nonni per fermarlo mi mandavano da lui come una specie di terapia a recitare quella poesia. Io la recitavo e lui si calmava subito, cominciava a parlarmi, mettendo via la pistola:

«Va bene, non fa niente, li ammazzerò domani quegli infami schifosi, dimmela un’altra volta…», e cosi io ricominciavo da capo ancora e ancora, finché non si addormentava. Solo a quel punto entravano nella stanza i miei nonni e gli portavano via la pistola.

Si trattava della poesia scritta dal mitico Puskin. Racconta di un povero pescatore nelle cui reti è finito il corpo di un annegato. Per paura delle conseguenze il pescatore ributta in acqua il corpo, ma il fantasma dell’annegato comincia a fargli visita ogni notte: finché il suo corpo non sarà sepolto in terra sotto una croce, lo spirito non potrà riposare in pace.

Era una storia molto bella e insieme terrificante, non so proprio perché piacesse cosi tanto a mio zio.

Comunque io non mi vergognavo a recitare le poesie davanti agli altri, anzi mi piaceva, mi sentivo importante e protagonista.

Cosi ho preso un po’ d’aria nei polmoni e ho cominciato a declamare, cercando di farlo nel modo più impressionante possibile, cambiando tonalità e aiutandomi anche con i gesti:

— «Sono entrati i bambini in casa, in fretta hanno chiamato il loro padre: «Padre, padre! Le nostre reti hanno pescato un morto!  «Cosa dite, diavolacci, — ha risposto il padre. - Ah, questi ragazzi! Ve lo do io il morto… Moglie, dammi il cappotto, vado a vedere. Ebbene, dove sarebbe questo morto?» «Eccolo H, padre! E difatti, lungo il fiume, dov’e-ra stesa ad asciugare la rete, sulla sabbia c’era un cadavere: il corpo orribile e sformato, bluastro e tutto gonfio…»

Quando ho finito, mi hanno applaudito. Mio zio era più contento di tutti, mi accarezzava la testa dicendo:

— Che vi dicevo? E un genio.

11 vecchio Bollito ci ha chiesto di accomodarci al tavolo sotto il pergolato ed è andato a prendere due bicchieri per noi.

Riccio mi ha chiesto:

— Di’ un po’, Kolima, hai per caso una picca?

Alla parola «picca» i miei occhi hanno cominciato a brillare e sono diventato attento come una tigre a caccia: io non avevo ancora una picca, nessuno dei miei amici ce l’aveva, di solito la si ha più tardi, verso i dieci-dodici anni.

La picca, così viene chiamata la storica arma dei crimina li siberiani, è un coltello a scatto con una lama lunga e sottile, ed è legato a molte usanze e cerimonie tradizionali della nostra comunità criminale.

Una picca non si può comprare о avere per propria volontà, si deve meritare.

Ogni criminale giovane può ricevere in regalo una picca da un criminale adulto, purché non sia un parente.

Una volta regalata, la picca diventa una specie di personale simbolo di culto, come la croce nella comunità cristiana.

La picca ha anche poteri magici: moltissimi.

Quando qualcuno è malato e soprattutto soffre, gli mettono sotto il materasso una picca aperta, con la lama di fuori, così secondo le credenze la lama taglia il dolore e lo assorbe come una spugna. Inoltre, quando un nemico viene colpito da quella lama, il dolore raccolto sgorga dentro la ferita, facendolo soffrire ancora di più.

Il cordone ombelicale dei neonati viene tagliato con una picca, che prima però è stata lasciata aperta per una notte nel posto dove dormono i gatti.

A suggellare patti importanti fra due persone — tregue, amicizie о fratellanze — i criminali s’incidono la mano con la stessa picca, che poi viene conservata da una terza persona, una specie di testimone del loro patto: chi tradirà la tregua verrà ammazzato con quella picca.

Quando un criminale muore, la sua picca viene rotta da qualcuno dei suoi amici: una parte, la lama, si mette nella tomba, di solito sotto la testa del morto, il manico invece lo conservano i parenti stretti. Quando è necessario comunicare con il morto, chiedergli un consiglio о un miracolo, i parenti tirano fuori il manico e lo mettono nell’angolo rosso, sotto le icone. Cosi il morto diventa una specie di ponte diretto tra i vivi e Dio in persona.