«Che altro possiamo fare?»
«Non lo so. Non ho il tempo per spiegarti, ma voglio muovermi contro i proprietari della miniera, prima che abbiano la possibilità di svuotare una discarica. Ora che ci hanno persi entrambi, potrebbero decidere di farlo. Se ci facessimo coinvolgere in accuse e controaccuse con Grimes e qualche dipartimento di polizia o l’FBI, temo che finiremo per perdere. Inoltre, una volta usciti alla scoperto, Grimes potrebbe tentare di nuovo di farci fuori.»
«Credo di capire. E allora, che cosa si fa?»
«Non lo so. Metterci in contatto con un parente o amici o… o forse un avvocato. Raccontare loro ciò che è successo. Formulare una qualche strategia. E poi forse andare alla polizia. Vorrei veramente trovare un modo per affrontare quelli della miniera prima di fare qualsiasi altra mossa.»
«D’accordo. Non capisco tutto, ma so che mi hai appena salvato la vita. Per ora facciamo a modo tuo, cominciando dal mio capo.»
«Fantastico, e poi forse mio zio, Hal Sawyer, il patologo. In qualche modo arriveremo alla polizia, te lo prometto.»
Nikki ordinò del caffè nero e del cibo unto e caldo. Matt scelse un piatto di chili. Quando la cameriera si fu allontanata, Nikki rivelò a Matt gli stupefacenti dettagli della malattia e della morte di Kathy Wilson.
«La sua malattia, era questo che Grimes voleva sapere», spiegò. «Non mi ha mai detto perché, ma continuava a chiedermi, ‘Chi altri è a conoscenza della sua malattia? Chi altri sa del suo stato?’»
La descrizione dei noduli facciali e del deterioramento mentale di Kathy stupì Matt. Sembrava che Nikki stesse parlando di Darryl Teague o di Teddy Rideout. C’era però un problema. Kathy Wilson non aveva mai lavorato in alcun impianto della società Belinda Coal Coke e se ne era andata di casa per seguire il suo destino musicale quasi nove anni prima.
«Sei sicura che non sia più tornata a Belinda dopo essersene andata?» domandò.
«Forse prima che ci conoscessimo, o forse, di tanto in tanto, per un giorno o due quando era in giro con il suo complesso.»
«Mai a lungo, comunque.»
«Credo proprio di no.»
«E che hai detto a Grimes davanti alla chiesa?»
«Non ricordo i particolari della nostra conversazione.»
«È comprensibile. Dopo quel trauma cerebrale, passeranno settimane o mesi prima che tu possa ricordare fatti recenti, forse non li ricorderai più.»
«Lassù… in quella casupola, non ha fatto che insistere sulla stessa cosa, chiedendomi chi altri era a conoscenza della malattia di Kathy oltre a me. Sembrava particolarmente interessato a ciò che avevo detto a te.»
«Ci puoi scommettere.»
Toccò poi a Matt rivelare ciò che sapeva, inclusa la sua sfortunata incursione nella montagna con Lewis e il suo successivo trattamento del polmone collassato dell’uomo. Alla fine del racconto, Nikki scosse la testa e fece spallucce.
«Non assomiglia ad alcuna sindrome tossica che conosco», commentò. «Presumo, tuttavia, che sia possibile.»
«Che altro potrebbe essere? Tre persone della stessa città con la stessa strana sindrome, e una discarica di rifiuti tossici nelle vicinanze con un fiume che l’attraversa.»
«Forse hai ragione», ammise Nikki pensosa, «forse l’acqua freatica è contaminata dalla discarica e forse Kathy, in qualche modo, ne è rimasta esposta. Le prove paiono incontestabili, eppure non mi convincono.»
«Se non ha mai lavorato alla miniera, la colpa deve essere delle acque sotterranee.»
«Sono curiosa. Cosa ha rivelato la patologia del cervello dei due minatori?»
«Mio zio, Hal Sawyer, è il medico legale ed ha eseguito lui l’esame autoptico. Ha riferito che i noduli erano dei tipici neurofibromi e che i cervelli dei due uomini erano all’incirca normali, per cui non si è preoccupato di fare uno studio microbiologico autoptico.»
«Non lo biasimo», commentò Nikki, «ma alcune devastanti malattie del sistema nervoso centrale presentano cervelli che paiono abbastanza o del tutto normali a un esame grossolano. Forse apprenderemo qualcosa dall’esame microbiologico di Kathy.»
