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«Negli ultimi tre anni, giusto.»

«In base alle leggi del mio paese sulla riservatezza medica, non mi è permesso riferirle i nomi. Posso, tuttavia, dirle che, nel corso degli ultimi tre anni, in Sierra Leone sei americani si sono ammalati di febbre di Lassa e due di loro sono morti.»

«Tutto qui? Sei?»

«Tre di loro lavoravano negli ospedali.»

Sei casi in tre anni, in un paese dove la febbre di Lassa era endemica. Diciotto casi in tre anni in americani che tornavano in patria dall’Africa occidentale.

«Stranissimo, sempre più strano», aveva osservato Ellen.

«Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll», aveva esclamato Strawbridge. «È uno dei miei libri preferiti.»

«Anche per me. Ebbene, sua eccellenza, da una settimana circa, è precisamente là che mi sembra di essere, nel paese delle meraviglie.»

«Signora Kroft, ha intenzione a un certo punto di dirmi che cosa è tutta questa storia?»

Ellen si era sentita avvampare.

«Ambasciatore Strawbridge, sinceramente mi spiace di esserle apparsa tanto ambigua e la prego di essere paziente con me. Sto investigando su alcuni punti rimasti in sospeso riguardanti il vaccino Lasaject. Per ora questo è quanto mi sento di rivelarle.»

«C’è qualcosa che non va in quel vaccino?»

«No. Non ho alcun motivo per pensare che qualcosa non vada.»

«Mi terrà informato?»

«Appena avrò informazioni certe.»

Ellen aveva trattenuto il fiato mentre l’ambasciatore rifletteva sulla situazione.

«Passiamo allora», aveva detto infine, «alla sua seconda richiesta.»

«La lista dei passeggeri.»

Il contatto di Rudy al CDC aveva ottenuto il numero del volo che ognuna delle vittime americane della febbre di Lassa aveva preso per tornare negli Stati Uniti. Dieci di loro avevano viaggiato da Freetown a Londra con la Sierra National Air, quindi da Londra verso varie città degli Stati Uniti. Le altre otto vittime avevano preso voli della Ghana Air da Freetown a Accra e da lì direttamente a Baltimora. Ora speravano che la lista dei passeggeri fornisse un nome ricorrente, che potesse indicare un vettore della malattia.

«Sa», aveva osservato Strawbridge, «a noi diplomatici insegnano a non dare mai nulla per niente. Se le consegno questi documenti, ho anch’io una richiesta da farle.»

«Sì?»

«Con la decisione di tenersi ben stretto il vaccino, finché non avessimo potuto soddisfare le loro richieste in danaro, quelli della Columbia Pharmaceuticals hanno profondamente deluso il mio governo. Se lei scoprisse qualcosa che ci permettesse di, come dire, rendere loro la vita più difficile, mi promette di farmelo sapere?»

Ellen, seduta su una panchina illuminata dal sole al DuPont Circle, cullava il cellulare in grembo e seguiva ogni coppia che passava. Andrew Strawbridge le aveva consegnato non solo le liste dei passeggeri dei voli della compagnia nazionale della Sierra Leone, ma anche quelle della Ghana Air. Il successivo passo logico sarebbe stato quello di intervistare alcune delle poche vittime sopravvissute alla febbre di Lassa. Aveva sufficiente credito sulla carta Visa per poter fare qualsiasi viaggio fosse stato necessario.

Dopo lo scontro nel suo soggiorno con il mostro che aveva minacciato sua nipote, non aveva pensato ad altro che a trovare un sistema per bloccare la produzione e la distribuzione di Omnivax senza mettere in pericolo Lucy o chiunque altro della sua famiglia. L’enorme testa dell’uomo, i suoi occhi crudeli e la caratteristica cicatrice si erano incisi nella sua mente. In qualche modo l’avrebbe trovato e, allora, avrebbe cercato anche i mezzi per distruggerlo nel modo più doloroso possibile. Con sua grande sorpresa, da quando era comparso in casa sua con la sua sciocca vanità e le sue minacce, si era resa conto di essere pienamente capace di uccidere un uomo. Intanto, avrebbe corso qualsiasi rischio fosse stato necessario per distruggere coloro che l’avevano assoldato. Il guaio era che, all’improvviso, non voleva più farlo da sola.

