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Finalmente, proprio quando stava pensando di rinunciare, nell’oscurità vide Grimes avviarsi a grandi passi alla sua automobile. Matt ripose il kit degli attrezzi, montò in sella alla Harley e attese che la portiera della Viper fosse chiusa prima di premere il pulsante d’avviamento elettrico. Il potente motore si accese rombando. Con il cuore che batteva all’impazzata, si sentì di colpo carico di energie e vigile. Grimes era scapolo e avrebbe potuto dirigersi verso casa, o avere un appuntamento amoroso e cenare fuori. Non avendo alcuna opzione migliore, Matt era deciso ad andare fino in fondo.

Invece di svoltare a sinistra verso Main Street, la Viper, i fari accesi, prese a destra, proprio verso l’angolo dove era in attesa Matt. Ebbe appena il tempo di infilare il casco e di abbassare la faccia, che l’auto gli passò accanto a non più di una decina di metri. La sua Harley era conosciuta in città tanto quanto la Viper, e Grimes era un poliziotto perspicace e avrebbe dovuto notarlo, evidentemente era distratto. Matt sentì crescere la tensione. Grimes viveva a sud della città, sulla riva del Belinda River. Ora, oltre a essere preoccupato, si stava dirigendo a nord, verso le colline. Questa non era una gita serale senza meta.

Matt si tenne il più lontano possibile. La serata declinante gli aveva fornito all’inizio sufficiente luce per vedere, ma, a fari spenti, dubitava seriamente che i guidatori che viaggiavano in senso contrario potessero vederlo. Fortunatamente, per circa dieci minuti, non passò nessuno. La strada, malamente lastricata, piegò ripidamente verso l’alto. Matt l’aveva percorsa spesso da giovane, ora raramente. Per quanto ricordava, il lastricato si trasformava in ghiaia, quindi in terra battuta, per poi finire nel bosco. Il suo ultimo tratto era un sentiero stretto e profondamente solcato, amato dai fanatici del motocross.

Le ombre del fitto bosco fecero calare la notte prematuramente. Poteva individuare abbastanza facilmente i fari della Viper, ma la cedevole banchina era invisibile, un pericolo costante. Matt non osò accendere il faro né staccare gli occhi dalla preda.

Di tanto in tanto, su un lato o l’altro della strada, una cassetta delle lettere arrugginita o un passaggio profondamente solcato indicava l’entrata verso un’abitazione che poteva trovarsi a una quindicina di metri nel bosco o a otto chilometri. Grimes svoltò improvvisamente in uno di questi accessi. Se Matt avesse avuto gli occhi puntati sulla strada, la svolta gli sarebbe sfuggita, invece notò un rapido sobbalzare delle luci posteriori, un attimo prima che iniziassero a spostarsi ad angolo retto rispetto alla strada. Quando Matt raggiunse il viale d’accesso, in cui riteneva che Grimes avesse svoltato, le luci erano svanite.

Senza casco, attraversò cautamente il bosco nero come la pece. Sebbene tenesse i giri del motore bassi, il rumore riecheggiava come se si trattasse di un veicolo pesante. Grimes si era forse fermato? Gli aveva teso un’imboscata più avanti? Matt spense il motore e ascoltò. Niente. Per un po’, cercò di spingere la pesante motocicletta, poi, resosi conto che non aveva altra scelta, l’avviò di nuovo e partì rumorosamente, le gambe tese lateralmente per bilanciarsi meglio. La Kawasaki sarebbe stata più silenziosa e facile da manovrare a bassa velocità, ma lui aveva avuto bisogno della grande capacità del baule portaoggetti per i farmaci e l’attrezzatura che aveva portato dagli Slocumb.

Per cinque minuti continuò ad avanzare, ogni fibra tesa a captare una voce, un’aggressione, uno sparo. Poi, tremolante tra gli alberi davanti a sé, vide una luce. Fece voltare la Harley e, con una certa difficoltà, la fece entrare a marcia indietro nel bosco, fino a che non gli parve sufficientemente invisibile dalla strada. Con il coltellino dell’esercito svizzero tagliò alcuni rami di pino che posò sulle cromature del manubrio, del tappo della benzina, delle ruote e del motore. Risalì quindi, con prudenza, la strada.