«L’hai fatto?»
«L’ha eseguito il mio capo, Joe Keller, dietro mia insistenza. Non mi sono mai piaciute le faccende rimaste in sospeso, nemmeno quelle piccoline.»
«Non vedo l’ora di sentire cosa ha scoperto. Forse può fare un esame tossicologico sul tessuto. Continuo a credere che alla base di tutto ci sia la miniera.»
«Non mi metterò a discutere con te», disse Nikki, svuotando la sua seconda tazza di caffè. «Inoltre, chi sono io per mettere in dubbio l’acume clinico di un medico che salva la vita dei suoi pazienti con un preservativo?»
Il motel Starlight a Red Wolf in Pennsylvania era proprio ciò che Matt sperava di trovare. Un tipico albergo a conduzione familiare, lontano da vie principali. La stanza 212 era al primo piano sul retro e dava su un laghetto. Radunò le sue cose e aiutò Nikki a salire le scale. Nella camera ristagnava un antico sentore di muffa e un accenno di fumo. Nikki andò in bagno e ne uscì indossando un paio di leggeri pantaloni da ginnastica e una T-shirt con il logo della Champion. Appoggiandosi alla parete, tirò giù un lato del copriletto e si lasciò cadere dalla sua parte, respirando pesantemente.
«Su, solleva la lingua», le ordinò Matt. «Voglio misurarti la febbre.»
«Voglio dormire, ho bisogno di dormire.»
«Lo so, ancora un minuto.»
Matt infilò il termometro digitale sotto la lingua: 38,5. Prese lo stetoscopio e le auscultò torace e schiena: alcuni crepitìi indicavano una leggera polmonite, ma nulla che necessitasse di cure immediate.
«Salta su», mormorò Nikki. «Mi hai salvato la vita due volte in due giorni. Questo vuol dire che non devi dormire sul pavimento.»
«Cercherò di non scalciare troppo.» Matt spense la luce, ma un po’ di luminosità filtrava attraverso le tende sottili come garza. Si mise sulla schiena vicino a lei e tirò le lenzuola e la sottile coperta su entrambi. «Sai», continuò, «non ho fatto che cercare di immaginare come Kathy possa essere rimasta esposta alle tossine della miniera. Potrebbe essersi trovata nel posto sbagliato nel momento di una fuoriuscita particolarmente densa. Forse anche gli altri due casi si trovavano là proprio in quel momento. Pensi sia possibile?… Nikki?»
Aveva gli occhi chiusi e respirava in modo affannato ma regolare. Aveva resistito il più tenacemente e il più a lungo possibile.
Matt si girò sul fianco e, per un po’, osservò il suo viso nella fioca luminescenza, inspirando il suo profumo.
«Buonanotte, amica mia», sussurrò infine. «Te lo prometto, la prossima volta andiamo in un bel museo tranquillo.»
«Ecco un’altra contrazione.»
«Sto bene… Sto bene, Donny… è passata. Bazzecole… bazzecole… è passata.»
Amici e parenti le avevano detto quanto sarebbe stato duro. Quanto doloroso. L’infermiera responsabile del corso per puerpere aveva iniziato la lezione sul travaglio e il parto dicendo: «Chi l’ha chiamato travaglio, l’aveva chiaramente sperimentato».
Sherrie Cleary, dopo nove ore di doloroso travaglio, concentrò i suoi pensieri su tutti i discorsi apocalittici e pessimistici che aveva sentito e sorrise. Certo, le contrazioni facevano male. A volte, un male d’inferno. Ma il dolore era solo quello, si ripeteva di continuo, niente di più, e lei ancora resisteva. A ventisei anni, questo era il primo figlio e non sarebbe stato l’unico. Suo marito, Don, che lavorava in una carrozzeria, aveva ottenuto un buon aumento di stipendio e lei, grazie a una gravidanza senza problemi, aveva potuto continuare il suo lavoro di cameriera fino a tre settimane fa. Vivevano ancora nel quartiere di case popolari Anacostia, ma quelli di Fannie Mae (Federal National Mortgage Association) pensavano che entro poco lei e Don avrebbero avuto i requisiti per ottenere un’ipoteca. Qualcuno poteva forse biasimare il suo desiderio di avere altri figli?