Da quando Howard se ne era andato, lei era riuscita a tenere sotto controllo la sua vulnerabilità e la solitudine. Avere letto la lettera di Rudy aveva cambiato ogni cosa. Di colpo si era sentita incerta e spaventata. L’ultima cosa di cui aveva bisogno a questo punto era perdere acutezza, diluire in qualche modo l’odio che la spingeva ad agire. Eppure era proprio questo che sembrava le stesse accadendo.

Il primo dei casi sulla Usta ottenuta da Rudy non aveva risposto al telefono e non aveva alcuna segreteria telefonica. Alla seconda telefonata aveva risposto un uomo che le aveva detto che, sì, sua moglie era sopravvissuta a quella terribile malattia e, sì, sarebbero stati felici di incontrare Ellen appena fosse tornata a casa dal lavoro.

Ellen chiamò subito il servizio informazioni e annotò il numero telefonico della United Airlines. Poi, senza quasi rendersi conto di ciò che stava facendo, compose il numero della casetta di Rudy.

«Pronto?»

«Rudy, ciao, sono io.»

«Chiami dalla grande città?» le chiese, con un finto tono nasale.

«DuPont Circle.»

«Cosa hai scoperto?»

«Sei casi in tre anni, Rudy. Questo è il totale di americani rimasti infetti dalla febbre di Lassa nella Sierra Leone. Sei. Tre lavoravano in ospedali.»

Rudy fischiettò.

«Non penso di avere bisogno della mia laurea in statistica per sapere che non sono molti rispetto a quelli contagiati su quei voli», commentò.

«Penso proprio di no. Strawbridge mi ha dato anche le diciotto liste. Ho già contattato una delle pazienti del tuo elenco. Vive nei paraggi di Chicago.»

«Vai a trovarla?»

«Certo.»

«Sono d’accordo.»

«Rudy?»

«Sì?»

«Io… io vorrei che tu venissi con me.»

«Ehi, grazie di cuore. Quando pensi di andarci?»

«Oggi. Questo pomeriggio.»

«Oh, maledizione. Mi spiace, El, ma devo tenere una conferenza a scuola e dare anche una lezione privata. Temo che anche domani non vada bene. C’è questa famiglia di immigranti russi cui insegno a leggere e a scrivere l’inglese. Potrei spostarli a un altro giorno se riuscissi a contattarli, ma non hanno telefono e…»

Ellen osservò una coppia coccolarsi su una panchina di fronte a lei, e sentì un nodo in gola.

«No, no. Per piacere, non cambiare i tuoi piani», riuscì a dire. «Andrà tutto bene. Volo a Chicago e torno in giornata e questa notte o domattina presto vengo su da te.»

«Hai ragione. Andrà tutto bene. Chi è la donna? Dove vive?»

«Vive a Evanston. Si chiama Serwanga. Nattie Serwanga.»

24

Il gigantesco assassino attraversò la stanza con sorprendente leggerezza e si avvicinò a Nikki che dormiva. La donna aprì lentamente gli occhi, ma era troppo tardi. Prima che potesse emettere qualunque suono, l’uomo le chiuse la bocca con un palmo enorme, carnoso. Le mise il ginocchio sul fondo schiena e premette sempre più contro la spina dorsale, finché lei capì che stava per spezzarsi in due.

Per piacere, no! Per favore, basta! gridò la sua mente. Non voglio restare paralizzata!

Era chiaro che il paralizzarla era solo una parte di ciò che l’uomo aveva in mente. Aveva già cercato di ucciderla e non c’era riuscito. Non avrebbe fallito di nuovo. La faccia a luna piena si gonfiò in un sinistro sorriso mentre le afferrava il mento e le tirava indietro la testa. Il ginocchio le stava trapassando il corpo.

Nikki si svegliò confusa e disorientata, le dita strette attorno al cuscino. L’aria in quella strana stanza era densa e stagnante. Poi, mentre si sforzava di calmarsi, sentì il regolare respiro dell’uomo che giaceva accanto a lei. Stupita, si mise seduta, cercando di ignorare le mine terrestri che esplodevano dietro i suoi occhi. La vista di Matt Rutledge che dormiva profondamente, il viso sereno e disteso, spazzò via l’ultimo di una serie di estremamente vividi e spaventosi incubi. Un pezzo alla volta, gli eventi della notte appena trascorsa scivolarono al loro posto. L’uomo disteso accanto a lei, il suo medico, l’aveva salvata da sicura tortura e probabile morte, era arrivato in sella alla sua motocicletta e le aveva salvato la vita. Si chiese se la sua copertura assicurativa tenesse conto anche di questo servizio.