La Viper era parcheggiata a fianco di una Land Rover davanti a una casupola in rovina. La casetta, tirata su in qualche modo, con una piccola veranda e un camino, occupava il centro di una radura sorprendentemente grande, forse quattro o cinque volte il perimetro dell’edificio stesso. Due finestre, entrambe illuminate, davano sulla strada d’accesso e altre ve ne erano agli altri lati.

Tenendosi entro il limite degli alberi, Matt si diresse verso il fianco della casupola. Una zanzariera a pezzi pendeva da una delle due finestre e parecchi vetri dell’ altra mancavano. Trattenne il fiato e cercò, senza riuscirvi, di individuare le voci all’interno. Poi, carponi, uscì dalla copertura e attraversò più di dieci metri di terra e aghi di pino, prima di appiattire la schiena contro la parete della casa. Pian piano si rimise di nuovo carponi e si tirò su quel tanto da poter lanciare un’occhiata all’interno. Dapprima scorse soltanto la schiena coperta di tela jeans di un uomo massiccio. Dietro l’uomo, riuscì a sentire il peculiare suono nasale di Bill Grimes.

«So cosa mi sta dicendo, mia cara dottoressa», stava dicendo, «ma non so se è la verità.»

«Le ho detto tutto ciò che so», ribatté Nikki, la voce esausta e rauca. «Se non mi crede, problema suo.»

«Sbagliato, mia cara amica. Il problema è suo.»

Il gigante si spostò e Matt si lasciò cadere tra le due finestre. Quando si drizzò di nuovo di pochi centimetri, si ritrovò a guardare in una camera da letto, non più di tre metri e mezzo per lato. Il soffitto era in legno di pino grezzo, le pareti disadorne. L’omone gli ostruiva ancora la vista della soglia dov’era il capo della polizia, ma adesso Matt riuscì a vedere Nrkki. Era slegata, indossava ancora l’indumento ospedaliero verde e giaceva supina, gli occhi chiusi, sul materasso senza lenzuola di un letto dalla struttura metallica. Le avevano sbattuto due cuscini senza federe dietro la testa e uno sporco lenzuolo sulle gambe. Aveva un aspetto grigio, sfinito e inquieto, ma Matt non notò nulla che indicasse che era stata picchiata.

«Voglio riesaminare tutta la faccenda un’altra volta», stava ribadendo Grimes, «partendo dal funerale. Con chi ha parlato là oltre che con me? Allora?»

Matt udì un fruscio alla sua destra poco prima che comparisse un uomo. Era alto e nerboruto, un cappello da cowboy in testa e stivali ai piedi. Nella grossa cintura all’altezza delle reni era infilata una pistola. Matt si lasciò cadere sulla pancia e si appiattì contro le fondamenta in cemento della casupola. Era comunque ancora in piena vista, a non più di sei metri di distanza. L’uomo diede un colpetto alla base del pacchetto di sigarette, ne prese una e l’accese con un fiammifero da cucina che strofinò sulla zip. Il fumo si diffuse immediatamente verso il punto in cui Matt giaceva nell’ombra della casa. Disperatamente, la sua mente selezionò alcune possibili reazioni, fosse stato individuato. Nessuna era ragionevole.

Il fumatore si allontanò di alcuni passi dalla casa, piegò la testa all’indietro e soffiò una nuvola verso il cielo scuro sopra la radura. Matt si fece coraggio. L’angolatura tra loro era cambiata, e adesso, appena l’uomo si fosse girato verso la porta della casa, per lui sarebbe finita. Matt si preparò a balzare tra gli alberi appena lui l’avesse visto. In quel momento, dal bosco dietro il cowboy e alla sua destra, si sentì lo scricchiolio del sottobosco e un fruscio di rami. Pochi secondi dopo, una piccola femmina di cervo dalla coda bianca sbucò dalla boscaglia e attraversò a lunghe falcate la radura a nemmeno cinque metri di distanza. L’uomo la rincorse, cercando nello stesso tempo di estrarre l’arma.

«Larry!» gridò il cowboy. «Larry, vieni fuori, alla svelta!»

Matt sentì i passi pesanti del gigante sulla veranda.

«Cosa? Cosa?»

«Il più grosso cervo che tu abbia mai visto mi è passato abbastanza vicino da leccarmi il moccio dal naso. Se non mi si fosse incastrata la pistola nella cintura, avremmo potuto mangiare selvaggina.»