Выбрать главу

Ellen depose il pacco e annusò l’aria. Qualcuno aveva fumato in casa sua? Una delle cose che infastidivano Howard era sempre stato il suo senso dell’odorato esageratamente sviluppato, e una delle cose che a lei davano più fastidio era il fumo delle sigarette. Annusando curiosamente in giro, percorse il corto corridoio che portava in soggiorno. Lì gridò e barcollò all’indietro, stringendosi il petto per impedire al cuore di esplodere.

Seduto tranquillo nella poltroncina accanto al caminetto vi era un uomo grande e grosso. Indossava un costoso completo grigio, camicia nera, collo sbottonato, niente cravatta e stivaletti da cowboy decorati. La testa, squadrata come un blocco di granito, era coperta da una fitta capigliatura nera come l’ebano, pettinata all’indietro e tenuta a posto da qualche gel scintillante. Gli occhi duri e stretti sembravano neri come i capelli e la bocca larga era accentuata da una breve e grossa cicatrice che correva dal centro del labbro superiore alla base del naso, con ogni probabilità conseguenza di un intervento per correggere il labbro leporino.

«Perbacco, mi spiace averla spaventata, signora Kroft», esclamò l’uomo con una piacevole voce roca e il modo di fare allegro e disinvolto di un venditore di auto usate. «La prego, si accomodi, si accomodi.»

Ellen rimase bloccata dov’era. Non vi era alcuna prova che quell’enorme intruso avesse fumato in casa sua, eppure la puzza delle sigarette proveniva decisamente da lui. Pensò di fuggire, ma in verità, non aveva l’impressione di trovarsi in un pericolo immediato. L’uomo era già entrato in casa sua. Se avesse voluto farle del male, non l’avrebbe aspettata tranquillamente nel soggiorno.

«Chi è lei? Che vuole?» domandò.

L’uomo sorrise pazientemente.

«Chi sono io, non importa. Ciò che voglio ora è che lei si sieda… là.» Indicò il divano vicino alla poltrona.

Ellen esitò, poi trasse un respiro e fece come era stato richiesto. Da vicino, i suoi occhi erano più che scuri, erano spaventosamente freddi. Le grosse dita dalle nocche sporgenti erano arricciate attorno a una grossa busta che teneva in grembo. Al mignolo della mano sinistra, un anello d’oro con un diamante dal taglio quadrato di almeno tre carati.

«Allora», chiese Ellen, «che fa qui?»

«Io rappresento un gruppo molto interessato a che l’Omnivax entri in circolazione il più presto possibile. Questo è tutto ciò che ha bisogno di sapere.»

«E allora? Che c’entra con me?»

La sua espressione s’irrigidì. Ellen pensò di avere visto un leggero tic all’angolo della bocca. L’uomo riuscì comunque a fare un sorriso di condiscendenza.

«Signora Kroft», disse, con voce gelidamente calma, «non ho né il tempo né la pazienza per questi giochetti. Sia lei sia io conosciamo il significato dell’infelice promessa che Lynette Marquand ha fatto al mondo.»

«E allora?»

«Allora io so, da fonte autorevole, che lei è l’unica persona che potrebbe costringerla a mantenere quella promessa.»

«Per chi lavora lei? Per il presidente? Per le ditte farmaceutiche? Per chi?»

L’omone sospirò con impazienza e ignorò la sua domanda.

«Signora Kroft, devo insistere per avere la sua parola che non bloccherà la distribuzione di Omnivax.»

«Che cos’ha in quella busta?» chiese Ellen. «Soldi per corrompermi?»

«Oh, non ho alcuna intenzione di cercare di corromperla, signora.»

C’era qualcosa di raggelante nel modo in cui pronunciò quelle parole. Le porse la busta, ed Ellen l’aprì, tirò fuori le fotografie e restò a bocca aperta. La busta conteneva una decina di istantanee venti per venticinque, in bianco e nero, nitide, professionali, di Lucy. Lucy che entrava nella scuola, mano nella mano con Gayle; Lucy nel parco giochi; Lucy nel cortile di casa; addirittura Lucy addormentata nella sua cameretta.

«Lei non oserebbe mai fare del male a questa bambina!» esclamò Ellen con voce stridula.

L’uomo la fissò placidamente. Avrebbe voluto balzare in piedi e strappargli con le unghie quell’espressione soddisfatta dalla faccia.

