L’infermiera infilò un sottile catetere d’aspirazione dietro la punta del tubo nella trachea di Nikki, che reagì con un violento accesso di tosse mentre le lacrime le riempivano gli occhi e colavano lungo le guance.
«Mi spiace veramente», dichiarò Matt, sgonfiando il palloncino sul tubo, «ma è meglio togliersi alla svelta questo pensiero. Lei deve solo trarre un bel respiro e tossire.»
Nikki obbedì. Un leggero strattone e il tubo era fuori. L’infermiera stava per iniziare ad aspirare la bocca e la gola di Nikki, ma lui le spinse via la mano.
«Grazie», gracchiò Nikki.
L’infermiera le infilò sopra la bocca e il naso una maschera in polistirene trasparente. Per un minuto, per un altro minuto nessuno parlò, mentre Nikki prendeva lunghe e gradite sorsate d’aria umidificata e ricca di ossigeno. Il livello d’ossigeno del sangue, misurato dall’ossimetro applicato attorno alla punta del dito, era buono e il ritmo del battito cardiaco, visualizzato sul monitor, regolare. Non vi fu alcuna importante contrazione laringea.
«Sta bene?» domandò Matt.
«È stato tremendo», rispose Nikki. «Non è certo il modo di salutare un nuovo paziente. Da dove vengo io, i medici iniziano di solito chiedendo quale è l’agenzia di assicurazione.»
Venne abbassata di nuovo la luce nella stanzetta dell’unità di Terapia Intensiva.
L’infermiera era andata a prepararsi per un altro ricovero, un paziente che con ogni probabilità avrebbe preso il posto di Nikki in quella stanza. Esitante, appisolandosi ogni pochi minuti, Nikki parlò del finto incidente sulla strada, del cloroformio, degli spari e dell’inseguimento nel bosco. Non aveva alcun ricordo degli eventi immediatamente successivi al suo tuffo nel Crystal Lake.
Quel racconto spaventoso avvinse totalmente Matt, ma non più di quanto lo avvincesse la donna che stava parlando. Esausta e chiaramente alle prese con emicrania, vertigini e altri effetti del colpo subito, Nikki, che gli aveva chiesto di darle del tu, rivelava una forza d’animo, un’intelligenza e un senso dell’umorismo che neppure il suo attuale stato riusciva a diminuire.
Matt aveva un sacco di domande e, senza alcun dubbio, Grimes ne avrebbe avute altrettante. Per il momento, tuttavia, non aveva alcun desiderio di affrontare il poliziotto. Avrebbe chiamato la stazione di polizia solo quando lei fosse stata ben sveglia, nel frattempo rimase tranquillamente seduto in attesa, mentre lei riposava. Si sorprese nel rendersi conto che stava esaminando il suo volto. Come mai lo attraeva tanto? Non aveva assolutamente nulla che gli ricordasse la donna che aveva amato per tanta parte della sua vita. Tanto Ginny era solare e ricordava la sabbia della spiaggia, tanto Nikki era lunare e ricordava l’acqua scura e ferma di un lago di notte. La bocca di Ginny era innocente e infantile, quella di Nikki sensuale e piena. Da quando Ginny era morta, di tanto in tanto era stato con qualche donna, ma nessuna l’aveva attratto in questo modo. Si sentì strano, imbarazzato e un po’ infedele. Che stava facendo, paragonando e contrapponendo questa donna a Ginny?
… Che quei ricordi ti rammentino quanto la vita può essere di nuovo splendida. Non erano state quelle le parole di Mae?
In quel momento, la voce che tanto spesso lo infastidiva con frasi simili gli ricordò che lui era il suo medico. Un coinvolgimento sentimentale di un medico con il suo o la sua paziente era vietato non solo dal giuramento di Ippocrate, ma anche dalle leggi della maggior parte degli stati. Per troppi medici, un simile coinvolgimento aveva finito per essere una scorciatoia verso un lavoro impiegatizio.
«Ehi, ancora qui?» chiese Nikki.
«Io… ecco… devo essermi appisolato.»
«Di nuovo?»
«All’università ero campione di pisolini.»
«Anch’io. Dovevo diventare un chirurgo, ma mi hanno cacciata a pedate dopo che mi sono addormentata sul tavolo operatorio.»