«Farò qualsiasi cosa ci sia da fare», ribatté lui con fermezza. «Mi guardi e non dubiti di me neppure per un secondo. Se non crede alle mie parole, lei e solo lei sarà responsabile delle conseguenze. Le persone per cui lavoro hanno dato a questa faccenda precedenza assoluta. Dovesse deluderci in qualsiasi modo, le prometto che sua nipote sparirà… per sempre. Ciò che le capiterà dopo essere scomparsa, è qualcosa a cui lei neppure vorrà pensare. E, a seconda di quanto arrabbiati saranno i miei datori di lavoro, quello sarà forse solo l’inizio.»

L’arroganza del mostro seduto accanto a lei mise la sordina alla sua ira ed Ellen riuscì solo a esprimerla con lo sguardo.

«Mi sono spiegato?» chiese l’uomo. «Mi sono spiegato?» Per la prima volta alzò la voce.

«S… sì», riuscì a rispondere Ellen.

«Se vuole può rivolgersi alla polizia, ma le prometto due cose. Uno, lo scopriremo, e, due, la polizia non potrà fare nulla per evitare che succeda ciò che le ho promesso. Capito?»

«Sì.»

«Bene. Allora, siamo d’accordo?»

«Sì», ripeté lei, ora pericolosamente sul punto di piangere.

«Fantastico», commentò l’uomo, alzandosi in piedi.

Eretto in tutta la sua altezza, con quelle spalle larghe e la testa massiccia, era terrificante. Rilassato come se stesse raccogliendo il giornale, si chinò e prese la busta e le fotografie. La puzza di tabacco che emanava fece quasi vomitare Ellen. Il killer prese poi dalla tasca il cellulare, lo aprì e si collegò a un numero premendo un solo tasto.

«Abbiamo finito», disse semplicemente.

Pochi secondi dopo, un’automobile si fermò fuori della casa.

«La ringrazio per la sua ospitalità, signora Kroft», disse. «E la sua famiglia, ne sono certo, la ringrazia per il suo buonsenso. Non c’è bisogno che mi accompagni alla porta.»

Chiuse le tende della finestra panoramica e, con un ultimo sorriso, se ne andò. Ellen corse alla finestra e infilò la testa tra le tende, sperando di scorgere il numero della targa, ma l’automobile, una anonima berlina, si stava già allontanando giù per la strada.

16

Raramente, quando si svegliava, Matt ricordava il sogno fatto e, ancora più raramente, era consapevole di sognare mentre lo faceva. Questa volta però, lo sapeva. Era nello stesso tempo partecipante e osservatore, atterrito a ragione, eppure stranamente distaccato e analitico.

C’era un enorme mostro Gila, squame color arancione che scintillavano nella luce solare chiazzata. Il lucertolone velenoso, alto come un edificio, si spostava per la fitta foresta, la grossa coda che sbatteva sugli alberi, le tozze zampe che schiacciavano qualsiasi cosa si trovasse sul suo cammino. La lingua nera schioccava come una frusta, tranciando le punte dei pini. Continuava a sbattere contro il fianco roccioso di una collina, facendo precipitare le pietre dove si trovava Matt. All’improvviso vi furono anche uomini con armi, ombre vaghe che sparavano di continuo, cacciando proiettili su proiettili nel corpo della lucertola. Il Gila si drizzò sulle zampe posteriori, tenendosi in equilibrio sulla coda, alla ricerca della causa del dolore. Sempre più uomini… sempre più fucili… sempre più spari… sempre più fiammate… sempre più urla… e ora anche sangue che spruzzava da un centinaio di ferite lungo il fianco del mostro. L’enorme testa nera e arancione oscillava da una parte all’altra, le poderose fauci si aprivano e si chiudevano su null’altro che aria.

«Nooo!» Matt sentì se stesso gridare. «Basta!»

Ferita a morte, la bestia crollò, urlando contro i suoi assassini, sbattendo le zampe anteriori, lacerando più volte il braccio di Matt. Fu allora che ebbe l’impressione di essersi svegliato. Socchiuse gli occhi. Qualcosa continuava a graffiargli il braccio. Poi si rese conto che non era niente di più maligno di una mano che gli grattava il gomito. Era seduto su una sedia in un cubicolo circondato da vetrate all’unità di Terapia Intensiva, la stanza della dottoressa Solari. Accasciato su un fianco, aveva dormito, la testa appoggiata per metà sulla spalla e per metà sul letto. Era stata Nikki Solari a svegliarlo dal suo strano incubo con un colpetto. Attraverso il vetro, Julie Bellet, una delle infermiere di notte, lo salutò, sorridendo. L’orologio a muro alle sue spalle indicava le cinque e mezzo.