«Posso immaginarti crollare a faccia in giù in un addome aperto. Nikki, dimmi, perché ti è successo tutto questo?»
«Non ne ho idea. Ma quegli uomini sapevano chi ero. Di questo sono certa.»
«Volevano forse droghe?»
«Tutto è possibile, suppongo. Ma, da quello che ricordo, penso volessero semplicemente me. Credo di averli sentiti chiamarsi per nome, ma non ricordo.»
Matt si alzò.
«Torno subito», dichiarò.
«Dove vai?»
«A telefonare alla polizia. Grimes vorrà sapere che sei sveglia e, finché non sapremo cosa c’è dietro questa storia, voglio un agente accanto alla tua porta.»
Nikki si strofinò gli occhi.
«Credo di aver chiacchierato già con il capo della polizia.»
«È vero, me lo ha detto.»
«Da ciò che ricordo, era molto cordiale.»
«Ecco spiegato l’arcano», sbottò Matt, ricordando improvvisamente la minaccia totalmente inadeguata e ben poco dissimulata fatta al pronto soccorso.
«Cosa?»
«Niente. Nikki, non abbiamo contattato la tua famiglia. Dammi il numero di telefono e chiamerò io tuo marito o i tuoi genitori o chiunque tu voglia.»
«Mio padre si sta riprendendo da un leggero colpo apoplettico, mia madre diventa isterica alla vista di un pettirosso che mangia un verme e i candidati a diventare mio marito sono ancora là fuori che combattono tra loro per la mia mano. Dato che con ogni probabilità ce la farò, perché non evitiamo di sconvolgere tutti? Oh, a parte il mio capo. Dovrei essere al lavoro.»
Matt si annotò il numero.
«Torno subito», annunciò con un deprecabile accento alla Schwarzenegger.
«Sei… molto… gentile», lo ringraziò.
Matt stava per rispondere, ma poi si rese conto che si era addormentata di nuovo e che respirava profondamente e regolarmente.
Quando Matt spiegò ciò che voleva, l’agente che aveva risposto alla stazione di polizia di Belinda gli passò Bill Grimes.
«Le ha detto cosa è successo?» chiese Grimes.
«Non le ho fatto molte domande. Volevo chiamare prima lei.»
«Non mi dica che è diventato ragionevole nei miei confronti.»
«Molto divertente. Ha detto che c’erano due uomini, uno grasso che indossava un abito da ufficio. L’altro atletico. Le dicono qualcosa?»
«Forse.»
«Ha anche detto che le hanno sparato.»
«E così quella sopra l’orecchio era proprio una ferita da pallottola.»
«Direi di sì.»
«Manderò lì qualcuno entro un’ora, e più tardi passerò per interrogarla.»
«D’accordo, ma con calma», disse Matt che avrebbe preferito dirgli di starsene alla larga da lei. «Ha avuto una grave commozione cerebrale.»
«Quanto a lungo dovrà restare in ospedale?»
«Non lo so per certo. Un paio di giorni, forse. Voglio che la veda il neurologo e, se lui ritenesse che una risonanza magnetica nucleare ci direbbe qualcosa di più della tomografia d’urgenza, dovrà fare anche quella.»
«Giusto. Uno dei miei sarà lì tra poco.»
«Ventiquattr’ore su ventiquattro, d’accordo?»
«Rutledge, lei faccia il suo lavoro e lasci fare a me il mio.»
«Nancy», chiese Matt alla sovrintendente delle infermiere, «è certa di non poter tenere la dottoressa Solari nell’unità di Terapia Intensiva più a lungo?»
«Matt, sa benissimo che camminerei sui carboni ardenti per lei», rispose Nancy Catlett, «ma abbiamo quattro casi critici nell’unità e tra poco arriverà su un caso di riparazione postoperatoria di aneurisma addominale. Non posso assolutamente giustificare la presenza di un paziente sveglio e vigile, nemmeno uno dei suoi.»
«Allora, una camera privata.»
«Questo dipende dalla sua assicurazione.»
«Lei me ne trovi una. Avremo un agente di guardia fuori dalla sua porta. Voglio che nella sua stanza entri solo chi è essenziale alle cure. Se avesse bisogno di disposizioni specifiche, le scriverò io. Se la sua assicurazione non coprisse la camera privata, lo farò io.»